venerdì 28 ottobre 2011

Taddio, Luca, Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa

Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 401, euro 28, ISBN 978-88-5750-008-9
Recensione di Luca M. Possati
Tra concetto e percetto, tra Merleau-Ponty e Wittgenstein, alla ricerca di una fenomenologia “ribelle”, votata cioè alle singolarità empiriche e al senso autonomo di quel vedere che non è ancora un vedere-come, di quel contatto col reale che precede il logos interpretante e interpretato. 

La via tracciata da Luca Taddio nel volume Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa (Milano, Mimesis, 2001, pp. 401) è insieme provocatoria e affascinante: una fenomenologia “eretica” perché radicale, e radicale perché paradossale. In questo saggio Taddio prende una direzione inversa rispetto tanto alla vulgata fenomenologico-ermeneutico quanto all'ortodossia husserliana, ovvero una direzione che non va dall'apparire allogos, dal vissuto al suo senso, ma dal logos all'apparire, dal senso all'essere, al “silenzio delle cose”, quel che l'Autore chiama “un sistematico confronto con gli osservabili in atto” (p. 25). La trattazione dell'antepredicativo – “dobbiamo cercare di ricavare il significato della cosa dall'apparire in quanto tale” (p. 41) – si rivela in sé stessa aporetica e chiede il supporto di una psicologia della percezione e delle immagini poetiche di Borges. L'indagine si arricchisce così di sviluppi inattesi, creativi ed è questo il maggior pregio del libro.  
L'esperienza immediata non è neutra: possiede una struttura, un'intelligenza. Segna il nostro primo contatto con il mondo, anche se questo non significa che ogni conoscenza tragga origine da essa. “L'apparire fenomenico delle cose dev'essere accolto direttamente, anche qualora le cose osservate dovessero deludere o smentire le nostre aspettative di fini teoreti” (p. 35). Il secondo capitolo (preceduto da un'ampia introduzione che fa da primo capitolo) muove da questa ipotesi di lavoro e la sviluppa attraverso la critica di Severino al concetto di evidenza in Husserl. Oggettoprinceps dell'analisi è il cubo, corpo solido avente contemporaneamente sei facce. Il cubo è un paradosso per il fenomenologo perché “al fine di ottenere un giudizio apodittico e adeguato dovrei poter osservare le sei facce del cubo contemporaneamente” (p. 60). Dunque, un giudizio apodittico e adeguato sul cubo non è possibile. Tuttavia, Taddio mostra come il surplus di visibilità indicato da Husserl nella percezione del cubo, surplus che – stando al padre della fenomenologia – è un visibile potenziale da cogliere ed esplicitare, non sia “l'espressione di un contenuto intenzionale di coscienza, bensì l'esplicitazione di una visibilità che appartiene all'aspetto della cosa” (p. 63). È all'apparire come tale che dobbiamo guardare, solo ad esso. L'impostazione ontologica dell'ultimo Merleau-Ponty guida una serie d'interessanti esperimenti di visualizzazione del cubo, descritti con minuziosità anche attraverso il ricorso a schemi e a disegni. Il risultato è notevole: una risposta all'ipotesi scettica sul piano estetico-percettivo. La visibilità della cosa è insieme la condizione e la barriera del dubbio. Per dubitare di qualcosa, in maniera sensata, occorre un sistema di riferimento: “l'analisi percettiva àncora il dubbio all'apparire del mondo esterno mentre l'esame linguistico ne definisce il senso o l'insensatezza: congiuntamente, l'analisi percettiva e l'analisi linguistica costituiscono i criteri in grado di determinare la sensatezza e la plausibilità del dubbio” (p. 98). Non possiamo dubitare della percezione del cubo, pur non cogliendo insieme tutte le facce di quest'ultimo.
Il terzo capitolo, intitolato Non ''vedere come'' Wittgenstein, prende spunto da una trasformazione dell'esperimento sul cubo, vale a dire il passaggio dalla considerazione del cubo come cosa spaziale alla sua immagine. L'oggetto di riferimento è una raffigurazione particolare del cubo, il “cubo di Necker” – una figura bistabile, nella quale cioè il nostro sistema percettivo può orientarsi in due modi diversi. La tesi argomentata è che la distinzione tra vedere e vedere-come riguarda unicamente modi diversi di classificare una determinata categoria di cose e non investe la percezione visiva in quanto tale; quest'ultima – scrive Taddio – “è la nostra esperienza diretta del mondo così come lo incontriamo” (p. 115-116). E dunque, “ogni aspetto del mondo visibile è indice di un fatto sotto osservazione intersoggettivamente condivisibile e deve potere essere oggetto di un gesto ostensivo, che circoscriva i confini della percezione visiva rispetto ad altre attività cognitive” (p. 116). Taddio restringe abilmente il suo campo d'indagine agli studi psicologici dell'ultimo Wittgenstein: il percorso, arricchito dal contributo di importanti psicologi come Bozzi, Koffka e Kanizsa, mostra che la distinzione tra vedere e vedere-come è applicabile soltanto a certe cose e non ad altre. Tutto dipende dalle regole interne alla percezione: la pluristabilità di una figura non è determinata dalla volontà, dal concetto, dal ricordo di un'esperienza passata o da una conoscenza, ma dalla configurazione della cosa osservata. La visione è uno stato. Noi siamo coinvolti in esso e dobbiamo obbedire alle sue leggi. Il cubo di Necker cambia posizione: non sono io a interpretarlo diversamente, ma è proprio lui a muoversi nello spazio. Taddio cerca – e ci riesce, senza dubbio – di trovare il fondamento teorico di un tale “rovesciamento fenomenologico” in Wittgenstein e Merleau-Ponty, ma liberandoli dalla restrizioni imposte dalla psicologia del loro tempo. La profondità della percezione, della visione che s'impone al logos e “costringe il logos a pensare la cosa nella sua esteriorità, a cominciare dal suo aspetto” (p. 153), questa profondità è l'approdo di una “riduzione” del pensare.
Nel quarto capitolo l'Autore arriva alla questione essenziale dell'intera ricerca: la definizione dell'esperienza immediata, ovvero non mediata da concetti e da interpretazioni. È il luogo dove la distinzione tra apparenza e cosa in sé assume un senso molto diverso. Il recupero della “realtàincontrata” (p. 181) segue inizialmente un approccio descrittivo – il riferimento alla riflessione ontologica di Severino è sempre determinante – basato sull'analisi del linguaggio ordinario (la grammatica dei pronomi dimostrativi), dell'ostensione e della percezione visiva, ovvero “tutto ciò che può essere indicato e condiviso intersoggettivamente” (p. 194). Assistiamo qui a una seconda riduzione fondamentale nel testo di Taddio, quella che chiameremo una riduzione all'ostensibile in quanto tale, distinto da tutto ciò che sappiamo. Definire la percezione visiva per mezzo dell'ostensione significa poter includere in essa “tutto ciò che è oggetto di possibile indicazione, intersoggettivamente condivisa, ed escludere tutto ciò che è pensato, immaginato o rappresentato” (p. 197). L'ostensibile, la datità non riducibile, diventa il criterio di chiarificazione della conoscenza (teorie scientifiche, informazioni tratte da strumenti di misura, comportamenti, senso comune, ecc.). Una mossa non da poco: con essa si apre un terreno fecondo e  inesplorato, quello del confronto tra la fenomenologia sperimentale e la fenomenologia husserliana.
Su questo terreno si colloca il quinto capitolo del libro, un capitolo molto ricco e fondato su rigorose analisi percettive. “Il progetto di una teoria autonoma della percezione ha l'obiettivo di cogliere il fenomeno iuxta propria principia” (p. 243). Questa fenomenologia “si sviluppa attraverso i principi di complanarità delle variabili, secondo i quali le variabili dipendenti e indipendenti giacciono sul medesimo piano dell'osservabilità” (ibid.). E le variabili di cui tenere conto “sono quelle dei fenomeni e non quelle degli stimoli che producono i fenomeni” (ibid). Si sviluppa così un serrato esame critico di concetti quali monismo epistemologico, esse est percipipercept-percept coupling, percezione causale, descrizione causale, errore dello stimolo, tutti concetti che vengono ricollocati e ripensati in rapporto all'esperienza immediata. Il fenomeno, colto iuxta propria principia, “mostra come i poli soggettivo e oggettivo dell'apparire della cosa dipendano dal sistema di relazione implicito, che è in funzione dell'uso che intendiamo farne. […] A partire dalla struttura fenomenica della cosa il polo può essere soggettivo o oggettivo a seconda del sistema di riferimento assunto: l'assolutizzazione di una polarità rende l'altra aporetica” (p. 312). Abbiamo così una risposta al dubbio iperbolico, che altro non è se non la collisione tra due sistemi di riferimento.
Il volume di Taddio, che si avvale anche dell'ottima prefazione di Giorgio Derossi e della chiarificante postfazione di Marcello Losito, appare dunque come una nuova riflessione sulla fenomenologia, un'indagine originale che nasce dall'intreccio di campi scientifici talvolta considerati (a torto) lontani e da suggestioni teoriche notevoli.
Indice
Prefazione di Giorgio Derossi
  1. Introduzione
  2. Forse un dio ci inganna
  3. Non «vedere come» Wittgenstein
  4. L'esperienza immediata della cosa
  5. Il fenomeno iuxta propria principia
  6. Dialoghi conclusivi tra un percettologo e un metafisico
Postfazione di Marcello Losito

1 commento:

Anonimo ha detto...
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