Recensione di Davide Sisto – 21/03/2011
Se è vero che “i filosofi hanno finora solo diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di percepirlo. Anche atmosfericamente” (p. 13). Ma per percepire il mondo anche atmosfericamente è necessario, volens nolens, non eludere quella “vaghezza metafisica o de re” (p. 10) che, nel contraddistinguere l’entità-atmosfera, suona solitamente sinistra all’ontologia tradizionale e, in linea generale, a un pensiero filosofico di natura prettamente dimostrativa.
Se è vero che “i filosofi hanno finora solo diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di percepirlo. Anche atmosfericamente” (p. 13). Ma per percepire il mondo anche atmosfericamente è necessario, volens nolens, non eludere quella “vaghezza metafisica o de re” (p. 10) che, nel contraddistinguere l’entità-atmosfera, suona solitamente sinistra all’ontologia tradizionale e, in linea generale, a un pensiero filosofico di natura prettamente dimostrativa.
Eppure, chi può non essere d’accordo con Eugène Minkowski, quando si chiede retoricamente se mai saremmo capaci di rinunciare al fascino della notte, al mistero e alla vita intensa in cambio di un’assoluta chiarezza? Proprio nel vago si annidano coscientemente le speculazioni di Tonino Griffero in relazione all’atmosfera, tema tutt’altro che incoerente con il percorso di ricerca sin qui seguito dal filosofo. Il “prius qualitativo-sentimentale, spazialmente effuso, del nostro incontro sensibile con il mondo” (p. 7), in cui consiste l’atmosfera quale semi-cosa, è indubitabilmente prossimo a quella “corporeità spirituale” (Geistleiblichkeit), non del tutto identificabile con il provvisorio supporto materiale della vita organica, studiata dall’autore ne Il corpo spirituale. Ontologie sottili da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph Oetinger (Mimesis, 2006), e i cui retaggi risalgono ai numerosi lavori interpretativi del pensiero di Schelling. Un filo rosso, quello che unisce le atmosfere alla corporeità spirituale, sul cui sfondo aleggia la diffidenza nei confronti del dominante dualismo di matrice platonico-cartesiana che, esaltando l’attività di astrazione dell’ego cogito, svilisce la dimensione naturale e corporea, riducendola a mera materia estesa. Tale dualismo, nel disconoscere la distinzione fenomenologica tra il corpo-proprio (Leib) e il corpo fisico (Körper), là dove assimila superficialmente il primo al secondo (cfr. pp. 111-112), obnubila la sfera sentimentale dell’umano, le cui caratteristiche sembrano dover essere determinate dall’esclusiva evidenza logico-matematica stabilita dal Cogito attraverso una rigida astrazione dall’esperienza sensibile. La vaghezza che avvolge il concetto di atmosfera è, quindi, spiegabile attraverso il rimando costante, seppur implicito, a una sorta di intermedietà speculativa, che rimarca nettamente la differenza vigente tra Leib e Körper.
Ora, la difficoltà nel definire lo stato atmosferico non è dovuta al fatto che essa è riconducibile a una sua intrinseca rarità o eccezionalità, “ma, al contrario, perché tanto onnipresente, seppure talvolta inavvertito, quanto lo è la situazione emotiva [...] Non esiste probabilmente una situazione che sia totalmente priva di carica atmosferica” (p. 3). Nessuno potrà mai negare come l’atmosfera del pranzo sia diversa da quella della cena, come la nebbia, il crepuscolo o, in generale, le diverse fasi del giorno siano palesemente pervase da precise e trasparenti, seppur vaghe, tonalità emotive. Non si tratta mai soltanto di un “credere di percepire” (p. 13) o di “cogliere (presunti) dati sensibili elementari e solo in seguito o per accidens degli stati di cose” (p. 15), né siamo dinanzi a una condizione riconducibile a “oggetti coesi, solidi, continui, mobili solo per contatto, forme e movimenti discreti” (p. 14): l’atmosfera, che tocca nel profondo il nostro corpo-proprio, ci afferra come un di-più, il quale riempie uno spazio vissuto nei termini di “una vibrazione [...] in cui si incontrano e addirittura si fondono isomorficamente e predualisticamente percetto e percepiente” (p. 8). Un sentimento spazializzato che, nel rimandarci inevitabilmente alla tonalità affettiva che Heidegger tematizza – a dire il vero, in maniera non esaustiva – come modalità dell’essere-nel-mondo, permea ogni cosa ma secondo uno stato sovrapersonale, trans-oggettivo o pre-oggettivo, non lasciandosi collocare in nessun oggetto circoscritto (cfr. p. 107 e p. 114). Estetica degli spazi emozionali, recita il sottotitolo del libro: come si può evincere già da quanto sinora messo in luce, l’aspetto propriamente estetico della ricerca mai può prescindere dall’analisi fenomenologica di base, l’unica in grado di porre in evidenza l’autonomia e il valore ontologico dell’atmosfera, in quanto ambito di ricerca «attento più al velo e alla nuvola che occulta l’orlo della cosa che non a parametri strettamente funzionali» (p. 6). Appunto, un ambito di ricerca che all’unilateralità (realistica e idealistica) preferisce ciò che traspare nel mezzo. Semi-cosa, vaghezza, sentimento spazializzato, elemento che – di per sé – rende problematica ogni soluzione rigidamente dualistica: attraverso una puntigliosa descrizione dei vari paradigmi climatici, dei paesaggi, di concetti filosoficamente imprescindibili come il numinoso (con puntuali riferimenti alle teorie di Rudolf Otto), il genius loci, la Stimmung (tonalità emotiva fondamentale nella cultura tedesca), l’ambiance (onnipresente nella letteratura francese di fine XIX secolo) e l’aura, Griffero cerca di mostrare, anche attraverso una necessaria molteplicità di esempi tratti dalla vita quotidiana, come l’atmosfera non sia un che da interpretare quale esclusiva proiezione soggettiva sulle cose, ma piuttosto come una modalità ontologica nei confronti di cui siamo fondamentalmente recettivi, in primo luogo secondo parametri orosensoriali (cfr. pp. 69-75). La passività atmosferica del corpo-proprio in uno spazio vissuto esterno porta l’autore ad analisi di natura non solo estetologica, riguardanti soprattutto il design e l’architettura, ma anche di natura politica. Le molteplici espressioni di messinscena rituale, segnate da manifestazioni di massa, di propaganda, di strategismo politico, hanno infatti la loro evidente forza manipolativa proprio nelle atmosfere che portano seco (cfr. pp. 75-79).
Nella parte conclusiva di Atmosferologia, l’autore tira le fila del discorso sin qui riassunto stringatamente, evidenziando l’esigenza di ricondurre l’estetica sui binari teorici della conoscenza sensibile, esigenza che, tramite il tema atmosferico, si fonda su un rapporto uomo-mondo che trascende l’unilaterale e rigido binomio soggetto-oggetto, frapponendo tra la dimensione propriamente soggettiva e quella mondana il corpo-proprio e la sua ossimorica valenza corporeo-spirituale. Per dar sostegno a questa teoria, l’autore elenca una serie di modalità manifestative, di natura ontologico-fenomenologica, delle atmosfere, per cui esse a) “compaiono e spariscono, senza che ci si possa sensatamente domandare dove e in che modo siano esistite nel frattempo” (p. 126); b) “non agiscono come delle cause dell’influsso, ma sono l’influsso stesso” (p. 127), c) “non sono proprietà di qualche oggetto, ma coincidono in quanto semi-cose col loro carattere fenomenico” (ibid.), d) “sono un ‘tra’, reso possibile dalla co-presenza [...] di soggetto e oggetto” (p. 128), e) “sono relativamente (percettibilmente) emendabili, sono cioè cognitivamente penetrabili, anche se solo sul piano del senso comune” (p. 130), f) “devono pur avere una qualche identità” (p. 131). Inoltre, g) La loro esistenza ha luogo in modo improprio, “come stati meramente potenziali” (ibid.) e h) “possiedono dei confini, oltre i quali cessa effettivamente la loro efficacia” (p. 134). Infine, sembrano esistere nel nostro quotidiano i) “qualità atmosferiche relativamente perduranti” (p. 135), suscitate l) stabilmente od occasionalmente da cose o situazioni particolari, “a seconda [...] sia della costellazione di cui entrano a far parte (covarianza), sia dello stato d’animo di chi le considera (influenza ritenzionali e protenzionali)” (pp. 135-136). A conclusione di questo breve elenco di caratteristiche riepilogative del fenomeno-atmosfera, Griffero sottolinea gli effetti che ne possono conseguire, distinguendo atmosfere ingressive, sintoniche e antagonistiche. Le prime stabiliscono un coinvolgimento affettivo “quasi obbligato nel percepiente”, orientando in toto la situazione emotiva: è il caso, per esempio, della serenità di un paesaggio intesa non nel senso di una proiezione soggettivistica, ma nel senso di una tonalità intrinseca al paesaggio stesso (cfr. p. 137). Le seconde consistono nella coincidenza tra lo stato d’animo di colui che percepisce e lo stato d’animo esterno percepito (p. 139). Le ultime, infine, sono quelle opposte alle sintoniche; hanno, cioè, luogo quando si avverte un’atmosfera relativamente diversa da quella attesa (ibid.). A questi tre tipi di atmosfera, Griffero aggiunge i casi in cui scaturisce una stessa atmosfera secondo modalità spazio-temporali differenti o quelli in cui essa trova la propria fonte in oggetti (pp. 147-148).
Lavoro estremamente fascinoso e colmo di spunti in grado di aprire nuovi percorsi fenomenologico-estetici in direzione opposta a quella dualistica, Atmosferologia riesce a equilibrare la palese complessità dei suoi argomenti, ricchi di rimandi a molteplici autori contemporanei e non, con un numero considerevole di esempi, i quali permettono al lettore non avvezzo alla terminologia prettamente filosofica di comprendere le tesi di fondo e di cogliere il filo conduttore dei vari capitoli. Ovviamente, nella loro – consapevole e necessaria – vaghezza.
INDICE
Introduzione. Non uscire dal vago (ma starci nella maniera giusta)
- La percezione atmosferica
- Per una storia del concetto di atmosfera
- Atmosferologia
- Conclusione
Nessun commento:
Posta un commento