Recensione di Matteo Sozzi – 02/07/2011
È ormai un luogo comune interpretare l’attuale periodo storico usando la categoria di globalizzazione, a cui sovente è associato il concetto di cosmopolitismo. In questo modo, la tematica storica e filosofica del cosmopolitismo risulta talmente familiare e stereotipata da sbiadire la pregnanza e la complessità che assume nella cultura e nella filosofia politica.
Con questa pubblicazione, Angela Taraborrelli fornisce un solido presidio contro il rischio di impoverire la riflessione che nei secoli ha offerto spunti ed apporti di grande salienza alla prospettiva del cosmopolitismo. Si tratta di un contributo importante, sia perché il testo rappresenta la prima introduzione al cosmopolitismo contemporaneo in Italia, sia perché la tematica può rivelarsi non solo capace di fornire strumenti interpretativi del nostro tempo, ma anche guida preziosa nell’individuazione di prospettive per l’agire individuale e collettivo.
A proposito della complessità concettuale del cosmopolitismo, sembra opportuno ricordare che già all’origine, oltre 2300 anni fa, il tema presentava una serie irriducibile di valenze: il cinico Diogene di Sinope, che si definì per primo “cittadino del mondo”, con tale affermazione intendeva negare la propria appartenenza esclusiva ad una particolare comunità, ritenendo i legami sociali e di cittadinanza non positivi per la virtù individuale; al contrario, lo stoicismo greco e romano attraverso l’idea di cosmopolitismo volle assegnare ad ogni uomo l’imperativo morale di considerare ogni individuo come proprio concittadino, in virtù della comune condivisione del Logos universale. Questa compresenza di diverse concezioni e interpretazioni di cosmopolitismo resterà costante lungo i secoli: dal Medioevo, che lo rileggerà in prospettiva cristiana, all’Età Moderna fino a Kant, con il qualequest’idea diviene il cardine sia di una riflessione etica, sia di una proposta politico-giuridica. Entrambe queste prospettive kantiane saranno all’origine di grandi edifici teorici novecenteschi, tra cui, in ambito morale, il cosmopolitismo etico di Hanna Arendt, OnoraO’Neill, Martha Nussbaum, mentre in ambito giuridico, il pacifismo giuridico di Hans Kelsen, Norberto Bobbio, Jürgen Habermas, la giustizia sociale cosmopolitica di Charles Beitz e Thomas Pogge, la democrazia cosmopolitica di David Held e Daniele Archibugi.
La fecondità di questa speculazione è, inoltre, emersa con forza nella prima metà del Novecento, quando ha ispirato progetti giuridici e istituzionali assolutamente inediti nella storia dell’umanità: si pensi alla Società delle Nazioni prima e all’ONU poi.
Dagli ultimi anni del secolo scorso, infine, si osserva il continuo intensificarsi delle relazioni a livello planetario, che hanno reso gli individui sempre più cittadini di un unico “villaggio globale”. In questo contesto, da un lato, l’idea di cosmopolitismo sembra trovare realizzazione storica, dall’altro lato, la speculazione, che il cosmopolitismo ha generato e stimola tutt’ora, diviene lo strumento per descrivere e valutare i fenomeni politico-sociali in atto.Nell’epoca della globalizzazione, infatti, è la prospettiva cosmopolitica il miglior punto di vista per cogliere la crisi della democrazia, afferrare la profondità dell’indebolimento della sovranità degli stati nazionali, denunciare i limiti degli attuali ordinamenti internazionali, difendere il valore della cittadinanza globale, proporre criteri di giudizio sovrastatali e giudicare gli stessi processi di “glocalizzazione”.
Il testo, per offrire una panoramica esemplificativa della diversità degli apporti speculativi, distingue la riflessione nordamericana da quella europea. Il cosmopolitismo americano è presentato, in particolare,quale erede del paradigma liberale di J. Rawls e dei suoi sviluppi.Viene inoltre riportato l’interessante dibattito che si sviluppò negli anni Novanta del secolo scorso a partire da un articolo di Richard Rorty apparso sul “New York Times”, in risposta ad un intervento sul medesimo quotidiano di Richard Sennet. A Sennet, che sosteneva una visione multiculturalista, veniva rimproverato di aver ripudiato il sentimento di orgoglio nazionale in nome di politiche della differenza. Questi interventi suscitarono numerose reazioni e di fatto generarono una nuova stagione del cosmopolitismo americano,i cui protagonisti, tra i tanti, saranno Martha C. Nussbaum, Joshua Cohen, fino a Anthony K. Appiah, che sosterrà senza indugi la responsabilità morale di ogni individuo al di là della stretta cerchia di affiliazioni e appartenenze.
La riflessione europea viene illustrata a partire dal progetto di democrazia cosmopolitica, presentato per la prima volta nel 1993 da Daniele Archibugi, Richard Falk, David Held, Mary Kaldor con la pubblicazione del volume collettaneo Cosmopolis. E’ possibile una democrazia sopranazionale?. La convinzione che guidaquest’analisi è che solo la democratizzazione del sistema globale possa essere una valida garanzia per il rispetto dei diritti umani e per la pace; da ciò la proposta di una modifica del concetto di sovranità assoluta dello stato-nazione a vantaggio di una maggiore legittimazione giuridica dell’interferenza negli affari interni dei singoli stati sovrani. Questo progetto trovò ampio credito, sia perl’apporto teorico di Jürgen Habermas, sia perché l’attualità rendeva il tema di pressante urgenza. Erano, infatti, gli anni in cui la comunità internazionale si confrontava con le notizie dei massacri in Jugoslavia, con l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, con la guerra civile in Somalia. Nell’esposizione degli aspetti centrali di questa posizione teorica, l’autrice non manca tuttavia di segnalare la distinzione che si sviluppò tra coloro, come Mary Kaldor, che assegnarono un ruolo prioritario alla società civile e coloro, come David Held e Daniele Archibugi, che invece collocarono le istituzioni tra i principali protagonisti della trasformazione in senso cosmopolitico della società globale. Il primo punto di vista è solitamente denominato democrazia cosmopolitica civile, l’altro liberal-cosmopolitica. Il punto di partenza è peraltro il medesimo: l’attuale crisi delle democrazie occidentali è una sconfitta della forma storica della democrazia legata allo stato nazionale e non della democrazia come sistema di governo. Necessario, pertanto, è estendere il processo di democratizzazione che deve coinvolgere sia gli stati, sia la sfera internazionale, con l’obiettivo di dare rappresentanza politica agli individui parallelamente e al di là della rappresentanza che godono nei singoli stati. Centrale, quindi, per la Kaldor è la trasformazione in senso cosmopolitico dell’ordine globale e non solo delle istituzioni, quasi a produrre una “società civile globale”, mentre per Held e Archibugi è imprescindibile che i movimenti e la società civile diano vita ad istituzioni, che traggono dalle procedure democratiche la loro legittimazione politica.
In definitiva, l’autrice si prefigge di introdurre il lettore alle tematiche del cosmopolitismo e di comunicare la complessità e la ricchezza di una riflessione antica più che mai attuale. Senza dubbio, questa intenzione trova realizzazione in un testo che, senza banalizzare i contenuti, permette un approccio anche da parte di un lettore non specializzato in tali argomenti, che avvertirà in queste pagine non solo l’importanza della riflessione sul tema, ma anchel’urgenza e l’ineludibilità storica di un pensiero e di una maturazione culturale, oltre che etica e giuridica in senso stretto,a partire proprio dalle trasformazioni sociali, politiche ed economiche che solitamente si indicano con il termine“globalizzazione”.
Indice
Introduzione
Nota metodologica
- Il cosmopolitismo nordamericano
- Il cosmopolitismo europeo
Note
Riferimenti bibliografici
Bibliografiaessenziale
Indice deinomi
2 commenti:
La recensione non è esente da mancata distinzione tra universalismo imperiale romano, greco-romano, greco; tra universalismi in quanto tali ed universalismi quali manifestazioni di cosmopolitismi.
Il recensore procede per valutazioni storiche senza averne discernimento in tutto sufficiente: non basa sua descrizione sulla distinzione dei luoghi, America ed Europa, data invece dall'autrice, distinzione fondamentale per inquadrare argomento stesso della pubblicazione che senza riferimenti geografici antecedenti e determinanti non sarebbe un saggio sul cosmopolitismo.
Il cosmopolitismo può essere un oggetto di considerazione non partecipativa solo coinvolta, ma di fatto in se stesso è un soggetto di azione.
Identificarne parte di due distinte etnicità, americana ed europea, individuarne comunanza antropologica eccedente i due luoghi, Continenti, menzionati, significa istituire una relazione intellettuale con due mentalità particolari entro la umana mentalità, comune; ma ciò non basta a descriver intera soggettualità del cosmopolitismo. Infatti a tal scopo bisognerebbe passare a definizioni etniche ed espressioni antropologiche; da quanto il recensore offre al lettore, si dedurrebbe che tal soggettualità in pubblicazione recensita sia non assente ma quasi non presente; tuttavia per affermarlo bisogna individuare il non discernimento di stessa recensione e colmarne i vuoti per proprie deduzioni ed in ciò la recensione neanche dà elementi sufficienti al pensiero.
...
MAURO PASTORE
Il recensore concentra propria attenzione sull'àmbito civile, scontrandosi con menzione di necessità anche opposta, che da stesso argomento di pubblicazione emerge: àmbito civile essenzialmente diviso tra metafora-tramite e indicazione effettiva, di una Cittadinanza del mondo dunque rispettivamente propedeutica utopia e possibilità massima di intercambiabilità, ovvero: limite irraggiungibile ma segno che guida; capacità di poter esser cittadini ovunque ve ne sia anche sola possibilità non facoltà pure... Ciò che l'Internazionalismo, in Europa medioevale guidato da ebraismo ed in Occidente moderno condotto da giudaismo, riceveva dal valutare la Idea del cosmopolitismo.
Ma in Evo Antico tutto questo non c'era; v'era in principio la intuizione di un desiderio umano non privo di umane rispondenze ignote (anche in Diogene di Sinope), variamente dopo c'era bisogno di incontrare gli altri sconosciuti per mostrare quanto accaduto di diverso in mondo a questi ignoto; e la novità del pensiero greco era legata ad esistenze particolari però in necessità universalmente intuibili quindi si iniziava ad avvertire, nel divario tra spontaneità greca e artificiosità non greca, bisogno di nuovi diversi contatti umani tra differenti umanità reciprocamente non ancora conosciute; e ciò era movente, anche filosofico oltre che politico, delle spedizioni di Alessandro Magno in Oriente, che non solo di guerra erano ma pure viaggi necessari, ispirati da presenze in patria troppo spiacevoli ma immeritevoli di morte, cui rimedio nel Regno greco-macedone si sentiva esser conoscenza di altre umanità ma con unica la stessa vita possibile, da manifestare e creare per l'altrui compiacimento e gioia di esistere. Dai Regni Ellenisti restarono i Centri dell'Ellenismo specialmente altrove dai raggi di azione e confini della romanità imperiale, altrove cioè in Cina, India, nella Asia delle Montagne pressoché inaccessibili attorno ad Afghanistan e non solo, da ove giungeva notizie di uguali sorti ma senza rapporti di scaturigini occidentali, in Asia non ancora nelle terre ulteriori, non lontane dalla Siberia, cioè le Americhe; e i rapporti con l'Ellenismo ne davano possibilità anche a molti di questi nuovi greci, a volte solo diplomaticamente questi avendone; e tutto ciò fu la esperienza cosmopolita, da Antichità a Medio Evo, da cui sorse il pensiero concreto del cosmopolitismo... Invece la romanità nel frattempo ne ebbe solo di astratto, greco-romano non romano soltanto, per affermazioni di principio politico del Diritto. Tal evento continuando a Bisanzio non solo astrattamente, v'era però anche il cosmopolitismo greco-latino bizantino non romano che concretamente da Occidente vi preesisteva e cui vicende si legarono poi ai viaggi (o 'ritorni') "oltre l'Oriente", già alessandrini (notizia storica scarsamente diffusa, per un periodo nota a pochissimi in America) poi bizantini, dalle Colonie greche poi greco-russe in Siberia, attraverso Bering in Alaska e verso Sud prima di inizio di Epoca colombiana; in tal caso accadeva vita greca per contatto, notizia dei pochissimi greci ivi, non a causa di costoro, restandone testimonianze, raramente condivisibili, di origini precolombiane di luoghi dal nome greco (Philadelphia, Indianapolis...) e di uguali umane convivenze non ellenofone (in verità non condivisibili per ordinari racconti).
MAURO PASTORE
Posta un commento