mercoledì 23 novembre 2011

Macor, Laura Anna, La fragilità della virtù. Dall'antropologia alla morale e ritorno nell'epoca di Kant

Milano, Mimesis, 2011, pp. 194, euro 17, ISBN 9788857504414

Recensione di Gianluca Verrucci -  30/8/2011

Oggetto del saggio di Laura Anna Macor è lo studio del complesso rapporto che si snoda nel panorama culturale del tardo Settecento tedesco tra antropologia e morale, ossia tra ricerca empirico-psicologica intorno alla natura umana e giustificazione della virtù. È appena il caso di far notare che si tratta di un rapporto difficile, spesso contraddittorio, in cui confliggono opposte esigenze, quella della descrizione dei condizionamenti cui è sottoposta la natura umana, siano essi di natura sociale o psicologica, 



e quella della salvaguardia della libera responsabilità su cui poggia la pratica della virtù. In altri termini, l'indagine su come l'uomo è, per come si sviluppa nel Settecento tedesco con la scoperta delle oscurità della psiche, mina le fondamenta di un dover essere morale che ne rappresenti l'effettiva destinazione spirituale.
L'affresco della cultura settecentesca, specie di quella del Württemberg, che si trova alle prese con questo dilemma, è molto vivace, ricco di dettagli e sfumature; gli studi antropologici interessano non soltanto filosofi e psicologi (tra cui spicca la rivista di Karl Philipp Moritz, Magazin zur Erfahrungsseelenkunde 1783-1793) ma anche teologi, medici, romanzieri e poeti, tutti egualmente impegnati nel faticoso scavo delle profondità umane e altrettanto risoluti nel non voler rinunciare al divino impulso alla virtù che quelle indagini mettono pericolosamente in discussione.
In questo panorama spicca senz'altro la figura di Johann Georg Sulzer (1720-1779), wolffiano di formazione ma poi rivoltosi allo studio della psicologia empirica, cui si deve la scoperta della dimensione "oscura" della psiche umana. Il suo Kurzer Begriff (uscito nel 1745 e riedito nel 1759) sarà il manuale su cui si formeranno a Stoccarda e Tubinga nientemeno che Schiller, Hölderlin, Hegel e Schelling. Sulzer pone in netta antitesi la conoscenza intellettuale e il sentire. Il primo momento, pur essendo importante per la conoscenza del mondo esterno, agendo per astrazione non fornisce alcuna spinta propulsiva ed anzi è incapace di opporsi ai moventi egotistici della sensibilità. Sulzer afferma che alla radice dei comportamenti immorali, che spesso sfociano in gesti criminali, vi sarebbero i pregiudizi in cui si sedimentano le esperienze affettive della prima infanzia, che continuano poi ad agire sulla vita adulta fuori dal possibile controllo della ragione. Questa antitesi trasportata sul terreno morale conduce Sulzer ad esaltare, ai fini dell'educazione morale, il valore psicagogico dell'arte e dell'esperienza estetica, specie di quella drammaturgica, capace di mediare tra la sensibilità disordinata delle passioni e l'astrattezza dell'intelletto.
Il dualismo sulzeriano è poi recepito nell'ambiente della Karlsschule di Stoccarda grazie a personalità del calibro di Jakob Friedrich Abel (1751-1829) e di August Friedrich Bök (1739-1815), quest'ultimo docente di Schiller, Hegel e Schelling a Tubinga. Il primo in particolare, si dimostra molto attento al legame tra psicologia e fisiologia nello studio dell'uomo pur non rinunciando alla giustificazione della prescrittività della morale. Secondo Abel l'uomo, pur facendo esperienza di un'innata benevolenza nei confronti degli altri uomini, sarebbe avvolto in condizionamenti ambientali e psicologici tali per cui la moralità è possibile soltanto come forza dell'anima che risolutamente vi si oppone volgendo a proprio favore, mediante la facoltà dell'attenzione (Aufmerksamkeit), il meccanismo psichico delle rappresentazioni e delle idee che altrimenti condurrebbe l'uomo spontaneamente verso il piacere. Fa brillantemente notare l'autrice: "Il saggio è insomma colui che attraverso un lungo esercizio, attraverso molti sforzi e attraverso innumerevoli sofferenze è riuscito a imporre la propria volontà sul meccanismo e a rendere così la morale una sorta di meccanismo fisiologico-psicologico acquisito. L'unica possibilità per garantire alla virtù un'esistenza non meramente umbratile è quindi quella di ancorarla al contesto materiale che rischia di distruggerla e che deve invece diventare la sua nuova base" (p. 72).
Abel è maestro di Schiller a Stoccarda dal 1776 al 1780. Il giovane Schiller pertanto, iscritto agli studi di medicina, assorbe tutta la problematicità che l'approccio fisiologico e psicologico del maestro rappresenta per la morale. Dopo aver abbandonato l'idea che l'attenzione da sola possa rendere effettivo il comportamento virtuoso, Schiller medita le analisi di Sulzer sul carattere oscuro e ingovernabile delle passioni, rivolgendosi poi, per lo più in scritti letterari, alla giustificazione dell'autonomia della morale sia dalla metafisica (cioè dall'idea di una retribuzione futura per il comportamento virtuoso) che dall'egoismo delle passioni, nella direzione di un'etica dell'intenzione. "I risultati a cui giunge Schiller sono due: autonomia della virtù da ingerenze metafisiche e fondazione del tutto immanente" (p. 107). Con Schiller il conflitto tra condizionamento fisio-psicologico e libertà non viene però del tutto risolto e rimane vivo a Tubinga, ancora durante la piena fioritura del criticismo e oltre, grazie agli studi di psicologia empirica di Abel e Immanuel David Mauchart (1764-1826).
La sopravvivenza del motivo fisio-antropologico nello studio della natura umana e nella descrizione della morale, è attestata dalle critiche e dai tentativi di integrazione proposti a Jena da sostenitori e avversari del criticismo. Tramite la lezione di Reinhold, che si sofferma sul concetto kantiano di rispetto (Achtung) e di interesse, si impone la nozione di impulso (Trieb) quale mediazione tra prescrizione astratta ed esecuzione, riproponendo così motivi sulzeriani all'interno di una traiettoria che pretende invece di rimanere 'an-antropologica'. L'esigenza di recuperare la dimensione affettiva della sensibilità come movente morale, pur in contraddizione con il criticismo, è ben manifesta in Fichte, Schiller e Hölderlin. Particolarmente interessante è la ricostruzione del rapporto tra Schiller e Kant, da interpretarsi alla luce di un recupero, da parte del primo, di un movente sensibile che non rinuncia alla doverosità dell'azione morale rappresentata dall'imperativo categorico: la formazione del carattere. Conclude l'autrice: "L'etica della perfezione, relegata da Kant a principio materiale di determinazione del volere, viene riabilitata in misura impressionante e contribuisce a creare le condizioni per cui si può parlare di educazione estetica e perfezionamento della sensibilità. Di tutto questo processo, Schiller è solo l'esempio più macroscopico" (p. 162).
Come si vede, la ricchezza dei temi proposti e la precisione dell'analisi, rendono la lettura di questo lavoro imprescindibile per chiunque voglia approfondire le radici storiche e filosofiche di un conflitto che ancora oggi è ben lontano dal dirsi risolto.


Indice del volume

Introduzione
1. L'oscuro si fa strada: Johann Georg Sulzer
2. L'ascesa dell'antropologia nel Württemberg
3. Verso una fondazione non antropologica della morale: il giovane Schiller
4. La psicologia empirica a Tubinga
5. ...alla morale e ritorno: il paradossale recupero dell'antropologia dopo Kant
Conclusioni
Bibliografia

Nessun commento: