lunedì 14 novembre 2011

De Monticelli, Roberta, La questione morale

Milano, Raffaello Cortina, 2010, pp. 186, euro 14, ISBN 978-88-6030-369-1

Recensione di Tiziana Gabrielli –  15/04/2011

«Corruzione, opportunismo, disonestà: come siamo arrivati a questo? Esiste una terapia?». A questi interrogativi cerca di rispondere il volume di Roberta De Monticelli, ripensando le radici dello scetticismo pratico, a tal punto dilagante nella vita economica, civile e politica del nostro Paese da corrodere l’etica pubblica e compromettere severamente una rifondazione dell’«unità della ragione» (Premessa, p. 13), ossia dei nessi fra etica, diritto e politica, come sfere aperte alla ricerca di verità. 



Questa è infatti la tesi centrale del saggio: «La questione morale è - in estensione - la questione del possibile rinnovamento dei nostri mores, delle nostre abitudini quotidiane. Ma è in profondità la questione di cosa questo rinnovamento significhi, di quali siano le condizioni alle quali esso è possibile. Il rinnovamento è possibile solo se, oltre la superficie mediatica in cui prevalgono (ed entro certi limiti è inevitabile sempre) disinformazione e distorsione del vero, la nostra esperienza morale è invece fondamentalmente aperta al vero» (p. 14). 
Dopo aver attraversato le «neosofistiche» del Novecento (soggettivismo, relativismo, determinismo tragico, decisionismo, nichilismo), De Monticelli avverte che «opporsi allo scetticismo pratico significa anche difendere la realtà delle persone che siamo, insieme alla serietà della nostra vita» (p. 21). L’architettura del libro è articolata in tre parti: le prime due offrono un excursus storico-diagnostico della questione morale nel pensiero novecentesco, sia nello specifico italiano sia in quello europeo. La terza, la pars construens, intende prospettare possibili vie di uscita dal male (cfr. p. 22).
Nella prima parte, dal titolo Male nostrum, la filosofa ripercorre la storia della questione morale, in particolare attraverso una lettura di Guicciardini e Leopardi in rapporto all’Italia di oggi. Il “particulare” di Guicciardini si oppone all’universale, ma va distinto dall’individuale, «come il tornaconto dall’autonomia» (p. 53). La «minorità morale e civile», a cui sembrano destinati non soltanto l’«uomo del particulare» (p. 55) del XVI secolo, ma anche i «non-individui» (p. 57) della società contemporanea, costituisce, secondo la studiosa, una delle cause dello scetticismo pratico, manifestatosi con la fine dei partiti di massa novecenteschi: «L’individualità delle persone moralmente adulte non solo non si oppone affatto, ma è fondamento e perno dell’universalità delle leggi, e in particolare dell’universalità del dovere morale, che è il dovuto da ciascuno a tutti. Invece il “particulare” (...)  - la diffusa volontà di partecipare al privilegio, all’eccezione, al favoritismo - si oppone precisamente all’approfondimento della propria responsabilità individuale nei confronti di tutti» (p. 55). 
Tra le cause principali della «profonda depressione dell’individualità personale, sola portatrice possibile di libertà e moralità, a profitto del particolarismo servile da un lato e della logica di consorteria dall’altro» (p. 70), De Monticelli annovera anche la “paradossale” diffidenza della Chiesa cattolica (fino al Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae) nei confronti dell’individualità - che da Severino Boezio, ad Agostino e Duns Scoto - è stata invece concepita come «la sola sede possibile dell’anima» (p. 71). Dopo aver espresso severe riserve rispetto alla potestas indirecta della Chiesa romana sullo Stato nelle battaglie «per la difesa e lo sviluppo dei diritti civili » ((p. 78), l’autrice giudica intollerabile che essa si presenti «allo stesso tempo come risorsa etica, come fonte di una moralità che le moderne società occidentali avrebbero invece smarrito. Anzi l’intollerabile non è che lo dica il magistero stesso: ma che lo ripetano i più accreditati intellettuali e filosofi, e non solo da noi» (ibidem). 
La questione morale ha, per De Monticelli, una storia profonda e complessa che nessuna teoria politica o etica è riuscita a decifrare (cfr. p. 83). Questa storia è quella della modernità e consiste nella «graduale erosione del fondamento tradizionalistico e religioso dei costumi e delle istituzioni a vantaggio della coscienza personale», con un progressivo assottigliarsi dello «spessore di oggettività degli oggetti sociali: altari e tribunali, matrimoni e mestieri...» (ibidem).  
Se questo aspetto è noto, molto meno lo è, rileva l’autrice, il «processo di “umanizzazione” - di riconduzione ai suoi soggetti ultimi, le persone umane - della vita sociale», che «corrisponde anche a una progressiva estensione dell’ambito delle opzioni soggette alla scelta e responsabilità e alla giurisdizione della ragione» (pp. 84-85). Si va perdendo di vista, quindi, «la ragione come filosofia» (p. 85), ovvero l’abitudine socratica «a chiedere perché», a «rendere ragione (logon didonai), a cercare giustificazione per qualunque presa di posizione o giudizio o convinzione propri, che riguardi l’essere, il valere o il dovere» (pp. 85-86). 
L’esercizio della ragione va quindi integrato con i concetti di valore e persona (cfr. p. 96). Ma la domanda cruciale è: «E' veramente possibile una fondazione razionale del pensiero pratico? Esiste una ragione pratica?» (p. 100). Una delle tesi dello scetticismo pratico del XX secolo era infatti che non vi fosse verità o falsità nei valori in gioco. Questa tesi si fondava su almeno due pilastri: l’idea weberiana del “politeismo dei valori” e la “grande divisione”, d’origine humeana, fra is e ought, fra descrittivo e normativo (cfr. p. 103). «La questione di come la pluralità delle scale di valore - o delle “concezioni del bene” - possa non implicare relativismo morale e/o guerra civile continua è il problema fondamentale dell’etica, e il cuore della questione morale. Lo è più in particolare oggi, nelle nostre società multiculturali» (pp. 108-109). 
Il problema fondamentale dell’etica, nel terzo millennio, è quindi di comprendere che non solo esiste un pluralismo senza relativismo, ma che il pluralismo - proprio in quanto non implica il relativismo etico - rende possibile la costruzione di una vera e giusta democrazia (cfr. p. 131). Alla base dello scetticismo assiologico ed etico De Monticelli - riprendendo le osservazioni di Husserl nel corso di filosofia morale tenuto ad Halle nel 1897 - vede una radicale dissociazione, di matrice kantiana, fra esperienza dei valori e ricerca della verità (cfr. p. 135). «I nostri “perché?” - scrive la studiosa - non potrebbero sorgere senza l’esperienza dei valori» (p. 137), senza la quale la vita sarebbe priva di senso e le persone prive di identità, così come senza la ragione saremmo ancora prigionieri nella caverna (cfr. p. 138). Ed è qui che il pensiero pratico di Kant, secondo De Monticelli, trova il suo limite irriducibile: «non è la persona a costituire i valori, ma sono i valori a costituire la persona - quando essa vi consente, vi si “identifica”» (p. 140). 
Esiste allora un’alternativa al relativismo? Qual è la via per “tornare a respirare”? Nell’epoca della multiculturalità la diversità delle vocazioni assiologiche è una risorsa etica, nel senso che «è in assoluto (e per tutti) un bene che ciascuno realizzi il massimo di valore conforme al proprio ordine di priorità» (p. 147), purché compatibile con le norme universalmente obbliganti. Se invece un determinato orientamento di valore, inscritto in un determinato ethos, pretende di fondare un ordine universale, allora può nascere il conflitto, rispetto a cui le soluzioni standard fino ad oggi sono due: quella progressista di un «pluralismo che accetta il relativismo» etico (o scetticismo pratico, asservito alla logica della guerra e all’idea sofistica della giustizia come volontà del più forte, cfr. p. 150) e quella di un «antirelativismo che rifiuta il pluralismo», madre di ogni fondamentalismo illiberale (cfr. pp. 147-148). Non a caso Socrate insegna a Eutifrone che non la tradizione, la religione o il mito costituiscono una risorsa normativa, bensì il “dato” che noi vediamo il male di cui siamo capaci. È infatti la ragione che è in grado di spiegare il perché di una norma che impedisce o limita torti, ineguaglianze e ingiustizie (cfr. pp. 85-87).
«Come uscire dall’impasse?» - si chiede quindi De Monticelli nella pars construens del volume. In primo luogo occorre distinguere ethos ed etica, per poi esplicitarne la relazione (pp. 151-152). La filosofa ricorda la formula dell’etica: quello che «è dovuto da ciascuno a tutti è lo stesso diritto a vivere e fiorire secondo il proprio ethos, che si chiede per sé. Ogni ethos che viola questo dovuto è a priori incompatibile con l’etica» (p. 153). Questa formula coniuga l’antica concezione della giustizia, suum cuique tribuere, con i principi della libertà e dell’eguaglianza “in pari dignità e diritti” delle grandi Dichiarazioni dell’Età dei diritti (si veda, ad esempio, l’articolo primo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del ’48; cfr. pp. 153-154). 
La novità di quella che Bobbio definisce “l’età dei diritti” è quella di vedere nell’ordinamento giuridico delle moderne democrazie non soltanto «un mezzo di giustizia, ma un luogo di scoperta del giusto» (p. 156). Non si tratta quindi soltanto di garantire «il dovuto da ciascuno a tutti», ma di «scoprire attraverso il confronto e non più lo scontro delle diverse concezioni del bene sempre nuovi aspetti di questo dovuto» (ibidem). È in questa direzione che occorre ritrovare nel pensiero l’unità della ragione pratica attraverso le sue divisioni» (p. 157). 
Nel passaggio mai pienamente compiuto dalla “libertà dei sudditi” alle difficili virtù della cittadinanza, la partita contro lo scetticismo pratico è ancora aperta e non è solo teorica, bensì pratica, cioè politica: «Forse il diritto di diventare moralmente adulti è da iscrivere fra gli aspetti nuovi del dovuto da ciascuno a tutti» (pp. 164-165). Incarnare la ragione pratica nelle istituzioni democratiche moderne, «virtualmente di una moderna società cosmopolitica», «è il solo mezzo perché essa cresca liberamente nella vita delle persone, perché della loro vita e della loro esperienza morale si nutra» (p. 168). L’insieme dei principi costitutivi della nostra vita di cittadini, osserva Jeanne Hersch, non è che «la garanzia che preserva un vuoto» (ibidem). 
Secondo De Monticelli, la minorità e l’imbarbarimento morale e civile si combattono «risvegliando le coscienze alla serietà dell’esperienza morale, che in ogni individuo deve rinnovarsi» (p. 180), «prendendo posizione rispetto all’ethos della comunità in cui si è cresciuti, o ad aspetti di esso. Questa capacità di autenticare o no un ethos a seconda che sia o no fonte di vita autentica per noi è la nostra autonomia morale» (p. 184). L’etica, il diritto e la politica, conclude, devono riprendere con urgenza «la via di Socrate» (cfr. p. 186), l’unica ancora capace di indicare il cammino a chiunque voglia essere o diventare una persona libera e responsabile di fronte a se stessa, agli altri e alla storia. 




INDICE


Premessa


1. Rinnovamento e questione morale
La svendita della ragione pratica


Male nostrum


1. Minima immoralia: una gloriosa tradizione
Far le cose all’italiana
Facce patibolari
“Particulare”, individuo e comunità
“Moralismo” e “Individualismo”
La Chiesa e il nichilismo morale


Lo scetticismo etico        


1. Il vero orizzonte della modernità
Una civiltà fondata in ragione
Per una nuova teoria della ragione
Una partita ancora aperta
La coscienza sprezzante, la coscienza danzante, e la sinistra senza ragione
Valori, pluralismo, relativismo        




Tornare a respirare


1. Valori e ragione
Ethos: questioni di vita o di morte
Etica: il dovuto da ciascuno a tutti
Rinnovarsi: il circolo virtuoso
L’autonomia morale e la vita autentica
Conclusione: etica e verità, ovvero come si diventa moralmente adulti

4 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore riportava a fine suo lavoro un dovere cui affermazione attribuibile ad autrice che discettava in suo stesso lavoro con questione morale e su di questa più che di questa; 'riprender via di Socrate'... Ma davvero da moralità ad etica e verità, sarebbe una via razionale e buona ad integrare qualcosa di perduto, che sarebbe anche una origine del filosofare, da antichità greca; e tutto questo avrebbe senso per una questione intorno a: "Corruzione, opportunismo, disonestà [...]" di cui chi stessa ne pone (autrice), non cerca una risoluzione ma una forma di... 'edonico' resistere, "terapia"?
Insomma sarebbe giusto, o esatto, lo scopo di non lasciare che prevalga sofferenza e lutto, o non altro, non diversamente; e senza che sia forzata la realtà personale a sostenere realtà impersonali, ma senza che le persone da queste ne siano invase oppure coinvolte; però ovvio.
Di ciò autrice volgeva a riferimento e scopo civili e giudicando qualcosa di troppo da parte di realtà cattolica verso progressi di diritti e da conquistare; ed in ciò stesso rifiutava "scetticismo pratico" che ella descriveva in effetto qual fascismo o neofascismo o più qual fascistoidismo, neofascistoidismo... e affermando di vita e formazione di vita (a mo'di fiori) ma non senza dir di integrità personali, di dignità evidentemente e non solo, anche identità da preservare oltre che da considerare, ella.
Eppure stesso passato chiamato in causa e per questione che non ha ella inventato ma in fin dei conti non tutta intera accettato, in ogni caso non reca quello da ella ricercato o reca illusione di alterità e ripetizione di identità moderna e senza nessuna Ellade e nessuna Santippe a farne quasi dubitar assieme ad intera sensatezza di racconto (per il greco, di valore storico unico)... ...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Poiché (... poi che...) da passato antico elleno giunge un etos anzi un ethos, secondo quanto riporta recensore, che non è incline a moderarsi specificarsi in... 'ethiké', ovvero non fatto veramente per una etica;... si trattava della via che Santippe sapeva nominare e che altre, altri, non ugualmente e non più o niente; e per capire si provi a risponder a domanda, casomai se ne avesse piacere rispettoso:

a quale bestia somigliava Socrate, rapace, fiera, belva...?

Certo, non basta questo a far di etologia uno studio biologico eminente dei modi umani, eppure quel tanto che se ne può basta per definire un etos; e più arcanamente un ethos... Elleni avevan lingue dialettali, lessicografia greca italiana non sarebbe anzi non è da meno se in pensiero greco (ed italiano) usata. Etos meno significante che "eto" ed ethos storicamente più sensato... ma per mostrar eguale se non maggiore irriducibilità di esso elemento a volgimento etico... Socrate era un ateniese e viveva grecità civile e politica più che culturale politica; ma ugualmente a un leone di pianura che non ha astuzie e riservatezze dei leoni di montagna... Etica non era bensì ovvietà; non avendo senso insegnar strategie di leoni di pianura a montanari o a lupi o volpi... e Socrate era in filosofia un maestro non un esteta che voleva suoi eguali. Da antico suo mondo, non giunge conferma ad attese tanto civili; eppure se in nome del piacere dovevasi agire, per anni 2010,2011... e non da piacere di identità ma da qualcos'altro che non arrivava e neanche svelando circolarità di Critica kantiana... sia per ovvia incapacità di qualsiasi critica a dire di realtà personali, sia perché fu parte del kantismo a suscitar "dissociazione" tra verità e valori che però era per asocialità (dissociazione in quanto tale!, società imposte non fanno gioia) e sia perché "divisione" 'is / ought' era rappresentazione razionale affinché si comprendessero limiti di convenzioni civili –cui critiche kantiane aggiunsero anche scopo di mostrare ragione naturale direttamente; e cui "politeismo dei valori" ai consigli di Kant di trovar tempo ed anche tra maschi e maschi e pur tra femmine e femmine per mostrarsi nudità e non solo tanto metafisicamente ispiranti (le natiche), aggiungeva precetto di metterci non solo preghiere e più varie ma pure il pensiero della attenzione ai tanti e non senza senso del mistero...
Allora di universalità legulea da autrice evocata, anzi univocata (e quale, poi, se leggi son (fossero??) invenzioni utili?), dirne che

non per tutti esigenza civile è legge e volerne per tutti o a sproposito distrugge viver civile e ne causa di esiger civiltà con legge...

eppure basta la asocialità ad impedirne e, per quanto relativismo etico possa essere inopportuno in pluralità sociale, socialità è anche l'incontro con alterità, talché si mostrerebbe etica di tradizione intellettuale greca proprio nella molteplicità più estrema... e proprio perché invano ricercato questo mostrarsi, esso imperioso... rivelando che la questione morale in Italia era da rifiuto non superiore di moralità ed accanito assai più che contro sola civiltà, cioè contro emotività non solo ragioni e non solo politiche.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

((+)) Recensore riportava a fine suo lavoro un dovere cui affermazione attribuibile ad autrice che discettava in suo stesso lavoro con questione morale e su di questa più che di questa; 'riprender via di Socrate'... Ma davvero da moralità ad etica e verità, sarebbe una via razionale e buona ad integrare qualcosa di perduto, che sarebbe anche una origine del filosofare, da antichità greca; e tutto questo avrebbe senso per una questione intorno a: "Corruzione, opportunismo, disonestà [...]" di cui chi stessa ne pone (autrice), non cerca una risoluzione ma una forma di... 'edonico' resistere, "terapia"?
Insomma sarebbe giusto, o esatto, lo scopo di non lasciare che prevalga sofferenza e lutto, o non altro, non diversamente; e senza che sia forzata la realtà personale a sostenere realtà impersonali, ma senza che le persone da queste ne siano invase oppure coinvolte; però ovvio.
Di ciò autrice volgeva a riferimento e scopo civili e giudicando qualcosa di troppo da parte di realtà cattolica verso progressi di diritti e da conquistare; ed in ciò stesso rifiutava "scetticismo pratico" che ella descriveva in effetto qual fascismo o neofascismo o più qual fascistoidismo, neofascistoidismo... e affermando di vita e formazione di vita (a mo' di fiori !) ma non senza dir di integrità personali, di dignità evidentemente e non solo, anche identità da preservare oltre che da considerare, ella.
Eppure stesso passato chiamato in causa e per questione che non ha ella inventato ma in fin dei conti non tutta intera accettato, in ogni caso non reca quello da ella ricercato o reca illusione di alterità e ripetizione di identità moderna e senza nessuna Ellade e nessuna Santippe a farne quasi dubitar assieme ad intera sensatezza di racconto (per il greco, di valore storico unico)... ...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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Poiché (... poi, che...) da passato antico elleno giunge un etos anzi un ethos, secondo quanto riporta recensore, che non è incline a moderarsi specificarsi in... 'ethiké', ovvero non fatto veramente per una etica;... si trattava della via che Santippe sapeva nominare e che altre, altri, non ugualmente e non più o niente; e per capire si provi a risponder a domanda, casomai se ne avesse piacere rispettoso:

a quale bestia somigliava Socrate, rapace, fiera, belva...?

Certo, non basta questo a far di etologia uno studio biologico eminente dei modi umani, eppure quel tanto che se ne può basta per definire un etos; e più arcanamente un ethos... Elleni avevan lingue dialettali, lessicografia greca italiana non sarebbe anzi non è da meno se in pensiero greco (ed italiano) usata. Etos meno significante che "eto" ed ethos storicamente più sensato... ma per mostrar eguale se non maggiore irriducibilità di esso elemento a volgimento etico... Socrate era un ateniese e viveva grecità civile e politica più che culturale politica; ma ugualmente a un leone di pianura che non ha astuzie e riservatezze dei leoni di montagna... Etica non era bensì ovvietà; non avendo senso insegnar strategie di leoni di pianura a montanari o a lupi o volpi... e Socrate era in filosofia un maestro non un esteta che voleva suoi eguali. Da antico suo mondo, non giunge conferma ad attese tanto civili; eppure se in nome del piacere dovevasi agire, per anni 2010, 2011 ... e non da piacere di identità ma da qualcos'altro che non arrivava e neanche svelando circolarità di Critica kantiana... sia per ovvia incapacità di qualsiasi critica a dire di realtà personali, sia perché fu parte del kantismo a suscitar "dissociazione" tra verità e valori che però era per asocialità (dissociazione in quanto tale!, società imposte non fanno gioia) e sia perché "divisione" 'is / ought' era rappresentazione razionale affinché si comprendessero limiti di convenzioni civili –cui critiche kantiane aggiunsero anche scopo di mostrare ragione naturale direttamente; e cui "politeismo dei valori" ai consigli di Kant di trovar tempo ed anche tra maschi e maschi e pur tra femmine e femmine per mostrarsi nudità e non solo tanto metafisicamente ispiranti (le natiche), aggiungeva precetto di metterci non solo preghiere e più varie ma pure il pensiero della attenzione ai tanti e non senza senso del mistero...
Allora di universalità legulea da autrice evocata, anzi univocata (e quale, poi, se vere leggi son invenzioni utili —e tali sono— !?), dirne che…

non per tutti esigenza civile è legge e volerne per tutti o a sproposito distrugge viver civile e ne causa di esiger civiltà con legge...

Eppure basta la asocialità ad impedirne e, per quanto relativismo etico possa essere inopportuno in pluralità sociale, socialità è anche l'incontro con alterità, talché si mostrerebbe etica di tradizione intellettuale greca proprio nella molteplicità più estrema... e proprio perché invano ricercato questo mostrarsi, esso imperioso... rivelando che la questione morale in Italia era da rifiuto non superiore di moralità ed accanito assai più che contro sola civiltà, cioè contro emotività non solo ragioni e non solo politiche.


MAURO PASTORE