lunedì 5 settembre 2011

Galluzzo, Gabriele, Breve storia dell’ontologia

Roma, Carocci, 2011, pp. 212, euro 18, ISBN 9788843057122

Recensione di Michele Paolini Paoletti – 28/02/2011

Gabriele Galluzzo, in questa agile e articolata introduzione alla storia dell’ontologia, delinea i tratti fondamentali di quattro questioni ontologiche: che cos’è l’esistenza? Che cosa sono gli universali? Come dobbiamo intendere gli oggetti concreti, nella loro unità ed individualità? E come bisogna concepire l’essenza delle cose?
Galluzzo esamina in modo sintetico e accurato sia l’approfondimento di tali questioni (e delle problematiche a esse connesse), sia le soluzioni offerte nel corso della storia del pensiero. Occorre tuttavia chiarire che, nonostante il libro sia una “storia dell’ontologia”, l’autore rifiuta espressamente, nella propria ricerca, qualsiasi impostazione storicistica, volta a intendere le tesi filosofiche come “fatti” di cui bisogna studiare “le cause, gli effetti, le connessioni e il contesto storico in cui si sono originati” (p. 13). Al contrario, Galluzzo ritiene che “la storia della filosofia è prima di tutto una storia di problemi filosofici” (ibidem). La scelta di questo approccio è ampiamente condivisibile, almeno a mio parere, giacché esso ha il merito di poter instaurare un confronto fecondo tra le tesi filosofiche di epoche storiche differenti, di poter allargare continuamente l’orizzonte dei problemi e, soprattutto, di poter arricchire la riflessione con nuovi risultati e nuove obiezioni. In una battuta soltanto: se non si condivide la riduzione della filosofia alla storia della filosofia, si deve guardare al passato primariamente nel tentativo di trovare sollecitazioni e risposte a interrogativi filosofici (in questa sede, ontologici) che rimangono sempre “attuali”.
Galluzzo, poi, connette la trattazione delle soluzioni del passato (esposte perlopiù in ordine tematico-argomentativo, e non già secondo la successione storica) all’analisi delle principali posizioni dell’ontologia contemporanea, soprattutto di matrice analitica. In questo modo, egli compie, per sua esplicita ammissione, un percorso “a ritroso”: a partire dalle soluzioni offerte nel dibattito contemporaneo sono chiariti successivamente i punti principali delle varie questioni e sono illustrare le soluzioni “classiche”. L’ontologia analitica è riconosciuta, pertanto, come autentica erede dell’ontologia antica e medievale e riceve, al contempo, un nobile e rilevante spessore storico. Aggiungo un’ultima nota introduttiva a questo lavoro: non si assume una distinzione netta tra ontologia e metafisica, poiché l’ontologia, dovendosi occupare di “ciò che vi è”, non può evitare di interrogarsi anche sulla “natura di ciò che vi è” (un compito che spetterebbe alla metafisica, almeno secondo la distinzione comunemente accettata). Del resto, è chiaro che, se l’ontologia deve occuparsi di problemi, ogni distinzione di ambito filosofico dovrà essere successiva all’esame dei problemi stessi.
Nella prima parte del volume, l’autore si occupa della nozione di esistenza o, meglio, del significato dell’esistere per gli enti. L’esistenza, dunque, può essere considerata o meno come una proprietà degli enti, così come si può accettare o meno una distinzione tra l’esserci di un ente e la sua esistenza. Allo stesso modo, si possono definire o meno vari significati del termine “esistere”, a seconda che si ritenga l’esistenza come predicabile univocamente, analogamente o equivocamente degli enti. Nel dibattito novecentesco, la fondamentale opposizione tra le tesi meinonghiane e neomeinonghiane, da un lato, e quelle russelliane, dall’altro, ha ridato particolare importanza alla trattazione di questa fondamentale questione ontologica. Il dibattito antico si muove tra Platone, Aristotele e lo stoicismo (scarsamente citato nelle esposizioni di questa tematica), ma è soprattutto Avicenna a proporre espressamente una nozione autonoma di esistenza. Alla trattazione del filosofo arabo seguono le complesse discussioni medievali sulla distinzione tra esistenza ed essenza, sino a toccare la posizione kantiana, che nega la capacità, da parte dell’esistenza, di aggiungere alcunché al concetto di una cosa. Desidero rilevare soltanto un’imprecisione nell’esposizione della dottrina di Tommaso d’Aquino: la distinzione tomistica tra esse ed essentia non può essere tradotta nei termini della distinzione tra existentia ed essentia. Tommaso utilizza pochissime volte il termine existentia e non lo usa come sinonimo di actus essendi. La distinzione in oggetto, appunto, è quella tra actus essendi ed essentia. La nozione tomista di actus essendi, dunque, esprime qualcosa di diverso sia dall’existentia di Avicenna, sia, soprattutto, dall’existentia della Seconda Scolastica: nell’ottica di Tommaso, un ente “esiste” nella propria totalità, mentre l’actus essendi (almeno nel caso degli enti creati) è un costituente metafisico dell’ente stesso. L’esistenza, allora, è predicata di “tutto” l’ente, mentre l’actus essendi è quell’atto “ultimo” dell’ente che consente, appunto, la sua esistenza: l’esistenza è esse in actu, l’actus essendi è esse ut actus. Tutto l’ente creato è in atto, ma solo un suo costituente è atto d’essere. È pur vero che una lunga tradizione interpretativa, da Bañez sino a Gilson, ha confuso existentia e actus essendi. Resta il fatto, tuttavia, che si tratta di due nozioni distinte.
La seconda parte del libro è dedicata alla questione degli universali o, meglio, allo statuto ontologico degli universali. L’ammissione degli universali nella propria ontologia, come chiarisce l’autore, permette di spiegare la comunanza di proprietà tra più cose, la predicazione e il riferimento dei termini astratti, il nesso tra tipi di cose. Anche in questo caso, la distinzione generale tra posizioni realiste e nominaliste è approfondita a partire dal dibattito contemporaneo, per volgersi poi alle teorie platoniche, aristoteliche e stoiche e alle soluzioni medievali. Galluzzo enumera una serie di ragioni favorevoli e contrarie a realismo e nominalismo, con una buona capacità di sintesi. Il paragrafo riservato alla filosofia moderna si concentra su Locke e Berkeley.
Nella terza parte dell’opera, l’autore considera l’unità e l’individualità degli oggetti concreti. L’espressione “oggetti concreti” pertiene maggiormente al dibattito contemporaneo che al dibattito antico e medievale: essa sembra avere senso soltanto nell’opposizione con gli “oggetti astratti” (proprietà, relazioni, numeri, etc.). Per isolare l’argomento, tuttavia, non paiono sussistere soluzioni migliori, dal momento che si sta trattando dell’unità e dell’individualità di oggetti individuali realmente esistenti. Con una terminologia aristotelica, potremmo affermare che questa parte è dedicata all’unità e all’individualità delle “sostanze prime”. Ad ogni modo, paiono confrontarsi soprattutto tre teorie rivali sullo statuto dei cosiddetti “oggetti concreti”: la teoria sostanzialista (che considera la sostanza come unità primaria e indivisibile rispetto alle sue proprietà), la bundle theory nelle sue molteplici varianti (che considera le sostanze prime come fasci di proprietà, universali o particolarizzate – i “tropi”), la teoria del bare particular (che riconosce in ogni oggetto concreto la presenza di un substratum che sostiene e “porta” tutte le proprietà). In seguito, con il consueto excursus storico, sono prese in esame le soluzioni tradizionali.
L’ultima parte del lavoro, infine, è dedicata alla nozione di essenza. La distinzione tra proprietà essenziali e proprietà accidentali di un ente è ricondotta direttamente alla trattazione aristotelica dell’essenza. Per lo Stagirita, l’essenza non è definita come l’insieme di proprietà che pertengono necessariamente ad un ente, ma come ciò che spiega le proprietà di un ente. In questo senso, è particolarmente rilevante la differenza tra proprietà essenziali e propria: le proprietà essenziali, che costituiscono necessariamente l’essenza di un ente e che spiegano le altre proprietà, sono diverse dai propria, che pertengono sì necessariamente a un ente, ma non ne costituiscono l’essenza, né valgono a definire quest’ultima. “Essere un animale razionale”, così, è proprietà essenziale dell’essere umano, mentre “ridere” è soltanto un proprium. Passando per Locke e Leibniz, Galluzzo giunge infine ad uno stimolante confronto tra l’essenzialismo aristotelico e quello di Saul Kripke.
La chiarezza di questo volume contribuisce a consigliarlo come una sorta di “invito” agli studi ontologici, senza esimere il lettore, naturalmente, dal compiere ulteriori e più approfonditi studi o dal riflettere personalmente sulla validità delle soluzioni filosofiche proposte. Non ci sono problemi filosofici che “tramontano”, né ci sono questioni filosofiche prive del richiamo a prendere personalmente posizione, con umiltà e, certamente, con le adeguate motivazioni.

Indice
Introduzione
1. L’esistenza
Introduzione
I problemi dell’esistenza
Esistenza ed essenzialismo in Aristotele
Esistenza e sussistenza. Aspetti dell’ontologia stoica
Esistenza e teoria dei due regni. Platone e la tradizione platonica
Il Medioevo e l’esistenza: univocità, equivocità, analogia
La distinzione fra essenza ed esistenza: Avicenna e Tommaso d’Aquino
Esistenza mentale ed essenze possibili: tentazioni meinongiane?
Kant: l’esistenza non è un predicato reale
2. Gli universali
Introduzione. La natura del problema
Realisti e nominalisti: un dibattito aperto
Tre teorie antiche degli universali
Il dibattito medievale
Il dibattito sulle idee astratte: Locke e Berkeley
3. Gli oggetti concreti
Introduzione. I particolari
Tre modi di concepire gli oggetti concreti
Il problema dell’unità degli oggetti nella tradizione aristotelica
L’aristotelismo rivisitato: l’ontologia dei costituenti
Riduzionismo e anti-riduzionismo in Leibniz
Il problema dell’individuazione nella tradizione aristotelica
Individuazione qualitativa e individuazione non qualitativa
Un’alternativa antica ad Aristotele: il Timeo
Locke e l’idea di sostanza
Tropi e fasci di tropi
4. L’essenza
Introduzione
Essenza come proprietà e essenza come principio: Aristotele e dintorni
Essenza reale ed essenza nominale in Locke
Essenza e necessità: problemi leibniziani
Il nominalismo: una breve riconsiderazione
Essenzialismo kripkeiano ed essenzialismo aristotelico: un confronto
Note
Bibliografia
Indice dei nomi

8 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Titolo e indice del libro sono in non contraddizione, infatti da essi si prospetta una storia incompleta oltre che breve ed il titolo non menziona completezze... Facile capire cosa manchi da prima: il riferimento principale, tra gli altri principali, a Parmenide. Ovviamente risulta anche il resto mancante, verso fine: il riferimento principale, tra gli altri principali, ad Heidegger; quello, prima che verso fine, all'ontologismo cioè alla dottrina moderna e filosofica degli enti.
Tante mancanze parrebbero proprio troppe, ma io consiglierei cautela nei giudizi, perché l'autore del libro inoltra alla disciplina ontologica secondo stessa disciplinarità ed a ridosso degli eventi che la hanno costituita, per derivazione dalla fenomenologia husserliana (non semplicemente fenomenologia, quella pur sempre avviata da Husserl) e mutazione-costruzione-mutazione filologica. In quanto tale la ontologia fu avviata da Heidegger nelle università tedesche ed europee ma solo assai più recentemente fu potuta accogliere nelle ufficialità accademiche a sèguito di ciò che è stata detta: la rivoluzione postmoderna della cultura storica, una progressione-diversificazione-riconsiderazione che dalla critica filosofica dell'arte in America del Sud alla politica filosofica in Penisola Iberica fino alla etica filosofica in Europa Mediterranea ha consentito oggettualizzazione extra-culturale e oggettualità culturale e viceversa oltre relazione reciproca culturale-extra-culturale degli studi ontologici-universitari, questi ultimi esistenti appunto da pochi decenni e prima esistenti solo studi universitari-ontologici. Anche in tal senso Heidegger lasciò proprio còmpito a metà, dunque non si tratta di immergersi nei meandri della sua filosofia per capire questi fatti, bastando riconsiderare la successione universitaria tra Husserl ed Heidegger e quanto di nuovo questi vi aggiunse e considerare il pensiero filosofico postmoderno; e cautela trovo da suggerire anche in considerazione delle condizioni particolari della filosofia accademica ed universitaria italiana, assai difficili per valutare la disciplina ontologica di studi, contesa in passato tra appropriazioni-rifiuti marxisti o marxiani e tra rivolgimenti-volgimenti clericali cattolici o cattolico-clericali, entrambi senza mai completa cognizione della significanza profonda dell'oggetto conteso. Infatti l'ontologismo fu una impresa di moderna filosofia che tra l'altro restituiva alle Accademie ed alle Facoltà la realtà delle lezioni di ontologia, dopo quelle dirette e indirette della scuola di Elea e dopo le lezioni tratte in Evo di Mezzo dalle cronache storiche su tale scuola e dopo le cronache moderne sulla cultura filosofica medioevale; ma tale restituzione non era solo per le facoltà di teologia rimastene prive di effettivi compendi né solo per le scuole restatene senza reali notizie, e i nuovi interessati erano anche studiosi di enciclopedie moderne ed orientalisti, poi economisti e sociologi e molti altri ed in periodi storici dominati da dissidi culturali vasti e terribili, estremi proprio in Italia, dove era Elea ed era sede della Chiesa Cattolica speso resa strumento di inquisizioni oscurantiste e dove il maxismo agì ed ha agito con energie ed impegni esorbitanti fino ad intolleranze più o meno occulte più gravi di quelle in Russia perché attuate con distacco poi per solo rifiuto e violento di tutto quanto costituito in Italia. In questo quadro la ontologia contemporanea in Italia è esistita per astuzie politiche rare ed esiste a causa di stoiche virtù e quel che si trova realizzato in quanto azione di resistenza diretta o indiretta va stimato con prudenza.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Il mio messaggio qui precedente contiene termine "speso" che sta per: spesso. Il senso della frase al pensiero intuitivo e logico era chiaro, in ogni caso per agio del lettore reinvierò mio testo corretto e forse ampliato.
Sono costernato per l'errore, che è derivato da necessità di privilegiare da parte mia altre attenzioni, a causa di altrui criminali intrusioni sonore esterne, insulti contro la mascolinità nordica e contro modi europei od anche arabi non beduini di indossare o non indossare indumenti.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Titolo e indice del libro sono in non contraddizione, infatti da essi si prospetta una storia incompleta oltre che breve ed il titolo non menziona completezze... Facile capire cosa manchi da prima: il riferimento principale, tra gli altri principali, a Parmenide. Ovviamente risulta anche il resto mancante, verso fine: il riferimento principale, tra gli altri principali, ad Heidegger; quello, prima che verso fine, all'ontologismo cioè alla dottrina moderna e filosofica degli enti.
Tante mancanze parrebbero proprio troppe, ma io consiglierei cautela nei giudizi, perché l'autore del libro inoltra alla disciplina ontologica secondo stessa disciplinarità ed a ridosso degli eventi che la hanno costituita, per derivazione dalla fenomenologia husserliana (non semplicemente fenomenologia, quella pur sempre avviata da Husserl) e mutazione-costruzione-mutazione filologica. In quanto tale la ontologia fu avviata da Heidegger nelle università tedesche ed europee ma solo assai più recentemente fu potuta accogliere nelle ufficialità accademiche a sèguito di ciò che è stata detta: la rivoluzione postmoderna della cultura storica, una progressione-diversificazione-riconsiderazione che dalla critica filosofica dell'arte in America del Sud alla politica filosofica in Penisola Iberica fino alla etica filosofica in Europa Mediterranea ha consentito oggettualizzazione extra-culturale e oggettualità culturale e viceversa oltre relazione reciproca culturale-extra-culturale degli studi ontologici-universitari, questi ultimi esistenti appunto da pochi decenni e prima esistenti solo studi universitari-ontologici. Anche in tal senso Heidegger lasciò proprio còmpito a metà, dunque non si tratta di immergersi nei meandri della sua filosofia per capire questi fatti, bastando riconsiderare la successione universitaria tra Husserl ed Heidegger e quanto di nuovo questi vi aggiunse e considerare il pensiero filosofico postmoderno; e cautela trovo da suggerire anche in considerazione delle condizioni particolari della filosofia accademica ed universitaria italiana, assai difficili per valutare la disciplina ontologica di studi, contesa in passato tra appropriazioni-rifiuti marxisti o marxiani e tra rivolgimenti-volgimenti clericali cattolici o cattolico-clericali, entrambi senza mai completa cognizione della significanza profonda dell'oggetto conteso. Infatti l'ontologismo fu una impresa di moderna filosofia che tra l'altro restituiva alle Accademie ed alle Facoltà la realtà delle lezioni di ontologia, dopo quelle dirette e indirette della scuola di Elea e dopo le lezioni tratte in Evo di Mezzo dalle cronache storiche su tale scuola e dopo le cronache moderne sulla cultura filosofica medioevale; ma tale restituzione non era solo per le facoltà di teologia rimastene prive di effettivi compendi né solo per le scuole restatene senza reali notizie, e i nuovi interessati erano anche studiosi di enciclopedie moderne ed orientalisti, poi economisti e sociologi e molti altri ed in periodi storici dominati da dissidi culturali vasti e terribili, estremi proprio in Italia, dove era Elea ed era sede della Chiesa Cattolica spesso resa strumento di inquisizioni oscurantiste e dove il maxismo agì ed ha agito con energie ed impegni esorbitanti fino ad intolleranze più o meno occulte più gravi di quelle in Russia perché attuate con distacco poi per solo rifiuto e violento di tutto quanto costituito in Italia. In questo quadro la ontologia contemporanea in Italia è esistita per astuzie politiche rare ed esiste a causa di stoiche virtù e quel che si trova realizzato in quanto azione di resistenza diretta o indiretta va stimato con prudenza.
Insomma da indice si direbbe che tal Galluzzi fa resoconto di studi disciplinari a prescindere da 'ismi' e da studi non pensieri scolastici.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Rettifico cognome citato: Galluzzo non (Galluzzi).

Per agio del lettore sono costretto a reinviare anche intero testo corretto.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Titolo e indice del libro sono in non contraddizione, infatti da essi si prospetta una storia incompleta oltre che breve ed il titolo non menziona completezze... Facile capire cosa manchi da prima: il riferimento principale, tra gli altri principali, a Parmenide. Ovviamente risulta anche il resto mancante, verso fine: il riferimento principale, tra gli altri principali, ad Heidegger; quello, prima che verso fine, all'ontologismo cioè alla dottrina moderna e filosofica degli enti.
Tante mancanze parrebbero proprio troppe, ma io consiglierei cautela nei giudizi, perché l'autore del libro inoltra alla disciplina ontologica secondo stessa disciplinarità ed a ridosso degli eventi che la hanno costituita, per derivazione dalla fenomenologia husserliana (non semplicemente fenomenologia, quella pur sempre avviata da Husserl) e mutazione-costruzione-mutazione filologica. In quanto tale la ontologia fu avviata da Heidegger nelle università tedesche ed europee ma solo assai più recentemente fu potuta accogliere nelle ufficialità accademiche a sèguito di ciò che è stata detta: la rivoluzione postmoderna della cultura storica, una progressione-diversificazione-riconsiderazione che dalla critica filosofica dell'arte in America del Sud alla politica filosofica in Penisola Iberica fino alla etica filosofica in Europa Mediterranea ha consentito oggettualizzazione extra-culturale e oggettualità culturale e viceversa oltre relazione reciproca culturale-extra-culturale degli studi ontologici-universitari, questi ultimi esistenti appunto da pochi decenni e prima esistenti solo studi universitari-ontologici. Anche in tal senso Heidegger lasciò proprio còmpito a metà, dunque non si tratta di immergersi nei meandri della sua filosofia per capire questi fatti, bastando riconsiderare la successione universitaria tra Husserl ed Heidegger e quanto di nuovo questi vi aggiunse e considerare il pensiero filosofico postmoderno; e cautela trovo da suggerire anche in considerazione delle condizioni particolari della filosofia accademica ed universitaria italiana, assai difficili per valutare la disciplina ontologica di studi, contesa in passato tra appropriazioni-rifiuti marxisti o marxiani e tra rivolgimenti-volgimenti clericali cattolici o cattolico-clericali, entrambi senza mai completa cognizione della significanza profonda dell'oggetto conteso. Infatti l'ontologismo fu una impresa di moderna filosofia che tra l'altro restituiva alle Accademie ed alle Facoltà la realtà delle lezioni di ontologia, dopo quelle dirette e indirette della scuola di Elea e dopo le lezioni tratte in Evo di Mezzo dalle cronache storiche su tale scuola e dopo le cronache moderne sulla cultura filosofica medioevale; ma tale restituzione non era solo per le facoltà di teologia rimastene prive di effettivi compendi né solo per le scuole restatene senza reali notizie, e i nuovi interessati erano anche studiosi di enciclopedie moderne ed orientalisti, poi economisti e sociologi e molti altri ed in periodi storici dominati da dissidi culturali vasti e terribili, estremi proprio in Italia, dove era Elea ed era sede della Chiesa Cattolica spesso resa strumento di inquisizioni oscurantiste e dove il marxismo agì ed ha agito con energie ed impegni esorbitanti fino ad intolleranze più o meno occulte più gravi di quelle in Russia perché attuate con distacco poi per solo rifiuto e violento di tutto quanto costituito in Italia. In questo quadro la ontologia contemporanea in Italia è esistita per astuzie politiche rare ed esiste a causa di stoiche virtù e quel che si trova realizzato in quanto azione di resistenza diretta o indiretta va stimato con prudenza.
Insomma da indice si direbbe che tal G. Galluzzo fa resoconto di studi disciplinari a prescindere da 'ismi' e da studi non pensieri scolastici.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In ultimo messaggio ho corretto anche altra parola: maxismo stava per: marxismo.

Ribadisco che sono costernato per gli errori, derivati da necessità di privilegiare da parte mia altre attenzioni, a causa di altrui criminali intrusioni sonore esterne, anche assai indirette ma non solo, insulti contro la mascolinità nordica e contro modi europei od anche arabi non beduini di indossare o non indossare indumenti.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Questa mia frase potrebbe essere di non chiaro intendimento per chi non già edotto:

'dove era Elea ed era sede della Chiesa Cattolica spesso resa strumento di inquisizioni oscurantiste e dove il marxismo agì ed ha agito con energie ed impegni esorbitanti fino ad intolleranze più o meno occulte più gravi di quelle in Russia perché attuate con distacco poi per solo rifiuto e violento di tutto quanto costituito in Italia.'

Si legga allora questa altra ampliata:

' dove era Elea e dove era sede della Chiesa Cattolica spesso resa strumento di inquisizioni oscurantiste e dove il marxismo agì ed ha agito con energie ed impegni esorbitanti fino ad intolleranze più o meno occulte più gravi di quelle in Russia perché attuate con distacco poi per solo rifiuto e violento di tutto quanto costituito in Italia. '

Per agio del lettore reinvierò testo con questa modifica.

MAURO PASTORE
'

MAURO PASTORE ha detto...

Titolo e indice del libro sono in non contraddizione, infatti da essi si prospetta una storia incompleta oltre che breve ed il titolo non menziona completezze... Facile capire cosa manchi da prima: il riferimento principale, tra gli altri principali, a Parmenide. Ovviamente risulta anche il resto mancante, verso fine: il riferimento principale, tra gli altri principali, ad Heidegger; quello, prima che verso fine, all'ontologismo cioè alla dottrina moderna e filosofica degli enti.
Tante mancanze parrebbero proprio troppe, ma io consiglierei cautela nei giudizi, perché l'autore del libro inoltra alla disciplina ontologica secondo stessa disciplinarità ed a ridosso degli eventi che la hanno costituita, per derivazione dalla fenomenologia husserliana (non semplicemente fenomenologia, quella pur sempre avviata da Husserl) e mutazione-costruzione-mutazione filologica. In quanto tale la ontologia fu avviata da Heidegger nelle università tedesche ed europee ma solo assai più recentemente fu potuta accogliere nelle ufficialità accademiche a sèguito di ciò che è stata detta: la rivoluzione postmoderna della cultura storica, una progressione-diversificazione-riconsiderazione che dalla critica filosofica dell'arte in America del Sud alla politica filosofica in Penisola Iberica fino alla etica filosofica in Europa Mediterranea ha consentito oggettualizzazione extra-culturale e oggettualità culturale e viceversa oltre relazione reciproca culturale-extra-culturale degli studi ontologici-universitari, questi ultimi esistenti appunto da pochi decenni e prima esistenti solo studi universitari-ontologici. Anche in tal senso Heidegger lasciò proprio còmpito a metà, dunque non si tratta di immergersi nei meandri della sua filosofia per capire questi fatti, bastando riconsiderare la successione universitaria tra Husserl ed Heidegger e quanto di nuovo questi vi aggiunse e considerare il pensiero filosofico postmoderno; e cautela trovo da suggerire anche in considerazione delle condizioni particolari della filosofia accademica ed universitaria italiana, assai difficili per valutare la disciplina ontologica di studi, contesa in passato tra appropriazioni-rifiuti marxisti o marxiani e tra rivolgimenti-volgimenti clericali cattolici o cattolico-clericali, entrambi senza mai completa cognizione della significanza profonda dell'oggetto conteso. Infatti l'ontologismo fu una impresa di moderna filosofia che tra l'altro restituiva alle Accademie ed alle Facoltà la realtà delle lezioni di ontologia, dopo quelle dirette e indirette della scuola di Elea e dopo le lezioni tratte in Evo di Mezzo dalle cronache storiche su tale scuola e dopo le cronache moderne sulla cultura filosofica medioevale; ma tale restituzione non era solo per le facoltà di teologia rimastene prive di effettivi compendi né solo per le scuole restatene senza reali notizie, e i nuovi interessati erano anche studiosi di enciclopedie moderne ed orientalisti, poi economisti e sociologi e molti altri ed in periodi storici dominati da dissidi culturali vasti e terribili, estremi proprio in Italia, dove era Elea e dove era sede della Chiesa Cattolica spesso resa strumento di inquisizioni oscurantiste e dove il marxismo agì ed ha agito con energie ed impegni esorbitanti fino ad intolleranze più o meno occulte più gravi di quelle in Russia perché attuate con distacco poi per solo rifiuto e violento di tutto quanto costituito in Italia. In questo quadro la ontologia contemporanea in Italia è esistita per astuzie politiche rare ed esiste a causa di stoiche virtù e quel che si trova realizzato in quanto azione di resistenza diretta o indiretta va stimato con prudenza.
Insomma da indice si direbbe che tal G. Galluzzo fa resoconto di studi disciplinari a prescindere da 'ismi' e da studi non pensieri scolastici.

MAURO PASTORE