Recensione di Lorenza La Spada - 28/07/2011
Appare per la prima volta in edizione italiana, a cura di Irene Strazzeri, un testo della filosofa e femminista Nancy Fraser che risale alla metà degli anni Novanta e che è ormai divenuto un classico delle teorie della giustizia. Si tratta di una raccolta di brevi saggi che si articolano attorno ai tre grandi temi cari all'autrice statunitense - il dilemma redistribuzione/riconoscimento, il concetto di sfera pubblica, il dibattito femminista - attraverso i quali si confronta direttamente o indirettamente con alcuni dei maggiori pensatori contemporanei: Jürgen Habermas, John Rawls, Charles Taylor, Jacques Lacan e Judith Butler, tra gli altri.
Le riflessioni proposte nascono dal desiderio dell'autrice di ridare linfa alla riflessione in materia di giustizia sociale in un momento (gli anni Novanta) di stasi post-ideologica e di benessere diffuso nelle società occidentali, nel quale c'era chi già parlava di "fine della storia" (Fukuyama).
La falsa antitesi redistribuzione/riconoscimento
La grande sfida che Fraser si propone è il superamento dell'antitesi tra due grandi istanze in materia di giustizia sociale: la redistribuzione economica, fulcro delle rivendicazioni degli anni Sessanta e Settanta, e il riconoscimento identitario, che si delinea come la nuova urgenza sociale. Nel dibattito teorico queste istanze diventano i due poli incommensurabili attorno ai quali si concentrano le riflessioni in materia di giustizia sociale. Ci si trova, infatti, di fronte a due tipi (analiticamente distinti) di ingiustizia e a due tipi (all'apparenza opposti) di soluzione: da una parte l'ingiustizia economica, che porta allo sfruttamento lavorativo, alla marginalità economica e alla deprivazione; dall'altra l'ingiustizia culturale, che si esplica attraverso forme di rappresentazione sociale e comunicativa che causano il misconoscimento delle diverse identità. Perciò, mentre la soluzione all'ingiustizia economica vorrebbe un'eliminazione delle differenze di partenza attraverso la redistribuzione, la soluzione all'ingiustizia culturale starebbe nella valorizzazione delle differenze di partenza (le differenze identitarie) mettendo in discussione il modello unico culturalmente dominante. Quello che Fraser riscontra, però, è che nella realtà questi due tipi di ingiustizia sono interdipendenti. Né la sola redistribuzione, né il solo riconoscimento, quindi, possono essere la vera risposta all'ingiustizia sociale.
Il dilemma se sia da ricercare la parità o la differenza è una questione che arriva dalla riflessione femminista e che si ripropone con grande forza anche davanti alla crisi del welfare nel capitalismo postindustriale. Un welfare costruito su un modello di famiglia tradizionale monoreddito con forme di impiego fisso (a carico degli uomini) e cura assistenziale privata (a carico delle donne) che non esiste più e che rischia, se non ripensato, di aprire nuove e drammatiche voragini di sfruttamento sociale (magari non più su base di genere, ma su base etnica o generazionale). Rimane però il problema se la giustizia possa trovare luogo nel cancellare le differenze (rendendo ogni cittadino un "procacciatore di reddito" universale e demandando alle istituzioni il ruolo della cura) oppure nell'impedire l'uniformazione, mantenendo la cura in ambito familiare, ma dandole una parità di riconoscimento.
Per superare questa falsa antitesi Fraser propone "una teoria critica del riconoscimento, che identifichi e supporti soltanto quelle politiche dell'identità che possono essere coerentemente integrate con le politiche dell'uguaglianza sociale" (p. 25).
Una pluralità di pubblici
Fraser tenta poi, attraverso l'introduzione del concetto di "contropubblici subalterni", una correzione del concetto di sfera pubblica.
Habermas lo aveva elaborato per delineare nel mezzo di quella che era la dicotomia classica pubblico (Stato) e privato (famiglia) un teatro di partecipazione politica e sociale dei cittadini di tipo discorsivo e razionale. Così inteso però, secondo Fraser, questo spazio rispecchierebbe un tipo di sfera pubblica europea e borghese universalizzata che non prende in considerazione altri tipi di pubblici nei quali diversi pezzi di società civile hanno agito, riflettuto e combattuto. Esso risulta quindi inadeguato per la critica dei limiti della democrazia nella società tardo-capitalista.
Identità sociali e teoria del discorso
Nella critica allo strutturalismo lacaniano Fraser cerca di sciogliere l'antitesi redistribuzione/riconoscimento togliendo il carattere psicologicistico alle istanze di riconoscimento identitario.
La teoria del discorso, che delinea la complessità dei significati e delle rappresentazioni dei sistemi linguistici, nel XX secolo è diventata di importanza centrale nell'analisi del fondamento delle identità sociali. Secondo Fraser "riducendo il discorso al sistema simbolico, il modello strutturalista elude l'agire sociale, il conflitto sociale e la prassi" (pag. 189); il lacanismo integra lo strutturalismo con lo psicologismo freudiano, ma rimane, secondo Fraser, bloccato in una visione che reifica la struttura linguistica e nega al soggetto parlante la centralità dell'azione nella prassi discorsiva.
Fraser ritiene invece più produttivo l'approccio pragmatistico alla lingua, perché questo considererebbe la pratica significante un'azione sociale e non una rappresentazione, dove i soggetti non sono più sottomessi al linguaggio e agli impulsi del subconscio, ma creerebbero un sistema linguistico sociale e storicamente determinato. A quest'idea Fraser collega anche il concetto gramsciano di egemonia, ritenendo che grazie alla visione pragmatista del linguaggio sia possibile pensare ad un sovvertimento volontario del modello dominante, permettendo così in concreto l'emancipazione dei gruppi discriminati su base culturale.
Dibattito femminista
Nell'ultima parte del libro sono raccolti una serie di interventi che propongono una ricostruzione delle diverse posizioni all'interno del dibattito femminista. Fraser ne trae una prospettiva volta a integrare la filosofia della differenza (accettata, però, solo nella sua versione antiessenzalista e decostruzionista) e le teorie socialiste.
Nuovamente il nodo si stringe tra uguaglianza e differenza, ovvero quale dei due presupposti sia condizione di democrazia. L'errore, secondo Fraser, sta nel formulare la questione sul piano politico-identitario invece che su quello economico-politico, e propone un progetto di compartecipazione dei due aspetti secondo il principio "niente riconoscimento senza redistribuzione" (p. 223).
Una concezione bidimensionale della giustizia
In sintesi il progetto di Fraser è quello di riconciliare le rivendicazioni di redistribuzione economica con quelle multiculturali, togliendo la radicalità psicologista ed essenzialista al concetto di identità culturale e valorizzando il pluralismo e le differenze all'interno della sfera pubblica. Vuole così delineare "una concezione bidimensionale della giustizia che includa entrambi: redistribuzione e riconoscimento. Cercando di sintetizzare paradigmi considerati di solito antitetici, propongo una strategia per combattere simultaneamente le due maggiori forme di oppressione: la gerarchia di status (o misconoscimento) e la dominazione di classe (o cattiva redistribuzione)" (pag. 12). Queste due dimensioni, però, non hanno lo stesso peso: il terreno della giustizia sociale rimane, secondo Fraser, la politica economica alla quale è possibile integrare alcune istanze di riconoscimento culturale che non siano in contrasto con l'uguaglianza sociale.
La propensione per la sfera economica e l'approccio tipicamente pragmatista sono ben evidenti anche nella struttura argomentativa: non ci si immerge in una complessa stratificazione antropologico-filosofica storicamente contestualizzata (come forse si aspetterebbe il lettore europeo), ma si procede ad un'analisi che schematizza anche tramite griglie (o matrici) le diverse posizioni politico-filosofiche, traendone attraverso degli incroci le possibilità di conflitto o di soluzione ed il grado di efficienza, in un vero e proprio calcolo di costi e benefici. Fraser, inoltre, rimane quasi sempre salda alle specifiche rivendicazioni delle categorie socialmente svantaggiate, con esempi concreti tratti dalla realtà statunitense.
Le idee proposte si sono subito inserite nel dibattito internazionale e naturalmente non sono mancate risposte e critiche, anche autorevoli e ben fondate: molto interessante è il confronto scaturito con Axel Honneth.
Fraser nel corso degli anni ha rivisto e integrato queste sue idee, che sono comunque rimaste a fondamento del suo pensiero, ed è lei stessa ad interrogarsi, nella prefazione all'edizione italiana, sull'attualità di questo saggio. Da quando, dopo il crollo del muro di Berlino, ci si trovava in un momento di stasi e benessere che sembrava un definitivo punto di arrivo, il mondo occidentale è stato stravolto soprattutto da due grandi avvenimenti: il cambiamento radicale dei conflitti geopolitici (non più di matrice ideologica, ma di matrice religioso-identitaria) e, attualmente, una gravissima crisi finanziaria che sta monopolizzando le paure e scoperchiando le drammatiche mancanze delle società tardo-capitaliste. Le minacce più gravi ed esplosive di queste crisi sono proprio in materia di giustizia sociale e vertono su quei nodi irrisolti di redistribuzione e riconoscimento che potrebbero degenerare in radicalizzazioni e conflitti sempre più profondi. Quello che rende oggi interessante la lettura di questo libro è che Fraser, in un momento di maturazione che appariva "finito", aveva capito che era necessario scorgere al più presto i limiti e le mancanze dello status quo, perché nelle faglie di quella incompiutezza che si accontenta di una superficie in apparenza compiuta si nascondono i problemi che porteranno alla crisi.
La forza di questa riflessione è insita nella sua natura di vero e proprio esercizio di pensiero critico: un pensiero che si può non condividere nelle soluzioni proposte, ma che di certo nel suo rigore, nella sua lucidità e nella sua forza propositiva rappresenta un ottimo spunto di riflessione e di consapevolezza anche sulle radici dei problemi e delle paure più attuali.
Indice
Prefazione all'edizione italiana di Nancy Fraser
Presentazione di Irene Strazzeri
Introduzione La giustizia incompiuta
I. Redistribuzione e riconoscimento
1. Dalla redistribuzione al riconoscimento?
Dilemmi di giustizia nella condizione "postsocialista"
2. Oltre il sussidio familiare:
Un esperimento di pensiero postindustriale
II. Sfera pubblica, genealogie e ordine simbolico
3. Ripensare la sfera pubblica:
Contributo alla critica della democrazia attualmente esistente
4. Sesso, bugie e sfera pubblica
Riflessioni sulla conferma di Clarence Thomas
5. La genealogia della "dipendenza":
Traiettoria di una parola "chiave" del welfare statunitense
6. Strutturalismo o pragmatismo?
Teoria del discorso e politiche del femminismo
III. Interventi femministi
7. Multiculturalismo, antiessenzialismo e democrazia radicale:
Una genealogia dell'attuale empasse nella teoria femminista
8. La cultura, l'economia politica e la differenza:
Su "Giustizia e politiche della differenza" di Iris Young
9. False antitesi: Una replica a Seyla Benhabib e Judith Butler
10. Oltre il modello servo/padrone:
Sul "Contratto sessuale" di Carol Pateman
2 commenti:
Questa pubblicazione di Nancy Fraser faceva, fa riferimento alla situazione del 'Dopo Guerra Fredda' e della 'fine del Dopo Guerra Fredda', in Occidente la fine di una egemonia, dell'esclusivo provvedimento, statale o partitico, istituzionale o non istituzionale, economico-sociale, in particolare in Stati Uniti di America e in altri luoghi americani dalle uguali conformazioni politiche ed economiche consistendo tale situazione nella fine della prassi socialista compensativa interna alle condizioni dettate dalla sola azione capitalista, che diventando esclusiva consente altri provvedimenti, sociali - economico-culturali e senza ideologie politiche socialiste e dunque secondo politica interna a stessi usi dei capitali e a relativi scopi.
Sconfitto il blocco comunista per il quale il provvedimento socialista doveva essere totalizzante e coinvolgente stesse strutture economiche di base, non era più necessaria al blocco capitalista azione compensativa per sottrarre le richieste interne di uguaglianza sociale alle egemonie esterne degli oppositori comunisti, ma di fatto all'incirca da anno 1989 fino ad anno 2012 restavano tali azioni compensative preferite o preferibili per cautela; dunque la pubblicazione di N. Fraser si colloca temporalmente a 'Dopo Guerra Fredda' quasi finito, per dare quadro di riferimento filosofico-politico sulle possibilità presenti e soprattutto future rispetto ad anno 2011.
(...)
MAURO PASTORE
(...) Nonostante il recensore a suo modo rammenti al lettore la provenienza della pubblicazione, una America cui situazione non differente ma pur sempre diversa anche da quella di Europa Ovest non solo da quella di Europa Est, resta che sua recensione offre più o meno implicitamente una non conveniente indistinzione, più temporale che spaziale, che in anno 2011 non era insensata ma pur sempre anti-obiettivante e che dopo anno 2012 è diventata anacronistica ed in verità confusiva o a rischio di confusione. Per questa negativa implicitezza, che di fatto è data da forma del considerare in analogia con le strutture formali del passato comunismo sovietico post-non-ex-leninista e in non-analogia col nuovo quadro sociale delineato da Gramsci e gramsciani, trovo che sia utile rifletter bene su titolo e sottotitolo del libro recensito, ove menzionata: giustizia e postsocialismo.
L'Autrice fa riferimento a necessità non opinabili di giustizia cioè non a creazioni di senso ma ad applicazioni legislative o secondo legislazioni da realtà politica priva di azioni dirette di Socialismo di Stato, ciò valendo per intero Occidente, a prescindere dalle forme politiche autocratiche russe, alle quali la pubblicazione non si riferisce con propri scopi che sono entro dialettica democratica-non-autocratica. Per questo, ugualmente ai tempi di amicizia con Lenin e del sindacalismo forte in America Settentrionale, l'Autrice, americana, può avvalersi di politologia radicalmente differente dalla sua, volta ad istituire entro rapporti sociali egemonici relazioni di egemonie specialmente culturali e secondariamente sociali. Questa funzione dialettica culturale-sociale, per il provvedere anche e specialmente economico, in America può accadere entro stessa unità egemonica ma differenziata ed in Europa entro molteplicità di egemonie, risultandone proprio per l'Europa impossibile applicazione univoca e diretta, essendo impossibile per la Europa una risoluzione esclusivamente culturale della fine del Dopoguerra ovvero per il termine delle conseguenze dirette del contrasto Est-Ovest del mondo cioè tra Comunismo e Capitalismo mondiali, dovendosi in Europa agire entro uso non diretto dei capitali in politica, situazione europea-non-americana questa. Per noi europei che viviamo in Europa, politicamente e non solo politicamente è necessaria una risoluzione etnologica oltre che antropologica che consideri i rapporti naturali stessi e non solo sociali poiché non ci basta o non ci basterebbe direzione politica culturale a sé stante e prevalente: sia perché l'istanza socialista resta più forte qui che Oltreoceano e allora l'abbandono del socialismo compensativo deve essere più radicale, sia perché le culture europee non ricevono in Europa alcunché di essenziale né di fondamentale dalla civiltà ed allora i poteri etnici ne devono essere referenti anche in cultura sociale e della socialità.
MAURO PASTORE
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