venerdì 9 luglio 2010

Palombi, Fabrizio, Jacques Lacan.

Roma, Carocci, 2009, pp. 199, € 16,80, ISBN 9788843051618.

Recensione di Matteo Sozzi – 09/07/2010

Psicoanalisi

Fin dalle prime pagine, questo agile testo seduce e attira il lettore con promesse davvero accattivanti: nell’introduzione l’autore allude alla necessità che il libro non solo avvicini al pensiero di Lacan e alle sue tematiche fondamentali, ma conduca necessariamente il lettore lungo un fecondo percorso culturale e personale. Viene prospettato, infatti, l’incontro con autori quali Kant, Hegel, Heidegger, Bataille, Freud, Sade, Joyce, Jackobson, Sartre, Merleu-Ponty, Derrida e tanti altri, passando attraverso gli stimoli e le suggestioni del surrealismo, dello strutturalismo, dell’ottica, delle figure retoriche e della topologia, per giungere, infine, alla maturazione di un personale accoglimento degli stimoli lacaniani tanto ermetici quanto capaci di generare prospettive e contenuti anche a distanza di tempo. A tal proposito, si ricorda la notazione di Foucault, che affermava che lo sforzo necessario per comprendere gli scritti di Lacan è in realtà un lavoro da compiere su se stessi.

Con il procedere della lettura ci si accorge che le aspettative suscitate vengono realmente soddisfatte. Il testo, infatti, conduce il lettore lungo il fil rouge della storia personale di Lacan e delle sue dottrine, per incontrare lungo quest’itinerario i più notevoli stimoli culturali con cui il medico francese si confrontò. La pregevolezza del libro sta proprio nell’offrire presentazioni sintetiche e di agevole comprensione dei contenuti a cui Lacan rinvia, presentazioni indispensabili se si tiene conto che la cultura enciclopedica dello psichiatra francese difficilmente permetterebbe una conoscenza specialistica di ogni argomento che viene implicato. Il lettore è così messo in condizione di comprendere tematiche che inevitabilmente esulano dalla propria formazione e anche appassionarsi a esse, avvicinandosi a un autore che altrimenti richiederebbe una cultura previa immensa. Si pensi che, solo a titolo indicativo, il pensiero di Lacan subisce contaminazioni dalla letteratura, da Joyce a Gide e Breton, dalla filosofia, da Spinoza e Cartesio a Hegel e alla fenomenologia, dallo strutturalismo all’esistenzialismo (ma sono riferimenti puramente indicativi e per difetto), dall’arte, da Dalì a Picasso, da Queneau a Breton, dalla retorica e dalla linguistica, dalla topologia e dall’ottica, senza dimenticare ovviamente Freud e le correnti psicoanaliste, spesso con riferimenti allusivi e mimetici piuttosto che con rimandi precisi e rigorosi.
I nove capitoli in cui si articola il libro procedono secondo un ordine cronologico biografico e contenutistico. Nel primo capitolo viene considerata la storia della formazione di Lacan e delle prime esperienze cliniche. Emerge così il carattere fortemente eclettico della ricerca lacaniana e il riferimento costante alla filosofia, in particolare, negli anni della formazione, a Hegel, Husserl e Heidegger attraverso la frequentazione di Kojève e Koyré. Anche a questi stimoli si devono le riflessioni sul desiderio come desiderio dell’Altro, inteso come inconscio, le tre categorie di reale, immaginario e simbolico e la polemica antiempirista e antiumanista condivisa dal medico francese con Althusser, Barthes, Foucault, Lévi-Strauss.
Il secondo capitolo pone al centro dell’attenzione lo stile di scrittura dello psicoanalista, indubbiamente sconcertante e disorientante per la sua ermeticità. L’indagine sul significato di tale stile rimanda al “ritorno a Freud” annunciato da Lacan: la natura dell’inconscio è inaccessibile alla coscienza e il soggetto che rispecchia questo assunto è connotato da frammentarietà e mancanza. Il soggetto degli scritti lacaniani è così pervaso da allusioni, atti mancati, vuoti, da “oggetti perduti” e inaccessibili all’interno di una dimensione temporale non più radicata nella presenza e nel presente, ma capace di sviluppare inattesi processi retroattivi. In definitiva, è l’Es che parla nelle pagine di Lacan e nell’intera riflessione dello psichiatra francese, la cui comprensione dell’inconscio offre spesso motivi di continuità, ma anche importanti peculiarità rispetto alla tradizione freudiana.
Con questo non si intende affermare l’illogicità dell’inconscio e quindi del linguaggio lacaniano, ma la necessità di interrogarsi sui caratteri di una logica altra rispetto alla tradizione filosofica occidentale, tema oggetto del terzo capitolo. In esso l’avvio è fornito dalla famosa massima lacaniana: l’inconscio ha la medesima struttura del linguaggio. Da qui la necessità di avere strumenti per una disamina del linguaggio, che lo psichiatra trova innanzitutto in de Saussure. Del celebre linguista Lacan considera fondamentale l’identificazione del segno linguistico con la relazione tra un concetto e un’immagine acustica, caratterizzata da arbitrarietà e non esprimente una libera scelta del soggetto. Una prospettiva quest’ultima che influenzerà profondamente Lacan e lo condurrà a superare lo stesso Freud. In realtà, peraltro, i riferimenti alla linguistica vanno ben oltre de Sausurre e si rivolgono non solo a linguisti del Novecento come Jakobson, ma anche a scrittori latini, in primis Quintiliano. Così l’accesso alla logica dell’inconscio passa attraverso le figure retoriche dell’ellisse, della metafora, della metonimia e il metodo di decifrazione del linguaggio inconscio trova il suo modello nel rebus, di cui viene portato un significativo esempio tratto dalla letteratura freudiana.
Il quarto capitolo si concentra sullo studio delle psicosi, che diventa una feconda opportunità per costruire una teoria della soggettività, centrata sulla rilettura dell’Edipo, sull’elaborazione della metafora paterna e sulla teoria della forclusione, che indica un processo tipico della psicosi, per il quale un contenuto rimosso riemerge nel reale, come nelle allucinazioni, a differenza del processo di rimozione, tipico della nevrosi, per il quale ciò che viene rimosso ritorna nei sintomi. Interessante è il confronto dello psichiatra con il surrealismo e in particolare con il Picasso del “periodo negro” e soprattutto Dalì, in cui trova una interpretazione capace di sovvertire le teorie classiche sulla paranoia. A partire da un caso, l’avvincente storia di Aimée, vengono illustrate le riflessioni lacaniane sull’importanza delle “relazioni di comprensione”, concetto presente in Jaspers, sulla residualità delle spiegazioni organicistiche, e soprattutto sull’Edipo e sul Nome-del-Padre, elementi originali, decisivi e fondanti l’intero pensiero lacaniano.
Ad un altro nucleo centrale della riflessione della psichiatra francese è dedicato il quinto capitolo. In esso è posto a tema lo stadio dello specchio, crocevia concettuale imprescindibile di argomenti come l’immagine di sé, il narcisismo, la formazione dell’ideale dell’Io e dell’Io ideale, fino all’identificazione del bambino con l’altro da sé. In tali pagine emergono con forza le influenze della fenomenologia husserliana e, in misura minore, della Gestaltpsychologie.
I capitoli sesto e settimo, a loro volta, prendono in esame le contaminazioni che il pensiero lacaniano subisce dalla topologia e dall’ottica. La topologia è una branca della matematica che si occupa dello studio delle proprietà delle forme e delle figure che non cambiano quando viene effettuata una deformazione. Intuitivamente, a titolo esemplificativo, si può pensare alla distorsione che una figura può assumere, qualora venga tracciata su un foglio di gomma. L’interesse per tale disciplina nasce proprio dalla possibilità di fornire modelli interpretativi del rapporto tra significante e significato alternativi a quelli della logica classica e utili alla comprensione delle dinamiche dell’inconscio. Esempio famoso è il nastro di Möbius, costituito da una sola superficie in cui diritto e rovescio sono tutt’uno, paradigma di quel rapporto tra esteriorità e interiorità che il soggetto lacaniano riconosce non definito e privo di un confine certo tra esterno e interno, tra coscienza e inconscio, così da non essere freudianamente padrone in casa propria, ma nemmeno sempre altrove.
L’ottica, a sua volta, fornisce chiavi ermeneutiche del rapporto tra spazio immaginario e spazio reale, fondamentale per cogliere le condizioni di possibilità della nascita dell’Io, a partire dal processo di differenziazione del corpo del bambino da quello materno, e per tentare di esprimere il vuoto, gli aspetti limite non rappresentabili che stanno al cuore stesso dell’inconscio.
L’ottavo capitolo ritorna a tematiche pienamente filosofiche: argomento è il godimento, che si differenzia dal piacere perché non si risolve nell’omeostasi, ma rappresenta una istanza puramente negativa. Ricchissimi sono i riferimenti che la riflessione del medico francese riesce a tenere insieme: l’analisi di Freud su Eros e Thanatos, l’analitica esistenziale di Heidegger, ma soprattutto e sorprendentemente il confronto tra Kant e Sade. Per Lacan infatti questi due autori, pur connotati da concezioni e interessi sovente antitetici, tuttavia denunciano la medesima critica all’identificazione tra bene e piacere. In particolare, di grande interesse è l’analisi dell’imperativo categorico kantiano nella sua pretesa di declinare l’universalità della morale nei termini della reciprocità. A tal proposito, Lacan nota come la reciprocità non è propria dello sviluppo psichico, centrato tutt’al più sull’asimmetria, e che l’universalità dell’imperativo morale possa anche assumere contenuti malvagi, come mostrano le pagine di Sade. Kant e Sade si trovano così a condividere il medesimo esito della soggettività: spinti da un ideale di purezza della legge (Kant) o del desiderio (Sade), conducono la soggettività alla dissoluzione, schiacciata da una legge inarrivabile o da un godimento insopportabile.
L’ultimo capitolo riprende i temi esposti e li rivisita alla luce degli ultimi studi sul discorso legati alle influenze strutturaliste, Lévi-Strauss fra tutti, marxiste e di Foucault; in esso si fa cenno anche agli studi di Lacan sui nodi, il nodo Borromeo in particolare, condotti alla ricerca di modelli di comprensione e di figure capaci di esemplificare i rapporti tra immaginario, simbolico e reale.
Così si conclude il percorso introduttivo a Lacan, che ha seguito cronologicamente l’evoluzione delle tematiche e degli interessi dello psichiatra francese nei suoi vastissimi riferimenti culturali. Al lettore, a cui la trattazione sintetica, incisiva e scorrevole ha evitato una fatica proporzionale alla vastità e alla eterogeneità degli argomenti implicati, resta l’incontro con un protagonista della storia del pensiero del Novecento impegnato in rapporti mimetici e di contaminazione culturali tali da porlo al centro di numerosi crocevia intellettuali; rimane inoltre la sensazione che numerose tematiche, per quanto comprese, potranno essere assimilate pienamente soltanto dopo aver svolto la loro funzione di chiavi ermeneutiche per esperienze proprie o altrui, come già annunciava Foucault.

Indice

Una introduzione “parziale”
1. Seminari e Scritti: breve storia della ricerca di Lacan
2. Il senso di uno stile
3. Retorica ed enigmistica
4. Delle psicosi
5. Specchi
6. Topologia
7. Lo schema ottico
8. Legge e soggetto
9. Matemi e sinthomi
Bibliografia
Indice dei nomi e delle cose notevoli


L'autore

Fabrizio Palombi si è formato presso le Università degli Studi di Milano, di Torino e il M.I.T. di Cambridge (USA) articolando la propria ricerca tra teoria della conoscenza, fenomenologia e psicoanalisi. Autore di numerosi saggi di carattere teoretico, ha curato le edizioni degli scritti filosofici del matematico Gian-Carlo Rota (Garzanti, 1993 e Birkäuser, 1997), e pubblicato due monografie: Il legame instabile. Attualità del dibattito psicoanalisi-scienza (FrancoAngeli, 2002) e La stella e l'intero. La ricerca di Gian-Carlo Rota tra fenomenologia e matematica (Bollati Boringhieri, 2003). Palombi insegna Epistemologia delle scienze umane e sociali, presso l'Università della Calabria, ed è docente dell'ICLeS (Istituto per la Clinica dei Legami Sociali).

Nessun commento: