domenica 27 febbraio 2011

Urbinati, Nadia, Democrazia rappresentativa. Sovranità e controllo dei poteri,

Roma, Donzelli, 2010, pp. XVI – 248, €. 23,50, ISBN 9788860364784.
[Ed. orig. Representative Democracy: Principles and Genealogy, Chicago, The University of Chicago Press, 2006]

Recensione di Gianguido Piazza – 27/02/2011

Democrazia rappresentativa, democrazia deliberativa, Condorcet, Rousseau

Oggetto del libro è la questione della rappresentanza in rapporto al concetto moderno di sovranità popolare. Nadia Urbinati si propone di confutare la tesi dell'incompatibilità tra democrazia e rappresentanza, sostenuta con ragioni e scopi diversi da Montesquieu e Rousseau.
La trattazione si inserisce in un indirizzo di ricerca sulla rappresentanza che, facendo riferimento ai dibattiti sulla “democrazia deliberativa” ispirati da autori quali Habermas o Elster, la indaga “dall'interno” per comprendere in che modo “la rappresentanza si rapporta all'insieme delle pratiche della partecipazione” (p. X). 
Le tesi sostenute nel libro sono: 1) democrazia e rappresentatività non sono in contraddizione; 2) la democrazia rappresentativa non è una mera alternativa pragmatica alla democrazia diretta, ormai impossibile per i moderni; 3) la rappresentanza è intrinsecamente e necessariamente correlata alla partecipazione e all'espressione informale della volontà popolare.
Secondo Rousseau, democrazia e rappresentanza sono incompatibili perché “la sovranità non può essere rappresentata” (p. 3). Il popolo sovrano è una sostanza, il cui attributo essenziale è la volontà che si esplica nell'unità spazio-temporale dell'assemblea. I deputati del popolo non sono i suoi rappresentanti, che decidano al suo posto, ma suoi commissari con mandato imperativo. Rousseau propone una “politica delegata con ratifica diretta (ma silenziosa)” (p. 4) da parte del popolo, non una “polis partecipativa”, che formuli proposte di legge e decida. Ne risulta “una sovranità essenzialmente formalistica e una forma minimalista di partecipazione (del sovrano nei luoghi di decisione)” (p. 20). 
Nonostante questa visione riduttiva della partecipazione democratica, secondo la Urbinati Rousseau ha avuto  il merito di mettere in luce come esigenze pragmatiche e strumentali non siano sufficienti per legittimare la rappresentanza.
Kant contribuirà alla soluzione del problema della legittimità democratica della rappresentanza. Per Kant la rappresentanza è un noumeno. Ai rappresentanti spetta la facoltà del giudizio, la cui forma è quella del “come se”: il rappresentante giudica dal punto di vista dell'opinione pubblica generale (non del proprio interesse di singolo o di parte), sorta di “nuova sfera pubblica” “situata tra il sé morale e le azioni regolate dalla legge civile”- “sfera pubblica di conversazione comune”, luogo della “più creativa delle facoltà intellettuali, poiché l'unica ad innescare tra il teoretico e il valutativo [...] un dialogo e una tensione continui” (p. 83). Non solo la volontà, ma anche il giudizio sono “luoghi della sovranità”, purché questa non sia intesa come temporalmente intermittente (esplicantesi solo nel qui e ora dell'assemblea) e “silenziosa”, ma ininterrotta e dialogica.
Il rappresentante fa uso della facoltà dell'immaginazione, che media tra intelletto e sensibilità: essa è la fonte di giudizi, non basati su regole, in cui all'oggetto sensibile è conferito un significato ideale. Grazie all'immaginazione il rappresentante vede se stesso come se fosse la totalità dei rappresentati, o entra in un rapporto di empatia con loro. In quanto fa uso di questa facoltà, egli può rivendicare ai propri giudizi una validità generale. L'immaginazione è, insomma, la condizione di possibilità del “contratto sociale” in quanto “esperimento di pensiero ipotetico che il legislatore può compiere, e di fatto deve compiere, per testare la 'giustezza' di una proposta di legge” (p. 92).  
A differenza di quel che pensano i teorici della democrazia deliberativa, come Habermas, retorica e ideologia non possono essere espunti dalla deliberazione: se ideologia è “l'uso di credenze e valori volto a legittimare il comportamento politico” (p. 87), in essa si esplica la fondamentale facoltà politica dell'immaginazione, in cui fatti e valori sono intrecciati.
Il giudizio politico dei rappresentanti ha comunque una pretesa di imparzialità. È libero, in quanto non vincolato da un mandato imperativo, e nello stesso tempo dipende politicamente dai rappresentati, da cui riceve un “mandato politico”. È universale, nel senso che chi lo formula lo fa in quanto rappresentante dell'intera nazione, chiamata a obbedire alle leggi, anche se eletto solo dalla parte di essa con cui intrattiene rapporti “di simpatia ideologica e di comunicazione” (p. 106). 
La democrazia rappresentativa così intesa è l'antitesi della democrazia plebiscitaria e populistica: la rappresentanza è un processo di unificazione e non un atto di unità. È espressione di un sovrano non inteso come “entità collettiva” già data, ma visto come “processo di unificazione intrinsecamente pluralista” (p. 107). La sovranità non è solo atto di volontà, ma un processo dialettico, in cui maggioranza e minoranza sanno di potersi continuamente scambiare le parti. 
Le espressioni governo rappresentativo e democrazia rappresentativa, coniate dai rivoluzionari americani e francesi, non sono sinonimi. La teoria del governo rappresentativo è stata sviluppata da Sieyès: tutti i rapporti umani, privati o pubblici, sono rapporti di “rappresentanza”, in quanto servizi forniti in  cambio di un compenso. Questa logica, che ha le sue radici nel libero mercato, è estesa alla sfera politica. I rappresentanti politici sono professionisti competenti e attivi che godono della fiducia dei molti politicamente passivi ma socio-economicamente attivi, e operano per il loro bene. La rappresentanza non è un espediente pragmatico sostitutivo della partecipazione diretta negli Stati di grandi dimensioni, ma la creazione di un nuovo settore di competenza per il vantaggio  di tutti. È condizione di libertà dei rappresentati, in quanto li libera dall'impegno politico diretto: la libertà non è indipendenza, ma interdipendenza.         
La nazione è la prima forma di associazione tra gli individui, dotati di diritti che determinano obblighi reciproci ed escludono rapporti di dominio. Gli individui, in quanto tenuti ad obbedire alle leggi, sono però passivi. Diventano attivi in quanto cittadini elettori: i diritti politici, funzioni dell'organizzazione dello Stato, non sono distribuiti in modo eguale, ma in base alle competenze e agli interessi. I cittadini attivi, in tale modo, rappresentano anche quelli passivi. Sieyès conciliava così eguaglianza giuridica e diseguaglianza (meritocratica) politica.   
Tra rappresentanti e rappresentati non esiste un rapporto di obbligo giuridico (come nel caso di un mandato imperativo), ma di obbligo politico. L'elettore è legato all'eletto da un rapporto “invisibile” di fiducia nei suoi confronti, basato sulle sue virtù civiche. La storia successiva dimostrerà, però, che le elezioni sono – come vide Tocqueville –  un meccanismo di selezione delle competenze inefficace, mettendo così in dubbio la giustificazione del governo rappresentativo data da Sieyès.
Paine deduce la forma rappresentativa dalla sovranità del popolo, non concepito come una sostanza spazio-temporalmente identificata e dotata di volontà, ma come lavoro complesso e costante di unificazione delle opinioni politiche per la formulazione di decisioni che hanno di mira l'interesse generale e sono raggiunte attraverso procedure concordate e condivise: il governo rappresentativo può così essere pensato come il solo governo democratico capace di estendersi sia nello spazio (quindi adatto agli Stati di grandi dimensioni) sia nel tempo (quindi capace di durare), in quanto è il solo che sia in grado di rappresentare le differenze sociali e di gestirne i conflitti, unendo i diversi.           
Anche Condorcet sostiene l'ideale della democrazia rappresentativa: non si tratta di porre termine alla rivoluzione delegando la politica ai soli rappresentanti, ma di legalizzarla, creando istituzioni che rendano possibile la partecipazione del popolo alla deliberazione collettiva. L'istituzionalizzazione trasforma la partecipazione “da una virtù appassionata ed emotiva in una virtù discorsiva e basata sul giudizio” (p. 175).
La Repubblica si fonda sui diritti dei cittadini, prima di tutto quello di sovranità, che include vari diritti, tra cui quelli di approvare la Costituzione e le sue periodiche revisioni e ratifiche, di eleggere ed essere eletti, di proporre, discutere o censurare leggi. Fondamentale per diffondere le competenze necessarie tra i cittadini sono la stampa, le associazioni e le discussioni pubbliche informali. Le procedure formali della deliberazione sono concepite in modo da neutralizzare la mancanza di competenza o le passioni perturbatrici e minimizzare le probabilità di errore.
La democrazia rappresentativa è vista come antidoto al dispotismo dei tiranni, ma anche a quello delle masse: anche le assemblee rappresentative possono divenire dispotiche quando cessano di rappresentare i cittadini nel loro insieme. Condorcet mise a punto dispositivi in grado di controllare la funzione dell'organo rappresentativo all'interno dello stesso processo deliberativo. 
Condorcet si differenzia così da Rousseau: la partecipazione non è tanto espressione di volontà, quanto lavoro di interpretazione e di giudizio. La deliberazione politica non è un sillogismo, in quanto i valori su cui opera non sono verità necessarie, ma probabilità. Le procedure adottate devono minimizzare le probabilità di errore e massimizzare quelle di raggiungere la verità. 
La strategia per contenere i pericoli del dispotismo consiste nella moltiplicazione dei luoghi di dibattito e di controllo, formali e informali, e in un complesso sistema di dilazioni temporali tra proposte e decisioni. La deliberazione è “un iter circolare che inizia fuori dello Stato, raggiunge le istituzioni politiche e si conclude temporaneamente con il voto dei rappresentanti, ritornando poi alla società per ricominciare daccapo il suo cammino” (p. 205). Essa “inizia con molti io per poi dar vita gradualmente a qualche noi concludendosi infine con un noi di approvazione” (pp. 206-7).
La teoria della deliberazione di Condorcet dà un contributo importante all'idea di cooperazione cognitiva: la deliberazione deve concludersi entro un tempo definito; non è possibile pertanto che ciascuno acquisisca una conoscenza completa delle questioni dibattute; è sufficiente che informazioni e competenze siano distribuite tra i soggetti e che questi siano dotati di capacità di interazione:  in presenza di procedure razionali, la divisione del lavoro cognitivo è condizione di successo della deliberazione collettiva. In sede locale le assemblee primarie devono contribuire alla deliberazione politica nazionale (compito questo che a partire dalla fine del secolo successivo sarà svolto dai partiti di massa radicati sul territorio). 
Motivo di interesse del libro è la riproposta del modello condorcettiano, con il quale vengono fin dall'inizio confrontate le varie teorie della rappresentanza. L'autrice valorizza di Condorcet le idee politiche della maturità piuttosto che l'analisi matematica delle elezioni. Questa dissezione dell'opera del nostro non giova alla comprensione della sua proposta: in gioco nella democrazia, si è detto, non è tanto l'autorizzazione, quanto la deliberazione; non sono scelte persone, ma assegnati valori di verità a proposizioni, in un processo non sillogistico, ma probabilistico. Il problema è quello di massimizzare le probabilità di accettare proposizioni vere e minimizzare quelle di errore. Ora, una delle condizioni che permettono di raggiungere lo scopo è la maggior distribuzione dei lumi: l'istruzione pubblica (campo in cui Condorcet avanzò una delle sue proposte più innovative, contrapposta a quelle giacobine ispirate a Rousseau) è quindi uno dei fondamenti della democrazia. Dalla diffusione dei lumi scaturisce, tra l'altro, quell'ethos che permette di normalizzare la rivoluzione, sostituendo la calma del giudizio alla tempesta delle passioni. Infine, il sistema dell'istruzione pubblica, sorta di potere autonomo, culmina in un'ulteriore istanza di controllo e di proposta, che travalica i confini nazionali, la Società delle scienze. 

Indice

Introduzione
- Il sovrano irrappresentabile di Rousseau
- Volontà e giudizio: la revisione kantiana
- Una nazione di elettori: il modello del governo rappresentativo di Sieyès
- Thomas Paine e il perfezionamento della “democrazia semplice”
- Una repubblica di cittadini: la democrazia indiretta di Condorcet
- Conclusione: un surplus di politica

L'autrice

Nadia Urbinati insegna Teoria politica alla Columbia University. Tra le sue monografie più recenti ricordiamo L'ethos della democrazia (Laterza, 2006), Lo scettro senza il re (Donzelli, 2009).   

8 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Menzione – in recensione e quanto in essa contenuto — di Critica kantiana, non ha altro valore che stesso menzionativo, poiché ne coesiste, da parte di autrice, interpretazione positivista e con effetti (di fatto...) ingenuamente disastrosamente scientisti - di cui ne è riportato in recensione - di apporto a cognizione di tipo scientifico o soltanto scientifica cioè di apporto non extraprofessionalmente adeguabile ad esigenze di controllo politico della politica attraverso controllo politico di professioni non solo politiche o non politiche o politiche.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore occupava sua stesso recensire con suo affermare vanamente 'terminale' e soggettivo dipendente da idealità extrademocratica non repubblicana per la quale la istituzione democratica essendo un approssimarsi a ideale democratico concreto, quindi Stato democratico invece astratto; non accettando egli evidentemente che limiti di democrazia da utilizzarsi per poteri democratici definiti ed ancor di più non accettando egli che tali poteri di forma politica statale repubblicana e non viceversa: tal inversione corrispondendo, appunto in prospettiva intellettuale di recensore, a rifiuto di futuro etnico-politico italiano. Recensore adottava metro di giudizio, che sarebbe adatto ad Ellade (Grecia ma qual entità politica), per Italia ma così negando in particolare e con maggior mancanza di intellezioni possibili proprio storie elleniche non solo ellene, bizantine non solo elleniche o bizantine non elleniche, genericamente greche, greco-puniche... grecali... Insomma eventi da cui formatesi culture democratiche - pre-democratiche e di repubblica democratica italiana attuale.
Tanto dismorfismo intellettuale può derivare a recensione da ex marxismo ed antiunitarismo, quest'ultimo fenomeno in forza non solo di passati effetti ma presenti; di recensore o di realtà cui egli interessato ed evidentemente non negato.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Autrice considerava direttività politica democratica senza logica fondamentale che ne includesse in sue successioni tematiche cui in indice riportate.
Per tale omissione ella trattava deliberazione e rappresentazione in più forte distinzione di quanto possibile — ne emerge da recensione, dal citato in recensione. Ella considerava rappresentanza democratica alla stregua di rappresentanza di democrazia e non considerando rappresentanza in democrazia, procedendo per unilaterale raziocinio di oclocrazia - democrazia non anche 'ocloarchia - democrazia'. Proprio unilateralità di concezione, di blocco democratico, rende una 'ocloarchia' non astratta opzione, ma ignorarne ne ipostatizza quindi ne estremizza contraddetti.

Indice accluso a recensione costituisce sorta di espressivo argomentativo "climax" (aumentare di significati forti in successione di elementi deboli di discorso logico) corrispondente a odierno evento extrapolitico - impolitico italiano di volontarietà non rispondenti legittimamente ma per deliberazione extrademocratica/antidemocratica in relazione a decreti cui grava limitazione parlamentare a priori oltre che divieti di applicabilità effettiva ma di ciò gran parte di rappresentanza e cittadinanza ignorando e senza rispetto per vere léggi di Repubblica democratica ed ignorando esigenze opposte di parte o interezza o totalità di vera nazionalità italiana, tentando di applicare sistemi sanitari orientali per giunta estremizzandoli e senza considerare distinzione tra: fattori evidenzianti, evidenze, eventi evidenti non innocui, eventi non evidenti innocui, di influenza epidemica-pandemica; e senza considerare soggettualità non oggettualità di essi e soggettità per non tutti, per non tantissimi,  e non oggettità per tutti gli altri, costretti a interruzioni di servizi o a subirne e spesso raggiunti da falsi divieti con minacce non false e del tutto contro vere léggi. Insomma una Falsità che per quanto fosse pervasiva non ha potuto confondersi con Verità politica.

Vero Stato quale non unicità - non assolutezza; 'Stato' non "Lo Stato"...
Precedenti teorie de "Lo Stato" erano politologiche non politiche; attuali ipotesi è teorie de "La Fine de Lo Stato" sono state politiche e ora son diventate politologiche: esse definiscono una entità di Statalità, astratta, poi da totalitarismi resa entità concreta, parallela poi coincidente a Vero Stato ma non questo; quindi meno coincidente ma più divergente ancora, cioè Antistato.

Fuori Modernità - Non Postmodernità, triplice precisare di autrice in recensione segnato da sequenza logica non interrotta 1,2,3 [e parentesi chiusa] si riduce a questa triade, idealità logica o idea dialettica di Ultramodernismo:

(1) Genericismo;
(2) Astrattismo;
(3) Formalismo

Per realtà occidentale europea, tale triade è antistorica, perché coinvolge ipermodernità – cui unico destino accettabile postmodernità – e negandone.


!
Si noti che da parte di autrice ipostatizzare oclocratico-democratico da una particolarità 'ocloarchica' non in quanto tale considerata non produce attinenza omologa ad esempi di attualità italiana tantomeno odiernità italiana ma ne fa eterologa afferenza, di cui ne può esser parallela descrizione non di intrusione politica ma impolitica.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In messaggio precedente

'ipotesi è teorie'

non sarebbe illogico poiché riferibile ad ipotesi divenute teorie,
ma espressione sta per migliore dizione:

ipotesi e teorie .

Reinvierò con correzione.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Autrice considerava direttività politica democratica senza logica fondamentale che ne includesse in sue successioni tematiche cui in indice riportate.
Per tale omissione ella trattava deliberazione e rappresentazione in più forte distinzione di quanto possibile — ne emerge da recensione, dal citato in recensione. Ella considerava rappresentanza democratica alla stregua di rappresentanza di democrazia e non considerando rappresentanza in democrazia, procedendo per unilaterale raziocinio di oclocrazia - democrazia non anche 'ocloarchia - democrazia'. Proprio unilateralità di concezione, di blocco democratico, rende una 'ocloarchia' non astratta opzione, ma ignorarne ne ipostatizza quindi ne estremizza contraddetti.

Indice accluso a recensione costituisce sorta di espressivo argomentativo "climax" (aumentare di significati forti in successione di elementi deboli di discorso logico) corrispondente a odierno evento extrapolitico - impolitico italiano di volontarietà non rispondenti legittimamente ma per deliberazione extrademocratica/antidemocratica in relazione a decreti cui grava limitazione parlamentare a priori oltre che divieti di applicabilità effettiva ma di ciò gran parte di rappresentanza e cittadinanza ignorando e senza rispetto per vere léggi di Repubblica democratica ed ignorando esigenze opposte di parte o interezza o totalità di vera nazionalità italiana, tentando di applicare sistemi sanitari orientali per giunta estremizzandoli e senza considerare distinzione tra: fattori evidenzianti, evidenze, eventi evidenti non innocui, eventi non evidenti innocui, di influenza epidemica-pandemica; e senza considerare soggettualità non oggettualità di essi e soggettità per non tutti, per non tantissimi, e non oggettità per tutti gli altri, costretti a interruzioni di servizi o a subirne e spesso raggiunti da falsi divieti con minacce non false e del tutto contro vere léggi. Insomma una Falsità che per quanto fosse pervasiva non ha potuto confondersi con Verità politica.

Vero Stato quale non unicità - non assolutezza; 'Stato' non "Lo Stato"...
Precedenti teorie de "Lo Stato" erano politologiche non politiche; attuali ipotesi e teorie de "La Fine de Lo Stato" sono state politiche e ora son diventate politologiche: esse definiscono una entità di Statalità, astratta, poi da totalitarismi resa entità concreta, parallela poi coincidente a Vero Stato ma non questo; quindi meno coincidente ma più divergente ancora, cioè Antistato.

Fuori Modernità - Non Postmodernità, triplice precisare di autrice in recensione segnato da sequenza logica non interrotta 1,2,3 [e parentesi chiusa] si riduce a questa triade, idealità logica o idea dialettica di Ultramodernismo:

(1) Genericismo;
(2) Astrattismo;
(3) Formalismo

Per realtà occidentale europea, tale triade è antistorica, perché coinvolge ipermodernità – cui unico destino accettabile postmodernità – e negandone.


!
Si noti che da parte di autrice ipostatizzare oclocratico-democratico da una particolarità 'ocloarchica' non in quanto tale considerata non produce attinenza omologa ad esempi di attualità italiana tantomeno odiernità italiana ma ne fa eterologa afferenza, di cui ne può esser parallela descrizione non di intrusione politica ma impolitica.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)...

Critiche kantiane fornirono (e forniscono) strumenti di valutazioni extraprofessionali a professionalità in àmbiti culturali materialisti non autonomi. Eccessi culturali di materialismo, erano e sono rapportabili a critica etica, anche il marxismo, il quale se ne sottraeva (e se ne sottrarrebbe) solo per avversa estraneità a cultura filosofica occidentale moderna - contemporanea.

Terza Critica kantiana, del Giudizio, ebbe maggior rilievo in Occidente americano.

In ambienti definibili mondialisti-americanisti, cui era riferibile attività di Engels, Terza Critica era osteggiata separandone Prima da Seconda; anche ambienti sociali culturali marxisti-engelsiani ne separavano. Dissidio era contro stesse professioni occidentali cui si voleva negare deontologia e relegare ad etica solitaria solamente.
La funzione anche extraprofessionale delle Critiche di Kant era azione di filosofia illuminata che poneva soluzione agli interrogativi suscitati dai poteri rappresentativi formali maggioritari democratici cui connesso rischio di vasta o ingente antiprofessionalità sociale nonché politica. Il fatto che Marx rifiutasse qualifica di studioso filosofo mostra suo rifiuto di schemi professionali occidentali; ugualmente ne mostra rifiuto da parte di Engels di qualifica di relatore filosofo. Entrambi non scorgevano per Europa ed Occidente e Mondo prospettiva culturale scientifica diversa da fisicalista; cui coincidenze davano un certo valore aggiunto ma senza futuro neppure per stesso passato poi.

Terza Critica fondava affermazioni politiche rappresentative da attestazioni sociologiche (presto pratiche anche scientifiche ma non solo) di totalità/unità-maggioranza\minoranza.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Autrice disquisiva su democrazia rappresentativa diretta non direttamente deliberativa, cui quadro politico statunitense - americano.
Non plebiscitario effetto per mandato non costituito da costituire coi restanti cioè la minoranza non maggioranza; questo il quadro politico di funzionamento democratico americano statunitense, che si basa su giustizia del raggiungere i cittadini e sul tributare a cittadinanza.
Analogo europeo si fonda su duplicità di mandato costituito: socialmente, cioè rappresentanza voluta da maggioranza agisce socialmente - politicamente non viceversa, sicché ne risulta limitata società politicamente rappresentata, mentre quella non rappresentata ha, in cambio di non rappresentanza, non limitazione per non interesse politico di rappresentanza.
Quadro europeo in realtà politica culturale americana europea si presenta con allineamento sociale limitato ad economia sociale.
Quadri europei si basano dunque su ampliamenti-riduzioni reciproche ed inverse, di Stato/Cittadinanza - Minoranza/Maggioranza; essendo in Europa l'incontro di Stato con Cittadini limitato da giustizia a richieste Dei Cittadini; perché in Europa democratica azioni politiche di Stato per quanto derivano da Cittadinanza ne ritornano, invece in America democratica derivano da Cittadinanza e a questa ne devolvono.

Analisi di autrice erano concernenti genetica politica –istituzione di rapporti democratici di Statalità in Statalità– americana e genesi politica europea –rivolgimenti repubblicani democratici e democratici repubblicani–. In quanto tale, Democrazia Repubblicana ellena ne risulta raffrontabile in sua particolare 'dinamica medesima fondante' ma non Repubblica Democratica italiana, cui è 'dinamica medesima fondata'...

Purtroppo marxismo tentò e progressismo ex marxista tenta di invertire statica-dinamica democratica di entrambe configurazioni europee definibili 'semplici' ovvero non mediate, italiana ed ellena; per questo i trattati di politica o gli studi politologici sono da tali poteri eversivi-distruttivi non veramente accolti per tali, non relazionati a dialettica ma inseriti in negazioni dialettiche antistatali. Lavoro recensito agisce analogalmente ma antiomologamente a tali negazioni; quindi affermazioni di autrice vanno relativizzate ad antieversione ed a conservazione e senza questo accorgimento possono per realtà europea trasformarsi in decostruzioni non culturali antipolitiche verso Italia ed impolitiche verso Ellade; tutt'altro che la Decostruzione filosofica culturale e non altro dal decostruire sociale-civile marxiano marxista antioccidentale, solo che esse inversamente non attivamente, civilmente-socialmente; ciò vale casomai di materie intellettuali trattate da autrice si ignorassero i rispetti e i non rispetti.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Aggiungo mie altre notazioni:


Iperdinamismo e precarietà che sarebbero in Europa, non sono in America.
Cultura europea non era ignara di potenziale democratico statale non solo dai pressi di Magna Grecia e Colonie Greche più occidentali ma pure dal mondo celtico e non solo dai pressi dei confini bizantini durante Medio Evo; e realizzazioni democratiche erano in Repubbliche Marinare e poi a Napoli, ma pure in Germania durante azioni di riforma religiosa politica quindi politica religiosa di Lutero e dei Prìncipi tedeschi; nondimeno Rivoluzione Francese non diede archetipo né prototipo a democrazie occidentali né europee, cui sistemazioni, anche in Francia exbonapartista, diverse o differenti o altre.

Separazione di obbligo giuridico ed obbligo politico ha senso per condizioni di vuoti di potere o in esperimenti anarchici o per rapporti politici monocratici , ove politica devoluta, questi in eventi di Oriente del Mondo.

Democratizzarsi o democratizzazione hanno bisogno di difesa interna a stesso potere politico e contro azioni di massa ostili.
Per democrazie e democraticità restano esterne le ostilità di massa cui potere di invadenza non può modificare ma cancellare Istituzioni democratiche o di democrazia.


MAURO PASTORE