domenica 24 ottobre 2010

Galli, Giorgio, Il pensiero politico occidentale. Storia e prospettive.

Milano, Baldini e Castoldi Dalai, 2010, pp. 472, € 20,00, ISBN 9788860735416.

Recensione di Francesco Giacomantonio - 24 /10/2010

Filosofia politica

Giorgio Galli, uno dei più noti studiosi italiani di politica, propone, in questo volume, un’analisi della vicenda del pensiero politico occidentale, che appare non solo interessata a delineare correnti, autori e problemi che hanno attraversato la storia passata, ma anche finalizzata a contestualizzare e rapportare le tradizioni di riflessione politica rispetto alla situazione contemporanea e alle sue prospettive. Come l’autore stesso sottolinea nell’introduzione, la sua interpretazione desidera evidenziare come, accanto a concetti stabili, vi siano nella storia del pensiero politico altri concetti, che sono, invece, in continua evoluzione e che determinate acquisizioni non giungono in modo lineare, ma, spesso, sono frutto di articolate sfide e risposte, nell’ambito dei processi culturali.
Sulla base di questa impostazione, lo studio di Galli si dipana attraverso sedici capitoli, ciascuno dei quali individua dei filoni teorici fondamentali del pensiero politico, più che singoli autori.
Non sempre i manuali di storia delle dottrine politiche includono nella loro trattazione la riflessione politica del mondo classico e medievale, ma Galli dedica, comunque, i primi due capitoli del suo libro a queste epoche. Pur mancando, nel mondo greco-romano e in quello medievale, una riflessione politica complessa e strutturata, oltre che autonoma rispetto a altre sfere (come si verifica a partire dalla modernità) e, infatti, i grandi pensatori politici di queste epoche sono numericamente esigui, tuttavia, tali fasi storiche contengono esperienze politiche, quella della democrazia in Grecia e dell’impero a Roma, che pongono due questioni fondamentali per la cultura politica occidentale: la forma della rappresentanza e la legittimazione per l’esercizio del potere. È sullo sfondo di tali questioni che viene, quindi, illustrato il pensiero di Erodoto, Tucidide, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca. Galli rileva che “il pensiero politico greco non elabora il concetto di rappresentanza, perché la dimensione della città-stato non è orientata in tal senso in quanto l’estrazione a sorte è ritenuta la migliore garanzia dell’eguaglianza politica”(p. 31). Inoltre, egli sottolinea la preoccupazione per il ruolo della donna nel pensiero greco da Erodoto a Aristotele: nonostante quel pensiero giunga a escludere personalità politica per le donne, “non è improponibile l’ipotesi che vi sia un legame tra l’organizzazione del pensiero politico e il rapporto uomo donna”(p. 34). D’altra parte, l’indagine sul pensiero politico romano mostra come l’impero romano abbia portato al massimo sviluppo il diritto privato, ma mancava di fatto di diritto pubblico, per cui la legittimazione politica a Roma deriva di fatto dall’obbedienza delle legioni e quindi il fondamento giuridico del potere imperiale “appare incerto”(p. 18).
Anche il Medioevo, nel complesso, difetta di una dimensione autenticamente legata alla legittimità e alla rappresentanza. Il pensiero politico di questi secoli appare in una condizione di stasi; i contributi sono sostanzialmente ripetitivi e si possono individuare pochi pensatori “di elevato livello”(p. 60): Sant’Agostino, San Tommaso, Guglielmo di Occam, Marsilio da Padova, oltre che altri meno rilevanti come Giovanni di Salisbury, Dante, Cusano. La concezione di fondo è monarchica: il papa, l’imperatore, il re, il feudatario. Il pensiero politico medievale è a base religiosa, orientato dalla chiesa e questa condizione viene interpretata da Galli come la risposta, a elevato livello di istituzionalizzazione, alla sfida rappresentata dalla cultura del movimento gnostico, legato a elementi femminili e magici, esoterici.
Come è noto, solo con l’avvento della modernità, entriamo in una riflessione politica dotata di una ricerca di autonomia, che si impegna a disgiungere la politica dalla religione, dall’etica, dalla metafisica, dal diritto. Questo percorso si avvia nella linea che va da Machiavelli e Lutero e che tocca Bodin, Altusio e Tommaso Moro. Sono i loro contributi che instaurano le prime strutturazioni dell’idea di stato moderno. Ma, se è vero che questa idea di stato moderno è il frutto della evoluzione socio-economica e della rivoluzione protestante, che mette in dubbio l’autorità e legittima l’opposizione al potere, Galli ipotizza che questo stato nasca anche per gestire una delle maggiori tensioni della storia umana: “quella tra la cultura maschile, patriarcale, e una cultura alternativa a forte presenza femminile (le streghe)” (p. 97). A sostegno di questa ipotesi, Galli richiama i passaggi di Bodin, tollerante con tutti meno che con le streghe, l’ironia di Machiavelli nella Mandragola riguardo le erbe per l’amore (tratto tipico della cultura delle streghe), sino ai riferimenti demoniaci nella prosa di Lutero.
Posta l’istituzione dello stato moderno, il passaggio teorico che segue è indirizzato a capire come esso si organizzi, quali debbano essere, per usare i termini di Bobbio, le “regole del gioco”, che garantiscono la convivenza civile al suo interno. Si determina così la linea di pensiero politico del contrattualismo. Tenendo, anche in tal caso, sullo sfondo problematiche esoteriche o legate al ruolo della donna, Galli mostra le differenti modalità attraverso cui i contrattualismi classici interpretano l’obbligo politico: conseguenza inevitabile di una situazione naturale conflittuale (assolutismo di Hobbes), o cooperativa (liberalismo di Locke, che vive in un contesto politico più sereno di quello precedente di Hobbes, dilaniato e terrorizzato dalla guerra civile), convenzione basata sull’esperienza empirica della sua utilità (empirismo di Hume, che è, in tal senso, critico del giusnaturalismo). Parallelamente a questo filone che discute le regole di convivenza interna allo stato, si sviluppa la linea di pensiero politico che pone il problema della convivenza e relazione tra gli stati e trova i suoi rappresentanti prima in Grozio e Pufendorf e poi in Kant, Hegel e Comte. Discutendo questi autori, Galli rileva tuttavia, che mentre le teorie sulla convivenza interna allo stato hanno un successo in termini di risultati concreti, quelle che vorrebbero regolare la convivenza tra gli stati, sostanzialmente falliscono nel loro obiettivo, se è vero che a partire dal 1600 la guerra civile viene impedita, proprio mentre le guerre tra stati “assumono una dimensione eccezionale, dalla guerra dei Trent’anni sino ai grandi conflitti del XX secolo” (p. 127).
La questione di fondo, già implicita in tutti questi contributi, è, allora, quella della sovranità, che tocca il suo culmine nel 1700, nel filone che va da Montesquieu a Rousseau: mentre il primo ritiene che la sovranità possa essere esercitata proficuamente solo se viene delegata, se tutti la conferiscono ad alcuni e se si determina una divisione dei poteri, per il secondo la sovranità non può mai essere delegata, inaugurando quel radicalismo che sarebbe poi sfociato nella rivoluzione francese.
Giungiamo così alle grandi dottrine classiche del pensiero politico dell’Ottocento, quella liberale e quella marxista.
Il liberalismo viene presentato da Galli, distinguendo la sua connotazione inglese (da Burke e Paine a John Stuart Mill), da quella francese (da Sieyès a Constant a Tocqueville), da quella italiana (da Vico a Croce), fino a giungere all’impostazione tedesca individuata in Weber. Queste “famiglie” teoriche, al di là delle differenti argomentazioni che le caratterizzano, determinano le proposizioni fondamentali del liberalismo europeo. Ma lo sviluppo, ormai pieno, del capitalismo nella società ottocentesca, determina disparità di potere economico tra chi detiene e chi non detiene i mezzi di produzione; per questo, la democrazia rappresentativa del liberalismo viene messa in discussione e ritenuta puramente formale da Marx e dalla tradizione di pensiero da lui inaugurata. Anche per il marxismo, Galli coglie oltre, all’analisi politica classica e alle sue evoluzioni in Luxemburg, Gramsci, Bernstein, Kautsky, ecc., il ripresentarsi del nodo cruciale del rapporto uomo-donna nelle dottrine politiche, che si esprime nelle idee dell’origine della famiglia e del matrimonio.
Ma, se il marxismo criticava l’evoluzione liberal-democratica per le disuguaglianze socio-economiche che l’accompagnavano, un'altra linea del pensiero politico critica la democrazia per l’eccesso di eguaglianza che può determinare. Questa linea è costituita dalle teorie elitiste, al cui interno Galli ricomprende filoni culturali assai diversificati che si individuano nei tradizionalisti (da de Maistre a von Haller), nei critici della democrazia come Michels, Pareto e Mosca e nei teorici del razzismo e dell’autoritarismo nell’epoca dei fascismi storici, di cui, forse, il rappresentante più rilevante, tra i tanti trattati da Galli, è Schmitt. Questo insieme di teorie viene spesso ritenuto preparatorio allo sviluppo dei fascismi in Europa, ma Galli ritiene questa interpretazione riduttiva, pur riconoscendo che certamente le concezioni elitiste hanno in comune “una concezione “né normata nè normabile dei rapporti politici” (p. 259) e un decisionismo autoritario.
Dopo l’analisi del filone elitista, il testo tratta appieno la vicenda del pensiero politico del XX secolo; con la fine della seconda guerra mondiale, la scena della riflessione politica cessa di essere esclusivo appannaggio dell’Europa e si sposta anche negli USA e in Russia. In America si affermano le posizioni neocontrattualiste che si biforcano nell’interpretazione da una parte di Rawls e dall’altra di Nozick. Nel mondo russo il filone della dottrina marxista tende ad inaridirsi a partire dalla seconda metà degli anni Venti e dopo la metà del secolo i contributi di livello teorico latitano (Galli segnala in particolare Andropov): si avvia il processo che porta alla dissoluzione del socialismo reale. Ma questo processo è eminentemente politico, incarnato da Gorbaciov, e non teorico politico e comporta riflessioni più in Occidente che in Oriente.
Legata al dibattito sulla democrazia nel XX secolo è anche l’evoluzione del concetto di partito, che il testo affronta attraverso il rimando alle classiche posizioni del sociologo politico francese Duverger, che individuava la loro dinamica nell’alternanza di schieramenti conservatori e progressisti. Tuttavia, nelle ultime fasi del XX secolo, l’influenza dei partiti sulla sfera politica sembra, a molti studiosi, meno forte che in passato e il timore di una degenerazione della democrazia rappresentativa in una partitocrazia, pare aver lasciato il posto al timore di una degenerazione in una sorta di videocrazia televisiva. Questione centrale della riflessione politica attuale diventa, così, da una parte, l’ipotesi di una riduzione del potere di rappresentanza, “dato che la complessità delle società moderne potrebbe favorire un’evoluzione verso una sorta di delega in bianco agli eletti” (p. 333), dall’altra, l’accrescimento della conflittualità internazionale degli stati moderni con poteri sempre più difficilmente controllabili. In tali contesti, trovano quindi spazio i richiami alle teorie di Dahl che, pragmaticamente, auspica un nuovo livello di poliarchia, a quelle di Bobbio, Aron, e Huntington, interpreti della situazione delle relazioni internazionali, a quelle di Rorty e del suo approccio ironico alla filosofia politica.
Stante questa condizione, il testo si indirizza alla sua parte conclusiva, domandandosi come evitare l’affermazione di un contesto politico sociale di persone disimpegnate (come ipotizzano le analisi del politologo Lipset), o di persone ignoranti (come teme l’altro politologo Sartori), o ancora di persone subordinate (come quelle cui pensa il sociologo Luhmann in condizioni di elevata complessità sociale). Una possibile soluzione a questa domanda è insita nell’idea di democrazia deliberativa (concetto legato al pensiero di Habermas e Rawls), connessa all’uso delle tecnologie informatiche. Ma Galli preferisce muoversi su un altro terreno, ritenendo “difficile cambiare con la sola informatica tanto la democrazia quanto la filosofia” (p. 409); egli ritiene più opportuno quello che definisce il recupero degli antichi saperi, ovvero quelle forme di conoscenza che il moderno ha confinato nell’irrazionale o nel pre-razionale (alchimia, astrologia, religione). I poteri forti del capitalismo post-industriale e finanziario (i “big players” [p. 412]) vanno controllati dai cittadini attraverso un salto culturale che “integri la rivoluzione scientifica e contrattualistica del XVII secolo col riemergere in atto[…] di antichi saperi” (p. 412). Galli si difende dall’idea che questo richiamo agli antichi saperi possa farlo passare per irrazionalista, notando che, in definitiva, la sfiducia nella razionalità sia ormai ben più profonda nel panorama delle scienze sociali contemporanee e segnatamente nei suoi esponenti più importanti come Bauman, Beck, Touraine. E documenta che molti protagonisti razionalisti del pensiero occidentale, da Cartesio a Newton, avevano interessi (spesso poco noti o occultati) a forme di sapere non strettamente razionali.
Lo studio di Galli si segnala per la capacità di sintetizzare con efficacia un numero elevato di autori e teorie e soprattutto di farle dialogare reciprocamente, anche attraverso l’inserimento di brani tratti dai testi classici del pensiero politico. Inoltre, il richiamo a contesti culturali alternativi (ruolo delle donne, esoterismo), nella formazione del pensiero politico, e l’apertura, per quanto riguarda la vicenda contemporanea, alle posizioni di sociologi e scienziati politici, sono aspetti che accrescono l’interesse, l’originalità e la ricchezza della trattazione. Proprio per questa prospettiva aperta (soprattutto riguardo al XX secolo), però, forse, l’autore avrebbe potuto dedicare qualche spazio a due studiosi che, al di là della difficoltà di essere istituzionalmente considerati solo filosofi politici, hanno indubitabilmente un peso nel pensiero politico del XX secolo: Arendt e Foucault. Anche un accenno meno “frettoloso” a Nietzsche e Habermas (per quest’ultimo, soprattutto quando viene presentato il concetto di democrazia deliberativa), poteva, eventualmente, essere tenuto in considerazione. Tuttavia, questi sono dettagli interpretativi non sostanziali, tanto più che, in difesa di Galli, si potrebbe ricordare che, per Nietzsche e Foucault, in generale, sarebbe ingenuo non riconoscere che il loro inserimento nella manualistica del pensiero politico spesso è fonte di discussione tra gli specialisti, per numerose ragioni che non è il caso di affrontare in questa sede. E, per quanto riguarda Arendt, non va trascurato che ella stessa dichiarava di non definirsi filosofa e fosse restia a inserirsi in determinate categorie o appartenenze culturali.
Detto questo, tirando le somme, il volume si lascia certamente apprezzare, per la sua connotazione più dinamica e vivace rispetto ai tradizionali manuali di storia delle dottrine politiche, e la sua proposta sugli antichi saperi da affiancare alle visioni più razionaliste, al di là delle critiche (e, forse, anche, di un certo stupore) che può suscitare, intercetta una questione sottile dell’analisi politico-sociale, quella del Senso e dell’immaginario, questione tante volte non percepita adeguatamente dagli uomini, ma, probabilmente, molto più influente sulla loro vita, di quanto essi possano credere o essere disposti a credere.

Indice

Introduzione
La democrazia greca e l’impero romano
Il sacro romano impero e la res publica cristiana
L’età di Machiavelli e Lutero
Le regole del gioco da Hobbes a Hume
Le regole mancate da Grozio a Comte
La sovranità tra Montesquieu e Rousseau
Il liberalismo da Burke A Weber
La critica marxista
Le teorie elitiste
Le dottrine politiche negli Stati Uniti e in Russia
Democrazia rappresentativa e partiti
Fine XX secolo
Una democrazia di subordinati?
Le possibilità della tecnologia
“Big players” e antichi saperi
L’avvenire
Note
Indice dei nomi

L'autore

Giorgio Galli, a lungo docente di Storia delle dottrine politiche presso l'Università degli Studi di Milano, è uno dei maggiori politologi italiani. Oltre a indagini sulla storia politica contemporanea, come Storia del partito armato (1986), Storia dei partiti politici europei (1990), I partiti politici italiani (1991), Mezzo secolo di Dc (1993), tutti pubblicati da Rizzoli, e a un'intensa attività di commento giornalistico svolta in varie sedi, Galli ha intrapreso ricerche più complesse e originali sull'intreccio fra vicende e dottrine storico-politiche e una serie di tradizioni e culture che il moderno ha confinato nell’ambito dell'irrazionale o del pre-razionale. Dopo il grande affresco storico di Occidente misterioso. Baccanti, gnostici, streghe, i vinti della storia e la loro eredità (Rizzoli 1987, ripubblicato aggiornato nel 1995 da Kaos Edizioni col titolo Cromwell e Afrodite. Democrazia e culture alternative), Galli ha prodotto lavori più delimitati ma non meno suggestivi come Hitler e il nazismo magico. Le componenti esoteriche del Reich millenario (Rizzoli 1989), Politica ed esoterismo alle soglie del 2000 (con Rudy Stauder, Rizzoli 1992), Le coincidenze significative. Dalla politologia alla sincronicità (Solfanelli 1992), La politica e i maghi. Da Richelieu a Clinton (Rizzoli 1995).

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