mercoledì 2 marzo 2011

Elena Trapanese, Memoria e entrañamiento. La parola in María Zambrano,

Ipermedium libri, S. Maria C.V. (CE), 2010, pp. 152, € 14, ISBN 978-88-86908-94-8

Recensione di Sara Bigardi – 2/03/2011

Parole chiave: filosofia teoretica

Elena Trapanese è una giovane ricercatrice che si è cimentata nell’impresa di dare forma ad alcune intuizioni proposte dalla filosofa andalusa María Zambrano. Il suo lavoro di ricerca su Zambrano, iniziato con la tesi di laurea magistrale, ha trovato un’espressione arricchita in questo testo, in cui i cardini essenziali che muovono tutto il discorso sono la parola e la pietà.
Perché Trapanese ha scelto di interessarsi e di argomentare un pensiero complesso come quello zambraniano, lo dice chiaramente José Luis Mora García, cattedratico dell’Università di Madrid, nella Prefazione al testo. Mora motiva la passione di molti giovani studiosi per Zambrano, affermando che il pensiero della filosofa è prima di tutto problematizzante, in quanto non offre risposte, ma interroga la nostra esistenza, “dal momento che ci obbliga ad un esercizio di autenticità” (p. 14). La filosofia di Zambrano presenta una vigenza attuale non solo per i temi messi in gioco, ma soprattutto perché mostra un altro possibile modo di filosofare, che difficilmente si lascia catturare, come vorrebbe la filosofia accademica, in schemi precostituiti. 
Inoltre se ad alcune domande, come ad esempio: ‘è l’uomo di oggi chiuso in un autismo solipsistico, incapace di trovare forme di comunicazione, che permettano un dialogo con l’altro?’, oppure ‘c’è il rischio di una deriva totalitaria che rinnega la vita stessa?’ e simili, la risposta è positiva, significa che il pensiero di Zambrano non solo è attuale, ma va trasmesso, testimoniato e soprattutto praticato. 
È in questi termini, considerandola un punto di riferimento per la comprensione critica del reale, che Trapanese recupera María Zambrano come idea non inanimata, ma viva e diveniente, e scommette con coraggio per la sua poíesis (creazione di pensiero), la quale contribuisce ad aprire gli occhi su un nuovo orizzonte. 
In questo viaggio di scoperta e riflessione Trapanese si propone, innanzitutto, di rimanere fedele alle parole della filosofa, guidata da quel lascito, in cui María chiede di essere ricordata per la sua voce e la parola. Il libro infatti si conclude con le parole pronunciate da Zambrano in una conversazione con José Luis Abellan del 1984, in cui chiede di fare memoria della “Voce e la Parola – questo è ciò che voglio che resti di me nel mondo, quando me ne sarò già andata” (p. 145). 
Fare memoria non significa semplicemente ricordare, ma rendere attuale un desiderio (come quello di Zambrano), che riletto e trasportato nel presente, possa trasmettere nuove emozioni e nuova linfa per il pensiero. La fedeltà alle parole viventi di Zambrano è cura e attenzione per la verità che esse custodiscono, il che acquista, nel mondo culturale e simbolico in cui viviamo, l’importanza di una vera e propria pratica politica. L’ascolto delle tracce di ciò che è parola ‘perduta’ nella lingua viva, indica una via contro l’alienazione linguistica, la quale può essere combattuta con un movimento di pensiero che fluidifica una realtà cristallizzata, per mostrare tra noi ed essa una costellazione di corrispondenze. La relazione che l’uomo istaura con la realtà è mediata, secondo Zambrano, da una ragione ‘poetica’, la quale nasce come “un modo di aderire all’esistenza e di partecipare alla crescita dell’uomo” (p. 50). Trapanese dedica il primo capitolo del testo all’argomentazione di questa modalità di logos che Zambrano propone. Partendo da una previa lettura e interpretazione di due modi di darsi della ragione (‘tragico’ in Unamuno, ‘vitale’ in Ortega), Trapanese arriva a considerare la ragione ‘poetica’ di Zambrano, “come il tentativo di conciliare le due prospettive, salvando al tempo stesso la ragione, la vita delle viscere e la circostanzialità umana” (p. 40). 
Il logos mediatore di Zambrano risponde alla necessità di dare conto di un sapere, che non si riduce a mera conoscenza, ma che nel suo presentarsi come a-metodico, sappia aderire al ritmo della vita, sviscerandola, anche nei momenti di crisi, in cui le certezze sono sospese. Fondamentalmente la ragione ‘poetica’ è una ragione ‘pratica’, dal momento che interroga continuamente l’essere in fieri che siamo, nella discontinuità del tempo dell’esistenza umana. Lasciarsi guidare da questo logos, significa immergersi nelle zone oscure della vita, operare una catabasis (una discesa) dentro di noi,nella parte più intima che ci costituisce. El entrañamiento, questo andare in profondità in noi stessi, verso la nostra parte meno visibile: le viscere, deve avvenire senza che l’essere umano subisca passivamente il fascino di ciò che presentandosi lo seduce, ma cercando di assumere il peso delle passioni, in un processo di individuazione della soggettività, che sappia trovare parole in grado di raccontare l’esperienza guadagnata, senza rinnegare l’ontologia carnale delle viscere. È  proprio nel darsi della parola che si cerca, che la rivelazione dell’esistenza umana può essere intravista. Alle caratteristiche di questo presentarsi della parola, sono dedicati i capitoli II e III del libro. 
Trapanese inizia a descrivere che cosa Zambrano intende per metafora, arrivando a prendere in considerazione quelle che per la filosofa sono metafore vive, perché in grado di darci una comprensione nuova della nostra esistenza. Paradossalmente le metafore che Zambrano utilizza sono già dette: si pensi alla luce o alla metafora più usurata di tutte, quella del cuore. Zambrano, partendo da un universo metaforico per niente inedito, compie un’operazione vitale, che consiste nel ricondurre le metafore alla lettera. Riporta, in altre parole, le metafore al loro stato sorgivo, per ritrovare il senso che si è perso di quelle immagini, liberando così nuove rivelazioni. Le metafore “offrono luoghi di rivelazione al sapere mediatore tra circostanza e interiorità, offrono luoghi di dicibilità ed ascolto alla parola in grado di riscattare l’esistenza umana nella sua opacità” (p. 64). Con la metafora e l’azione del ‘tratto metaforico’ della lingua, entriamo nel corpo della parola, la quale oscilla tra il silenzio e il suono, il dire e l’ascoltare.
La scommessa proposta da Trapanese è quella di individuare come ambito di manifestazione della parola sia il campo del delirio, inteso come sua origine viscerale, sia l’esilio, avvertito come destino e categoria metafisico-esperienziale, in grado di riscattare la memoria, nutrice di vita. 
L’analisi della parola orale verte sull’importanza della voce, eccedenza della parola, e del silenzio, dimensione limite di cui la parola si nutre.
Partendo da una brillante intuizione di Adriana Cavarero, Trapanese individua nell’esperienza vocale qualcosa che “rinvia ad un’abissalità oscura e carnale: la voce scaturisce dalle viscere e a queste ritorna, come segno dell’inesauribile esposizione all’ascolto dell’altro (indispensabile perché il parlante si senta parlare e, sentendosi, si riconosca)” (p. 81). Il silenzio è invece il nucleo originario della parola, in cui essa nasce e ritorna in continuazione. La germinazione della parola avviene imparando ad ascoltare e a dar voce a questo silenzio. Nella sua precaria articolazione iniziale, la parola può sgorgare come balbettio, che accompagna il tremore di tutto ciò che è sul punto di nascere. Il balbettio è una delle figure dell’aurora, perché è una maniera “chiaroscurale di dire” (p. 82) qualcosa, ed è propria degli esseri liminari: i poeti, gli esiliati, gli idioti. 
Nell’analisi della parola scritta, Trapanese si concentra sui perché della scrittura. Da dove nasce la necessità di scrivere? Nasce dall’esigenza che ha la vita di esprimersi, dice Zambrano. L’attività propria dello scrittore è quella di mediare tra il delirio e la ragione, comunicando un segreto, che nascendo da un centro di solitudine, schiude uno spazio di condivisione. Nell’atto della scrittura (pratica di tutta una vita per Zambrano), non importa  che cosa si dirà, ma il qualcuno a cui ci si rivolge, perchè il lettore c’è da sempre, anche prima di scrivere. 
Ci sono diversi generi letterari, anche dimenticati, che la ragione poetica individua, tra i quali emerge la confessione, intesa non solo come genere, ma soprattutto come pratica esistenziale. Zambrano dedica un testo a questa modalità che ha la vita di esprimersi, e lo fa perché riconosce in essa una maniera di far uscire dall’esistenza qualcosa che non ha voce, in un tempo che non è inventato (come nel romanzo), ma reale. Trapanese descrive la confessione come “il centro in grado di far entrare la verità perché si inserisca e alimenti il suo movimento, la sua palpitazione sonora” (pp. 115-116), attraverso il cuore, organo che permette la condivisione della vita. 
L’ultimo capitolo è completamente dedicato alla pietà. Trapanese sottolinea da subito che in ambito filosofico la meditazione sulla pietà non è nuova, ma inizia già nel dialogo platonico Eutifrone; l’apporto di Zambrano alla riflessione su quello che lei definisce “il sentimento più originario” di tutti, è di un’importanza radicale e originaria. Infatti Zambrano ha sentito come necessaria e possibile una Storia della pietà, vale a dire una storia dei modi differenti che ha assunto l’uomo per trattare con l’altro, con la realtà sacra, enigmatica ed ermetica che viene sperimentata come resistenza. Non è quindi possibile prescindere da quella che è la radice nascosta di tutti i sentimenti, perché la pietà ci permette di trattare con il mistero della vita, che è dentro di noi, senza perderci per sempre. 
Coloro che si sono fatti guidare da pietà, senza smarrire il rapporto con il mistero che li avvolge, sono l’esiliato, Antigone e i Beati. Le pagine conclusive del libro sono a loro riservate. “Sono esseri del tra”, dice Trapanese, esseri di confine, che hanno imparato a trattare con l’eterogeneità del reale, offrendosi a una vita, che li obbliga a rinascere in continuazione. Antigone, che Zambrano considera la rivelazione del suo destino personale, è la figura archetipica della mediazione tra l’uno (l’io) e l’altro (il non io),  Antigone, che non muore, ma delira nella sua tomba, è colei che rivela e “inaugura la pietà come cura adeguata, rispettosa dell’altro: la pietà [che] non segue la legge dell’esclusione, ma dell’accoglienza, o meglio dell’offerta di sé ad altro, agli altri, proprio in quanto altri” (p. 133). 

Indice

Prefazione di José Luis Mora García
Introduzione
Capitolo I – Tra “ragione tragica” e “ragione vitale”: l’influenza di Unamuno e di Ortega y Gasset
“Ragione tragica”
“Ragione vitale”
“Ragione poetica”
Capitolo II – La parola tra il dire e l’ascoltare
La metafora
Il corpo della parola
Il silenzio della parola
Capitolo III – L’incontro con l’altro: la pietà
La pietà
L’esiliato. Il sepolto vivo
I beati
Conclusioni – Un ponte verso l’altra riva
Bibliografia

L'autrice

Elena Trapanese (Roma, 1985) si è laureata in Filosofia e Studi teorico-critici presso l’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi sul pensiero della filosofa María Zambrano. Si occupa di filosofia del linguaggio, di ermeneutica e di letteratura e filosofia spagnola. Attualmente è iscritta al Programma di Master e Dottorato in “Pensamiento Español e Iberoamericano” dell’Università Autónoma di Madrid.

Links

http://www.associazionesemiotica.it/soci/soci_v_d.php?recordID=99 (pagina dedicata ad Elena Trapanese presso l’Associazione Italiana di Studi Semiotici)
http://www.fundacionmariazambrano.org/ver.aspx?p=mariazambrano/biografia_1&m=mar (Biografia di Maria Zambrano)

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