sabato 6 novembre 2010

Gatti, Roberto, Politica e trascendenza. Saggio su Pascal

Roma, Studium, 2010, pp. 256, € 20,50, ISBN 9788838241116

Recensione di Michele Paolini Paoletti – 6/11/2010

Filosofia politica, Pascal

Il libro di Roberto Gatti sul pensiero politico di Blaise Pascal ha almeno tre pregi: colloca adeguatamente la riflessione politica del filosofo e scienziato francese all'interno di un'interpretazione globale del suo pensiero; instaura un confronto tra Pascal e gli altri autori del suo tempo, sia di scuola giansenista, che contrattualista e giusnaturalista; contribuisce al superamento della visione di un Pascal «impolitico» o «apolitico» mostrando, pur nella sua problematicità, la ragionevolezza dell'ordine politico.
Per quanto riguarda il primo punto, Gatti si sofferma sulle molteplici coppie di opposti attorno alle quali si costruisce il discorso filosofico e teologico di Pascal: l'ordine della natura, opposto all'ordine della grazia; l'ordine delle anime e dei corpi, opposto a quello della carità; la miseria dell'uomo e la sua grandezza. In questo quadro, l'uomo si colloca al centro di antitesi inconciliabili: egli, come un «re decaduto», desidera il ritorno a una patria di elezione perduta ma, non potendo raggiungere la meta sperata mediante le proprie forze (non avendo cioè la capacità di produrre da sé la propria salvezza), si perde nel mondo, nelle sue attrattive e, ancor più, nell'immagine di falsa grandezza che egli costruisce di se stesso e che vuole restituire agli altri. La «analitica esistenziale» delineata da Pascal nei Pensieri, dunque, sembra sintetizzabile, almeno nei propri fondamenti, in questa osservazione: l'uomo vuole la felicità e la beatitudine eterna ma, non potendo conseguirla da solo ed essendo continuamente manifesta la sua debolezza e impotenza (nel pensiero e nella volontà), egli si lascia sedurre da false immagini del bene, dimentico di sé e della propria natura. La dinamica del divertissement, in questo senso, costituisce il segno caratteristico della miseria umana, poiché getta gli uomini nell'oblio di sé, attribuendo ad attività secondarie (la ricerca della ricchezza o dell'onore, ad esempio) la compiuta realizzazione dell'io e rendendo sempre più debole la coscienza del proprio desiderio di infinito. Tale desiderio, tuttavia, riemerge nella solitudine e nella mancanza dei beni terreni, provocando uno stato di tristezza e disperazione che, quasi paradossalmente, connota la più grande distanza dal vero Bene e, al contempo, la possibilità di avvicinarsi a esso. 
La natura «mediana» dell'uomo, tuttavia, collocato tra l'infinito e il nulla, così come tra un immane desiderio di felicità e la radicale impossibilità di rispondere da solo a tale desiderio, deve essere investigata nelle proprie origini. Gatti, a questo punto, tematizzando espressamente il fondamento della filosofia politica di Pascal, introduce un'opportuna distinzione tra l'origine del fenomeno politico e l'originario. La filosofia politica moderna sembrerebbe segnata, nella prospettiva di Pascal, da un grande «vizio di fondo»: «l'incapacità di tematizzare, della politica, il momento originario e di confondere, invece, originario e origine, finendo per riassorbire, pur in modi variamente differenziati, il primo nella seconda» (p. 1). L'origine è il punto di inizio, correttamente scelto dalla ragione, per l'instaurazione di un nuovo ordine politico: esso coincide con una costruzione teorica e, al limite, con l'ipotesi di un evento storico fondativo della società politica, che assume valore normativo in positivo o in negativo (lo stato di natura in Rousseau e in Hobbes, ad esempio). L'originario, invece, si colloca al di là della storia, pur permeando di sé l'intera esistenza dell'uomo e la storia dell'umanità: «l'originario è quell'evento che, stando fuori dalla storia e sottraendosi alle capacità di spiegazione in termini puramente e solamente umani, risulta però imprescindibile per avere un orizzonte che consenta di comprendere tale condizione in quelle che altrimenti sono destinate a rimanere contraddizioni inspiegabili» (p. 5). L'originario pascaliano «consiste nel peccato originale e nella sua trasmissione da Adamo a tutto il genere umano» (ibidem): solo sulla scorta dell'evento del peccato originale, infatti, possiamo comprendere le antitesi dell'umano, riconoscendo in esse i segni della perdita di un'unità originaria. Il peccato originale, pertanto, è la conditio sine qua non dello stato attuale dell'umanità e, parimenti, è ciò che rende problematica qualsiasi mediazione tra trascendenza, storia e politica (cfr. p. 10). Questo evento si colloca al di là della ragione, poiché, in quanto evento metastorico, non può essere dedotto concettualmente né può essere ipotizzato come evento della storia; il pensiero dell'esistenza, dal canto proprio, ne intravede la figura in ogni movimento umano, benché le figure della «miseria-grandezza» dell'uomo siano incapaci di instaurare un'analogia con l'infinito e possano soltanto annunciare quest'ultimo mediante la loro insufficienza. La filosofia, perciò, se vuole raggiungere la verità, non può prescindere dal dato rivelato, giacché ogni momento della propria riflessione sull'uomo e sul mondo si compie nell'annuncio dell'infinito tramite la sua assenza: tenendo conto della Rivelazione, così, «l'indagine filosofica può concentrarsi sulla condizione umana nella forma di un'analitica esistenziale svolta alla luce del dato rivelato e quindi in grado di render conto di quelle contrariétés che la ragione da sola non arriverebbe mai a comprendere» (p. 23).
Le opposizioni tra il regno della natura e quello della grazia, tra l'ordine dei corpi e dei pensieri e quello della carità, tra la prima natura dell'uomo (quella non corrotta dal peccato originale) e la seconda (quella decaduta) sono pertanto motivate da questo evento originario. In questa prospettiva, anche «la politica è, in Pascal, perennemente sospesa in questo spazio mediano tra verità e non verità, tra desiderio del giusto e impossibilità di esso, tra necessità e volontà» (p. 120). L'ordine politico, infatti, è l'ordine dell'amor proprio degli uomini, che cercano di affermarsi gli uni sopra gli altri mediante la forza. Esso, tuttavia, non può prescindere dal desiderio di giustizia che abita il cuore dell'uomo e che lo spinge a obbedire all'autorità, soltanto se quest'ultima è (o appare) giusta. Da un lato, quindi, la società politica si costituisce tramite la forza e l'obbedienza alla forza. D'altro canto, però, la forza da sola non basta a garantire stabilità. Gli uomini, allora, devono ricorrere a un'altra facoltà: l'immaginazione, che «opera come fattore essenziale del mantenimento della società politica e come garanzia ineludibile dell'obbedienza alle leggi e ai detentori dell'autorità» (p. 119). L'immaginazione «inganna, ma inganna sospinta dal desiderio di giustizia, cioè da quella che costituisce un'espressione della 'grandeur'», poiché «la volontà aderisce alla necessità in quanto e solo in quanto questa necessità gli appare come non è, cioè non come forza o, meglio, non solo come forza, bensì come forza giusta» (ibidem). Si tratta, evidentemente, di una giustizia ben diversa da quella giustizia (permessa e garantita da Dio) che regna nell'ordine della carità e che, pure, viene annunciata nelle tensioni e nelle insufficienze della giustizia terrena. I prodotti dell'immaginazione, a loro volta, si stabilizzano nell'abitudine e contribuiscono a formare il costume di un popolo. 
I governanti, allora, ben lungi dal voler «salvare» o «redimere» il popolo mediante la loro azione, possono trarre dalla descrizione di questa dinamica alcune indicazioni per un esercizio ragionevole del potere: il potere, infatti, appare come una dimensione autonoma (dalla religione) dell'agire umano e, soprattutto, come una sorta di «male necessario», che deve essere limitato nei propri effetti e circoscritto unicamente alla gestione della società terrena. In primo luogo, occorre esercitare il potere con mitezza, nel rispetto del desiderio di giustizia degli uomini. In secondo luogo, la ragione del politico deve riuscire a dominare e utilizzare l'immaginazione per creare ordine e stabilità, pace e durata nella società. In questo modo, «mitezza dell'autorità, stabilità dell'ordine, garanzia della pace, durata: sono beni che hanno una loro efficacia, anche se non partecipano della 'realtà' fondata sulla verità. Si situano in una zona intermedia in cui l'uomo, nell'umbratile chiaroscuro del mondo, condizionato dal nascondimento di Dio, opera alla ricerca di un bene possibile che, con tutti i suoi limiti, non manca però di esercitare la sua funzione nella prassi storica. Un'autorità mite è un'autorità che corrisponde alla dignità dell'uomo e che si esercita, quindi, attraverso modalità coerenti con tale dignità» (p. 136).
La prospettiva politica di Pascal, come si è già accennato, tende ad allontanare il pensatore francese sia dalla scolastica medievale, che dal giusnaturalismo e dal contrattualismo moderni. L'uomo di Pascal, in effetti, non è affatto socievole per natura ma, al contrario, sembra mosso unicamente dal proprio interesse. Le leggi naturali della politica, allora, non possono essere investigate, sia perché cade l'assunto della socievolezza dell'essere umano, sia perché la ragione, dopo il peccato originale, è troppo debole per comprenderle. L'amor proprio, che pure è il fattore fondativo della società politica, non giustifica tuttavia la sussistenza di tale società: la forza, da sola, non garantisce pace e stabilità, né valorizza adeguatamente quel desiderio di giustizia che anima l'uomo. La politica, poi, è certamente agevolata dall'inganno, ma non è soltanto inganno e, al contrario, essa può esercitare il proprio compito solo e soltanto se l'inganno continua a essere mascherato e se può fare appello ad una reale esigenza dell'umanità. Nel confronto con Hobbes, Rousseau e Machiavelli, nonché con gli altri autori giansenisti, allora, emerge indubbiamente una certa originalità del pensiero politico pascaliano. Per ogni ulteriore approfondimento storico e per l'esame di altri aspetti del pensiero esistenziale e politico di Pascal (la nozione di «durata», ad esempio) rimandiamo, comunque, direttamente al testo di Gatti. 
Dal canto nostro, vogliamo porre in ultima analisi un interrogativo sul senso complessivo della proposta filosofica pascaliana. Pascal, infatti, dal nostro punto di vista, pur avendo il merito di collocarsi tra i critici del razionalismo moderno, sembra deprezzare la ragione umana unicamente a ragione logico-deduttiva, che opera soltanto con i puri concetti e non riesce a cogliere il fondamento e le peculiarità dell'esistenza (in primo luogo, dell'esistenza umana). O meglio: le divaricazioni tra cuore e ragione, tra pensiero e ragione (pensiero inteso come pensiero esistenziale, che assume il fatto della Rivelazione come tema esplicativo della condizione dell'uomo) mostrano l'impossibilità di accedere a una conoscenza positiva dell'esistenza: l'esistente è costantemente inteso come il «segno» di Altro, che manifesta l'Altro nella propria insufficienza. Ora, se la verità è tale in ogni ordine della realtà, resta da comprendere se la ragione dell'uomo sia soltanto indebolita nel procedere verso essa o, piuttosto, radicalmente impossibilitata dal peccato originale. La ragione, tuttavia, per accedere a questo livello di comprensione deve estrinsecare al massimo le proprie potenzialità, cercando, non da ultimo, di elaborare una modalità distinta (eppure razionale) per afferrare l'esistenza: il fatto, diverso dal concetto e ultimamente irriducibile a concetti, deve essere pur sempre inteso e conosciuto in quanto fatto. La dinamica della fede, allora, potrà inserirsi all'interno di una conoscenza dell'esistenza dei fatti, che dovrà sempre tener ferme, da un lato, la gratuità del dato e la sua non-producibilità da parte della ragione umana, dall'altro, la sua profonda razionalità, che rende impossibile (e ultimamente ingannevole) qualsiasi reale contraddizione con la nostra ragione. Si potrà allora osservare, probabilmente, che, pur decaduti dopo il peccato originale, gli uomini continuano a partecipare dell'essere e della verità.

Indice

I. L’originario
1. “Il mistero più lontano dalla nostra conoscenza”
2. “Non potendo far sì…”: crisi e critica del diritto naturale
2.1 Una premessa e qualche corollario
2.2 Un primo sviluppo: Pascal e Agostino
2.3 Un secondo passaggio: Pascal e Tommaso d’Aquino
2.4 Pascal tra giusnaturalismo e giuspositivismo (un confronto con Hobbes)
2.5 Arnauld, Nicole, Domat e Pascal sulla legge naturale
II. L’indicibile
1. Le “corde della necessità”
2. Le “corde dell’immaginazione”
3. “Amor proprio” e “honnêteté” (Pascal e Nicole)
4. Durare
5. Sulla collocazione storico-filosofica di Pascal nel pensiero politico del Seicento francese
6. Addendum: ermeneutica della finitezza e politica
III. L’inconciliabile?
1. Il cristiano nel mondo: attore o spettatore?
2. Politica, storia ed escatologia
Indice dei nomi

L'autrice

Roberto Gatti insegna Filosofia politica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia. È stato presidente della Società italiana di Filosofia politica. È direttore della rivista «Cosmopolis» (www.cosmopolisonline.it) e fa parte del Comitato direttivo di altre riviste, tra cui «Annuario di Filosofia», «Dialoghi» e «Hermeneutica». È altresì membro dei Comitati scientifici dell’Istituto per gli studi sociali «Vittorio Bachelet», del Centro dei congressi di cultura europea dell’Universidad de Navarra, della Collana «Methexis» (Firenze University Press), della Collana «Il Limnisco» (Franco Angeli), dello «Studium generale Marcianum» di Venezia. È responsabile del settore di Filosofia del Dipartimento di Filosofia, Linguistica e Letteratura dell’Università di Perugia e membro della giunta di presidenza della Facoltà di Lettere e Filosofia. Coordina, insieme a Giulio M. Chiodi, i seminari sui classici della filosofia politica che, partire dal 2000, si tengono ogni due anni a Perugia (gli Atti sono editi da Franco Angeli). Tra i suoi volumi: L’enigma del male. Un’interpretazione di Rousseau, Roma 1996; Il chiaroscuro del mondo. Il problema del male tra moderno e post-moderno, Roma 1997; “L’impronta di ciò che è umano”. Saggi di filosofia, Pisa 2006; Filosofia politica, Brescia 2007. Ha tradotto e curato una nuova edizione del Contratto sociale di J.-J. Rousseau. Ha collaborato a numerose voci politiche dell’Enciclopedia filosofica, diretta da V. Melchiorre (Milano 2006).

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