Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 323, euro 22, ISBN 978-88-5750-716-3
Il volume prende in esame il tema dell’interculturalità ripensato dalla prospettiva di un vivace ed aperto dialogo critico tra riflessione teorica e le best practices relative ai problemi dell’integrazione e della tutela dei diritti dei migranti. I contributi presentati sono raccolti in tre parti dedicate rispettivamente ai tre lemmi essenziali nella definizione di una “filosofia interculturale”: identità, riconoscimento, diritti umani. All’identità sono dedicati i saggi contenuti nella prima parte (Rossella Bonito Oliva, Maria Giovanna Di Domenico, Maurizio Martirano, Steffen Wagner, Rosario Diana).
Bonito Oliva, nel suo intervento, sviluppa il tema della “soggettività responsabile” nell’epoca del multiculturalismo e dell’interculturalismo. Secondo la studiosa, l’itinerario della costruzione del soggetto passa attraverso l’esistenza e l’azione, di cui si diventa responsabili in uno spazio di “identità anacronistiche”, nelle quali è difficile riconoscere l’articolazione tra presente, passato e futuro. Riprendendo una frase di Char si può dire che «l’umanità stessa vive senza testamento, al di là del colore della pelle, della lingua, della particolarità e della pluralità» (p. 33). Le immagini, come diceva Nietzsche, sono favole, monete senza valore, in cui si è smarrita l’apertura all’umano. «Solo l’immagine dialettica - conclude Bonito Oliva - può riaprire un gioco infinito di rifrazioni tra presente e passato, tra proprio e comune per catturare il senso di un’etica del riconoscimento responsabile (...).» (ibidem). Nel suo contributo, Di Domenico muove da un’espressione di Morin («“L’identità complessa della nostra identità ci sfugge”», p. 37) per sostenere che, nonostante i progressi del sapere, noi restiamo «“un mistero per noi stessi”» (ibidem). Se, per un verso, il mondo è spinto da un potente “quadrimotore” che sta dando vita ad «“un nuovo Leviatano di carattere planetario”» (p. 46), per altro verso, osserva Morin, c’è una “seconda elica”, contraria alla prima, che muove l’umanità e si caratterizza per la consapevolezza di una «“patria terrestre che prepara una cittadinanza planetaria”» (ibidem). Quale sarà «l’identità futura dell’umanità?», si chiede allora Di Domenico. Per uscire dall’impasse Morin risponde che è la coscienza a distinguere l’essere umano dagli altri esseri viventi, in quanto “macchine non banali”, dipendenti ma autonomi (p. 48). Riappropriarci delle «“forme nascenti del linguaggio, della mente, della coscienza”», ci permetterà dunque di essere i “piloti” del vascello-terra: «“l’originale è l’essere incompiuto dalla nascita, è l’infanzia salvaguardata nell’età, è la polivalenza e le molteplici potenzialità di homo complexus, è la comunità di una società”» (p. 49). Martirano, poi, ridiscute il significato di una filosofia interculturale a partire dall’analisi del rapporto io-tu nell’ontologia di De Finance, nella filosofia della cultura di Cassirer e nell’etica di Lévinas, passando per Geetz, Amselle e Piovani. Sulla scia di Waldenfels, anche per Martirano «il dialogo interculturale può essere costruito solo attraverso una pratica storica e contingente che, tenendo conto dell’asimmetria tra il proprio e l’estraneo, escluda qualsiasi primato o egemonia ontologica, qualsiasi egocentrismo o altro centrismo, e si muova nella direzione della costituzione di una “sfera intermedia” in cui sempre di nuovo il dialogo viene aperto» (pp. 65-66). Sulla scorta della lezione dei sociologi contemporanei Beck e Bauman, il lavoro di Wagner indica nel concetto di individuo uno degli aspetti distintivi dell’identità del soggetto contemporaneo. L’identità contemporanea individualizzata pervade, attraverso i canali dell’economia globale, la vita dei singoli e delle collettività. «La tesi di fondo di questo contributo - scrive Wagner - è che l’individuo globale e interculturale viva la propria condizione, sempre e ovunque si trovi, come un a priori, cioè a prescindere dall’esperienza empirica personale che a questa condizione re-agisce» (p. 71). Diana ricostruisce la genesi filosofica dell’idea di un Io plurimo: da Aristotele a Montaigne, da Hume a Novalis, da Nietzsche a Pirandello, fino a Sen. Lo studioso approfondisce, inoltre, il nesso fra la questione delle identità plurime e quella della identificazione (cfr. p. 89), introducendo, sulle tracce di Vico, Kant e Lévinas, il tema della visione intuitiva del volto. Diana ricorda che quella che Sen chiama «“l’inaggirabile natura plurale delle nostre identità”» rappresenta «una risorsa ancora più interessante per le questioni connesse all’integrazione interculturale» (p. 91). I contributi della seconda parte del volume vertono sul tema del riconoscimento (Mariafilomena Anzalone, Giuseppe S. Bentivegna, Victor R. Martín Fiorino, Vanna Gessa Kurotschka, Francesca R. Recchia Luciani, Maria Letizia Pelosi). Anzalone apre questa sezione indagando il rapporto tra giustizia e riconoscimento nell’età della globalizzazione dalla prospettiva di Karl-Otto Apel. Quest’ultimo, infatti, è convinto della possibilità di fondare razionalmente l’etica sulla base di principi a priori validi universalmente, che costituirebbero l’ossatura di una «“macroetica planetaria fondata razionalmente di giustizia e co-responsabilità valide universalmente, ossia interculturalmente per tutti gli uomini”» (p. 99). Sulla scia di Wittgenstein e Peirce, anche Apel ritiene che il soggetto non esista se non come Gespräch, come dialogo intersoggettivo. La struttura a priori in cui gli individui sono già da sempre inseriti è il «“gioco linguistico trascendentale della comunità illimitata della comunicazione”» (p. 100), cioè una comunità ideale di piena intesa fra tutti i membri che la compongono. A differenza di Habermas, che concepiva il principio del discorso come un mero regolamento procedurale neutro dal punto di vista morale, per Apel, invece, esso è il fondamento stesso della morale. La dimensione di giustizia delle norme morali costituisce, secondo Apel, la «“base (....) dell’idea dei ‛diritti dell’uomo’ e rende possibile la loro fondazione ultima etico-discorsiva”» (p. 108). Tale fondazione non si basa su «una metafisica del diritto naturale», ma è «“co-fondata, alla fin fine, con la fondazione trascendental-pragmatica della morale”» (ibidem). Il saggio di Bentivegna si sofferma sulle valenze etico-politiche dell’interculturalità. «La comprensione tra individui e tra culture pone innanzitutto l’esigenza della teorizzazione di una nuova ermeneutica e della relativa comunicabilità, di un nuovo umanesimo e di un nuovo cosmopolitismo» (p. 118). La sfida dell’interculturalità, come «strumento di pace» (p. 128), sarà vincente «a condizione di affrontarla con adeguate categorie e con la volontà di porre in essere una sospensione metodologica delle proprie radici e tradizioni per l’ascolto dell’altro (anche appartenente al nostro modo di pensare) a cui si riconosce parità di diritti e di opportunità come imperativo etico e politico» (p. 119). Uno sguardo latinoamericano sulla questione dell’interculturalità ci viene offerto da Martín Fiorino. Nel contesto delle lotte per il riconoscimento della dignità umana, in America Latina, si possono individuare tre momenti fondamentalii: ‛Etica Latinoamericana’, ‛Etica della Liberazione’ ed ‛Etica Interculturale Latinoamericana’. L’‛Etica Latinoamericana’, collocata nella seconda metà del XX secolo, ha sottolineato la valorizzazione dell’indoamericano e delle culture aborigene. L’‛Etica della Liberazione’ è sorta negli anni ’70 in Argentina (grazie a Enrique Dussel), per poi espandersi in Messico, Perù, Brasile, Uruguay e in altri paesi latinoamericani. Il riconoscimento della dignità umana sarebbe stato l’esito di lotte di liberazione contro il potere neocoloniale e imperialista. L’‛Etica Interculturale Latinoamericana’, infine, si è sviluppata nelle ultime due decadi del XX secolo, quando viene presentata da alcuni dei suoi principali teorici (R. Fornet-Betancourt, R. Salas) come un’etica pensata per contesti conflittuali. Gessa Kurotschka propone un’interessante riflessione sui fondamenti pre-politici e sui presupposti cognitivi dello Stato costituzionale e democratico nell’ambito dei rapporti tra religione e politica. Le posizioni di Habermas e Taylor divergono sul senso e sul ruolo della religione nella sfera pubblica. «Habermas - scrive la studiosa - ne definisce bene la rilevanza funzionale, legata alla contingenza storico-politica della perdita dell’influenza dei valori laici a causa di certi effetti negativi della globalizzazione. Per Taylor, invece, l’apprezzamento dell’esperienza religiosa (...) è motivato piuttosto da una profonda revisione della teoria classica della secolarizzazione che ne mette in evidenza le carenze proprio sul piano della diagnosi implicita nella filosofia della storia che ne costituiva il presupposto» (p. 149). Rispetto a Habermas e Taylor, Martha Nussbaum sostiene invece la grande importanza dell’esperienza religiosa. Pertanto lo Stato ha il compito di tutelare la possibilità che quest’esperienza possa essere vissuta da tutti i cittadini credenti nel rispetto dell’uguaglianza. Gessa Kurotschka ricorda che negli ultimi anni sono stati pubblicati due importanti volumi, dedicati alla memoria di Rawls, che hanno messo in discussione il concetto di giustizia: Le nuove frontiere della giustizia di Nussbaum, e The Idea of Justice di Sen. L’approccio delle capacità, pensato inizialmente sia da Sen sia da Nussbaum per risolvere i problemi distributivi che la teoria di Rawls non riesce a risolvere, è, fin dalle fondamenta, interculturale, in quanto fra le capacità umane essenziali, che «tutti devono acquisire per poter avere una vita davvero umana», vi è quella di «ricercare il senso ultimo della vita e della morte» (p. 156). In The Idea of Justice, Sen affronta il problema del riferimento pre-politico della teoria liberale. Se Habermas e Taylor «ricostruiscono i presupposti normativi della democrazia a partire dalla vicenda storico-politica dell’occidente europeo», Sen «rivendica l’appartenenza di tali presupposti alla più ampia storia dell’umanità» (p. 158). Biopolitica e biofilosofia s’intersecano nel contributo di Recchia Luciani. Lo studioso trae spunto dalle acute osservazioni di Canetti in Massa e potere (1960) sulla perversione del potere di Hitler, per articolare, attraverso la lezione di Foucault e della Arendt, una disamina sul biopotere ed i paradigmi dell’orrore nella violenza totalitaria, avanzando l’ipotesi di un radicamento biofilosofico nella rifondazione dei diritti sulla base “trascendentale-pluriversale” della vulnerabilità costitutiva della corporeità. «La lotta per il riconoscimento delle identità e delle appartenenze (il “paradigma del riconoscimento”, difeso da Axel Honneth), e le istanze di equità, di giustizia sociale, di redistribuzione delle risorse (“il paradigma della distribuzione” sostenuto da Nancy Fraser) possono sottrarsi all’astrattezza e divenire concrete strategie di promozione e diffusione dei diritti umani solo assumendo come punto cardinale un’idea di vita incarnata, di corpo vivente. (...). Per questo occorre fare appello a un’etica del mutuo riconoscimento responsabile che sulla base del “paradigma ontologico della vulnerabilità” (Turner) possa accogliere in concreto sia le istanze di riconoscimento che quelle di giustizia (...)» (p. 183). Pelosi rivisita l’idea di pluralità attraverso l’interpretazione arendtiana di Agostino. Alla duplice visione dell’uomo, nato tra gli uomini e creato da Dio, «singola creatura sola di fronte al mondo ma capace interiormente di conoscere Dio», Arendt oppone una concezione dell’esistenza umana non più divisa tra legge interiore e comandamento esterno, in cui è possibile «ripensare il rapporto tra individuo e comunità a partire dalla relazione politico-sociale costituita dalla pluralità» (p. 193). Ispirandosi alla filosofia agostiniana, Arendt «fa appello alla facoltà dell’inizio come l’essenza propria dell’agire e dell’essere-nel-mondo degli uomini» (ibidem). Essa, infatti, riconosce nel pensiero di Agostino, una vera e propria «filosofia della natalità, in cui si esprime integralmente e necessariamente l’essere-in-molti-nel-mondo. È il concetto di natalità ad essere ripreso nella teoria politica di Hannah Arendt, poiché la pluralità è lo spazio della libertà e la politica riguarda essenzialmente la libertà» (p. 195). Gli interventi della terza parte (Stefania Achella, Biancamaria Scarcia Amoretti, Fiorella Battaglia, Giuseppe Cacciatore, Giuseppe Cantillo, Isadora D’Aimmo, Chiara de Luzenberger) declinano l’interculturalità nel quadro della spinosa questione dell’attuazione e promozione dei diritti umani. Il saggio di Achella indica le coordinate essenziali per una critica alla teoria del riconoscimento. La filosofia, a tal proposito, si richiama all’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, in cui non solo si afferma che «“tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti”», ma anche che gli uomini dotati di ragione e coscienza «“devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”» (pp. 205-206). L’opzione è allora tra una visione etico-politica di matrice hegeliana, ripresa dai teorici del riconoscimento, ed una visione deontologica, propria di Kant e degli esponenti del moderno costruttivismo. Del resto, è lo stesso Hegel a riconoscere l’insufficienza del riconoscimento nel garantire il piano della convivenza giuridica. Esso, infatti, appartiene ad una sfera pre-giuridica, ma non ha una funzione giusgenerativa. La distinzione kantiana tra «“l’uso esterno e l’uso interno della volontà”» (p. 209) ha sancito non solo la separazione tra l’ambito del diritto e quello della morale, ma anche il predominio del primo sulla seconda. Scarcia Amoretti rilegge l’islam attraverso la lente dell’interculturalità. «L’effetto del mancato riconoscimento dell’anima europea dell’islam, che, peraltro, a lungo si è configurato come ‛primo mondo’, almeno nel Mediterraneo, provoca nei musulmani, a livello collettivo, la memoria di un’ingiustizia che dura nel tempo, e si traduce di volta in volta in una serie di prevaricazioni che si collocano su piani diversi, politici ed economici senza dubbio, ma soprattutto culturali, cioè in termini di ‛non riconoscimento’» (pp. 225-226). Come ha osservato Ruba Salih, «“il velo è a tutt’oggi uno dei più significativi terreni simbolici delle tensioni legate al farsi spazio dell’islam in Europa”» (p. 228). La partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha messo in crisi il sistema patriarcale, che prevedeva la protezione economica in cambio di sottomissione per le donne e rispetto e sottomissione dei giovani nei confronti degli anziani. «Se non si soddisfano i bisogni primari quotidiani, - chiosa Scarcia Amoretti -, diventa improbabile nei fatti l’avvio stesso del processo di integrazione» (pp. 229-230). L’intervento di Battaglia pone in questione sia la teoria del cosmopolitismo e sia la nozione di diritti umani. La prima osservazione critica riguarda alcune posizioni che vedono con sospetto la rivendicazione dei principi universalistici da parte della rivoluzione americana e francese, cogliendo in essa il rischio dell’assimilazione e del livellamento. La seconda osservazione critica è quella di chi considera cosmopolitismo e diritti umani idee meramente edificanti prive di attuabilità, come per Seyla Benhabib. Al contrario Völker Gerhardt ribadisce la necessità di prefigurare «un ordine politico mondiale, l’unico in grado di garantire uno sviluppo per la cultura della ragione» (p. 233). Julian Nida Rümelin, poi, recupera «il progetto cosmopolitico in un assetto democratico e (...) rilancia l’idea della cooperazione, come forza propulsiva in grado di agire nella società civile senza tuttavia fare a meno né del mercato né dell’organizzazione statale» (pp. 233-234). Secondo Battaglia, per l’affermazione e la difesa dei diritti dell’umanità è necessario che le istanze etiche non vengano disgiunte dall’esercizio del diritto. Dalla lezione kantiana «emerge la necessità da un lato di approfondire il livello descrittivo e normativo e dall’altro di sviluppare la ricerca di una reale convivenza che si nutra sia di un rinnovamento dei saperi umani, della storia, dell’antropologia culturale, della pedagogia, della filosofia della politica, sia di pratiche interculturali, sia di strumenti tecnici quali quelli offerti dagli ordinamenti giuridici. Dall’esercizio attivo non deve rimanere escluso il momento della denuncia della loro violazione» (p. 249). Cacciatore s’interroga sul rapporto tra cittadinanza e interculturalità. Oggi assistiamo ad una “trasfigurazione” del concetto classico di cittadinanza anche grazie alla teoria e alla pratica dell’interculturalità. La cittadinanza, infatti, «deve trasformarsi da passiva attribuzione di qualificazioni giuridiche in attiva costruzione di momenti partecipativi (e non sostitutivi rispetto alle istituzioni rappresentative) al governo del territorio» (p. 255). Supportato dalle tesi di Benhabib e Bauman, Cacciatore scrive che «la tematica dei diritti di cittadinanza, di una cittadinanza che assume sempre più i contorni di una esperienza, al tempo stesso, globale e frammentaria, tendenzialmente universalistica e realisticamente plurale e relativa nell’articolarsi e nello stratificarsi delle appartenenze che si incrociano in una medesima persona (all’appartenenza di base, etnica e familiare, si aggiungono quelle, per così dire, culturali e sociali), diventa uno dei passaggi cruciali di una filosofia e di una sociologia dell’interculturalità» (p. 258). Cantillo prende in esame il rapporto tra libertà e giustizia nello storicismo, giusnaturalismo e pensiero utopico. Fra gli storicisti Cantillo cita Troeltsch, il quale, in una conferenza tenuta nel 1922 all’Istituto superiore tedesco di politica, intitolata Diritto naturale e umanità nella politica mondiale, ripensava la tradizione del “diritto naturale” per fronteggiare l’esito relativistico e nichilistico del “cattivo storicismo”. Poiché in Germania i concetti di diritto naturale e di umanità avevano perduto quella pregnanza che avevano in Europa occidentale, Troeltsch riteneva necessario «“un ritorno al pensare storico-universale e al sentimento della vita”» (p. 267). Restavano però irrinunciabili gli ideali giusnaturalistici del cosmopolitismo e della comunità umana, che tuttavia collegavano il diritto naturale al pensiero utopico (cfr. il capitolo 36 del Principio speranza di Bloch sulle “utopie sociali” del 1955 e l’autonomo libro Diritto naturale e dignità dell’uomo del 1961). «Sebbene nell’età della ragione critica non sia più riproponibile - avverte Cantillo - una fondazione metafisica, né una legittimazione religiosa dei principi morali e giuridici, non si può quindi rinunciare all’idea di una comune natura umana. Ed è nella stessa “natura spirituale dell’uomo” che si esprime l’esigenza di obbedire a un principio razionale, a una legge universalmente valida, che nella sua forma è a priori, mentre nella sua determinatezza di contenuto si viene configurando nella storia. Di qui l’esigenza di verificare ad un tempo la corrispondenza al riconoscimento dei diritti universali di una coscienza di doveri fondati sul sentimento del rispetto per l’umanità» (p. 274). Il saggio di D’Aimmo è incentrato sulle politiche per l’immigrazione e sulle sue ricadute sulla promozione del riconoscimento dell’identità culturale e nell’attuazione della cittadinanza dei migranti. Dopo aver messo in evidenza meriti e limiti delle principali leggi-quadro sull’immigrazione (la legge Martelli, 39/1990; la legge Turco-Napolitano, 40/1998; la legge Bossi-Fini, 189/2002), D’Aimmo rileva che, a differenza degli altri Paesi dell’Unione Europea, la normativa italiana in questa materia è «in continua evoluzione ed estremamente frammentaria» (p. 285), nonostante che «una legge organica sul diritto di asilo era stata in realtà prevista dalla Costituzione italiana» (p. 286). Il rapporto fra sfera pubblica e sfera privata in Kant è al centro del contributo di de Luzenberger, che chiude il volume. Già nel 1962, in Strukturwandel der Öffentlichkeit Habermas osservava che nel mondo contemporaneo sfera pubblica e sfera privata sembravano perdere la loro netta distinzione. Su questo aspetto le analisi di Habermas coincidono con quelle della Arendt in Vita activa. Il riferimento di Habermas - ma anche di Rawls - è il saggio kantiano Risposta alla domanda che cos’è l’illuminismo, in cui Kant inverte il significato dei due termini, pubblico e privato. In quest’opera, infatti, «l’uso privato della ragione è quello che la persona fa nell’ambito del suo ufficio (ad esempio l’uomo di chiesa, l’ufficiale o il precettore nell’ambito delle sue funzioni). L’uso pubblico è invece quello che l’individuo fa in quanto studioso, al di fuori dunque, (...), di un abito “pubblico”» (p. 299). Questo è un punto essenziale da cui emerge la relazione tra il pensare autonomamente e il confronto pubblico. Nella Menschenkunde, il riconoscimento della verità passa attraverso la comunione dei pensieri e non può mai derivare da un giudizio privato. Analogamente, nella Antropologia pragmatica, Kant definisce “egoista logico” colui che ritiene di poter fare a meno di paragonare i propri giudizi a quelli degli altri. Nella Pace perpetua Kant sottolinea l’importanza di un confronto tra le parti per stabilire una convivenza pacifica e, più specificatamente, un «accordo tra fini», senza approdare ad uno Stato assistenziale. «Nella sua veste autentica il diritto pubblico è dunque diritto pubblico del genere umano, e la forma statuale è solo una forma provvisoria, secondo la visione chiliastica kantiana» (pp. 302-303). La libertà, l’unico diritto inalienabile, trova dunque la sua piena espressione solo nel modello cosmopolitico. Un caso “emblematico” della difficoltà di stabilire i confini tra sfera pubblica e sfera privata, e cioè di far coesistere integrazione politica e identità culturale, è rappresentato infine, secondo de Luzenberger, dall’affaire du foulard, esploso in Francia nel 1989 (a tutt’oggi non ancora risolto), in seguito all’espulsione da una scuola pubblica di tre ragazze musulmane che si erano rifiutate di togliere il velo. Nel 1996 sono state espulse altre 23 ragazze, in seguito ad una decisione del Consiglio di Stato (cfr. p. 303, n. 4). Si tratta, scrive la studiosa, di «un conflitto tutto interno ad una comunità politica, in cui gli attori, anche se divisi da tradizioni private e fedi diverse, condividono sostanzialmente gli stessi valori politici e civili. Concludendo - osserva Benhabib - le sfide del multiculturalismo sono oggi complicate dal fatto che “l’‛altro’ non è altrove” (...), ma è il nostro vicino, un compagno di scuola dei nostri figli, in buona sostanza è uno di noi» (p. 304).
Bonito Oliva, nel suo intervento, sviluppa il tema della “soggettività responsabile” nell’epoca del multiculturalismo e dell’interculturalismo. Secondo la studiosa, l’itinerario della costruzione del soggetto passa attraverso l’esistenza e l’azione, di cui si diventa responsabili in uno spazio di “identità anacronistiche”, nelle quali è difficile riconoscere l’articolazione tra presente, passato e futuro. Riprendendo una frase di Char si può dire che «l’umanità stessa vive senza testamento, al di là del colore della pelle, della lingua, della particolarità e della pluralità» (p. 33). Le immagini, come diceva Nietzsche, sono favole, monete senza valore, in cui si è smarrita l’apertura all’umano. «Solo l’immagine dialettica - conclude Bonito Oliva - può riaprire un gioco infinito di rifrazioni tra presente e passato, tra proprio e comune per catturare il senso di un’etica del riconoscimento responsabile (...).» (ibidem). Nel suo contributo, Di Domenico muove da un’espressione di Morin («“L’identità complessa della nostra identità ci sfugge”», p. 37) per sostenere che, nonostante i progressi del sapere, noi restiamo «“un mistero per noi stessi”» (ibidem). Se, per un verso, il mondo è spinto da un potente “quadrimotore” che sta dando vita ad «“un nuovo Leviatano di carattere planetario”» (p. 46), per altro verso, osserva Morin, c’è una “seconda elica”, contraria alla prima, che muove l’umanità e si caratterizza per la consapevolezza di una «“patria terrestre che prepara una cittadinanza planetaria”» (ibidem). Quale sarà «l’identità futura dell’umanità?», si chiede allora Di Domenico. Per uscire dall’impasse Morin risponde che è la coscienza a distinguere l’essere umano dagli altri esseri viventi, in quanto “macchine non banali”, dipendenti ma autonomi (p. 48). Riappropriarci delle «“forme nascenti del linguaggio, della mente, della coscienza”», ci permetterà dunque di essere i “piloti” del vascello-terra: «“l’originale è l’essere incompiuto dalla nascita, è l’infanzia salvaguardata nell’età, è la polivalenza e le molteplici potenzialità di homo complexus, è la comunità di una società”» (p. 49). Martirano, poi, ridiscute il significato di una filosofia interculturale a partire dall’analisi del rapporto io-tu nell’ontologia di De Finance, nella filosofia della cultura di Cassirer e nell’etica di Lévinas, passando per Geetz, Amselle e Piovani. Sulla scia di Waldenfels, anche per Martirano «il dialogo interculturale può essere costruito solo attraverso una pratica storica e contingente che, tenendo conto dell’asimmetria tra il proprio e l’estraneo, escluda qualsiasi primato o egemonia ontologica, qualsiasi egocentrismo o altro centrismo, e si muova nella direzione della costituzione di una “sfera intermedia” in cui sempre di nuovo il dialogo viene aperto» (pp. 65-66). Sulla scorta della lezione dei sociologi contemporanei Beck e Bauman, il lavoro di Wagner indica nel concetto di individuo uno degli aspetti distintivi dell’identità del soggetto contemporaneo. L’identità contemporanea individualizzata pervade, attraverso i canali dell’economia globale, la vita dei singoli e delle collettività. «La tesi di fondo di questo contributo - scrive Wagner - è che l’individuo globale e interculturale viva la propria condizione, sempre e ovunque si trovi, come un a priori, cioè a prescindere dall’esperienza empirica personale che a questa condizione re-agisce» (p. 71). Diana ricostruisce la genesi filosofica dell’idea di un Io plurimo: da Aristotele a Montaigne, da Hume a Novalis, da Nietzsche a Pirandello, fino a Sen. Lo studioso approfondisce, inoltre, il nesso fra la questione delle identità plurime e quella della identificazione (cfr. p. 89), introducendo, sulle tracce di Vico, Kant e Lévinas, il tema della visione intuitiva del volto. Diana ricorda che quella che Sen chiama «“l’inaggirabile natura plurale delle nostre identità”» rappresenta «una risorsa ancora più interessante per le questioni connesse all’integrazione interculturale» (p. 91). I contributi della seconda parte del volume vertono sul tema del riconoscimento (Mariafilomena Anzalone, Giuseppe S. Bentivegna, Victor R. Martín Fiorino, Vanna Gessa Kurotschka, Francesca R. Recchia Luciani, Maria Letizia Pelosi). Anzalone apre questa sezione indagando il rapporto tra giustizia e riconoscimento nell’età della globalizzazione dalla prospettiva di Karl-Otto Apel. Quest’ultimo, infatti, è convinto della possibilità di fondare razionalmente l’etica sulla base di principi a priori validi universalmente, che costituirebbero l’ossatura di una «“macroetica planetaria fondata razionalmente di giustizia e co-responsabilità valide universalmente, ossia interculturalmente per tutti gli uomini”» (p. 99). Sulla scia di Wittgenstein e Peirce, anche Apel ritiene che il soggetto non esista se non come Gespräch, come dialogo intersoggettivo. La struttura a priori in cui gli individui sono già da sempre inseriti è il «“gioco linguistico trascendentale della comunità illimitata della comunicazione”» (p. 100), cioè una comunità ideale di piena intesa fra tutti i membri che la compongono. A differenza di Habermas, che concepiva il principio del discorso come un mero regolamento procedurale neutro dal punto di vista morale, per Apel, invece, esso è il fondamento stesso della morale. La dimensione di giustizia delle norme morali costituisce, secondo Apel, la «“base (....) dell’idea dei ‛diritti dell’uomo’ e rende possibile la loro fondazione ultima etico-discorsiva”» (p. 108). Tale fondazione non si basa su «una metafisica del diritto naturale», ma è «“co-fondata, alla fin fine, con la fondazione trascendental-pragmatica della morale”» (ibidem). Il saggio di Bentivegna si sofferma sulle valenze etico-politiche dell’interculturalità. «La comprensione tra individui e tra culture pone innanzitutto l’esigenza della teorizzazione di una nuova ermeneutica e della relativa comunicabilità, di un nuovo umanesimo e di un nuovo cosmopolitismo» (p. 118). La sfida dell’interculturalità, come «strumento di pace» (p. 128), sarà vincente «a condizione di affrontarla con adeguate categorie e con la volontà di porre in essere una sospensione metodologica delle proprie radici e tradizioni per l’ascolto dell’altro (anche appartenente al nostro modo di pensare) a cui si riconosce parità di diritti e di opportunità come imperativo etico e politico» (p. 119). Uno sguardo latinoamericano sulla questione dell’interculturalità ci viene offerto da Martín Fiorino. Nel contesto delle lotte per il riconoscimento della dignità umana, in America Latina, si possono individuare tre momenti fondamentalii: ‛Etica Latinoamericana’, ‛Etica della Liberazione’ ed ‛Etica Interculturale Latinoamericana’. L’‛Etica Latinoamericana’, collocata nella seconda metà del XX secolo, ha sottolineato la valorizzazione dell’indoamericano e delle culture aborigene. L’‛Etica della Liberazione’ è sorta negli anni ’70 in Argentina (grazie a Enrique Dussel), per poi espandersi in Messico, Perù, Brasile, Uruguay e in altri paesi latinoamericani. Il riconoscimento della dignità umana sarebbe stato l’esito di lotte di liberazione contro il potere neocoloniale e imperialista. L’‛Etica Interculturale Latinoamericana’, infine, si è sviluppata nelle ultime due decadi del XX secolo, quando viene presentata da alcuni dei suoi principali teorici (R. Fornet-Betancourt, R. Salas) come un’etica pensata per contesti conflittuali. Gessa Kurotschka propone un’interessante riflessione sui fondamenti pre-politici e sui presupposti cognitivi dello Stato costituzionale e democratico nell’ambito dei rapporti tra religione e politica. Le posizioni di Habermas e Taylor divergono sul senso e sul ruolo della religione nella sfera pubblica. «Habermas - scrive la studiosa - ne definisce bene la rilevanza funzionale, legata alla contingenza storico-politica della perdita dell’influenza dei valori laici a causa di certi effetti negativi della globalizzazione. Per Taylor, invece, l’apprezzamento dell’esperienza religiosa (...) è motivato piuttosto da una profonda revisione della teoria classica della secolarizzazione che ne mette in evidenza le carenze proprio sul piano della diagnosi implicita nella filosofia della storia che ne costituiva il presupposto» (p. 149). Rispetto a Habermas e Taylor, Martha Nussbaum sostiene invece la grande importanza dell’esperienza religiosa. Pertanto lo Stato ha il compito di tutelare la possibilità che quest’esperienza possa essere vissuta da tutti i cittadini credenti nel rispetto dell’uguaglianza. Gessa Kurotschka ricorda che negli ultimi anni sono stati pubblicati due importanti volumi, dedicati alla memoria di Rawls, che hanno messo in discussione il concetto di giustizia: Le nuove frontiere della giustizia di Nussbaum, e The Idea of Justice di Sen. L’approccio delle capacità, pensato inizialmente sia da Sen sia da Nussbaum per risolvere i problemi distributivi che la teoria di Rawls non riesce a risolvere, è, fin dalle fondamenta, interculturale, in quanto fra le capacità umane essenziali, che «tutti devono acquisire per poter avere una vita davvero umana», vi è quella di «ricercare il senso ultimo della vita e della morte» (p. 156). In The Idea of Justice, Sen affronta il problema del riferimento pre-politico della teoria liberale. Se Habermas e Taylor «ricostruiscono i presupposti normativi della democrazia a partire dalla vicenda storico-politica dell’occidente europeo», Sen «rivendica l’appartenenza di tali presupposti alla più ampia storia dell’umanità» (p. 158). Biopolitica e biofilosofia s’intersecano nel contributo di Recchia Luciani. Lo studioso trae spunto dalle acute osservazioni di Canetti in Massa e potere (1960) sulla perversione del potere di Hitler, per articolare, attraverso la lezione di Foucault e della Arendt, una disamina sul biopotere ed i paradigmi dell’orrore nella violenza totalitaria, avanzando l’ipotesi di un radicamento biofilosofico nella rifondazione dei diritti sulla base “trascendentale-pluriversale” della vulnerabilità costitutiva della corporeità. «La lotta per il riconoscimento delle identità e delle appartenenze (il “paradigma del riconoscimento”, difeso da Axel Honneth), e le istanze di equità, di giustizia sociale, di redistribuzione delle risorse (“il paradigma della distribuzione” sostenuto da Nancy Fraser) possono sottrarsi all’astrattezza e divenire concrete strategie di promozione e diffusione dei diritti umani solo assumendo come punto cardinale un’idea di vita incarnata, di corpo vivente. (...). Per questo occorre fare appello a un’etica del mutuo riconoscimento responsabile che sulla base del “paradigma ontologico della vulnerabilità” (Turner) possa accogliere in concreto sia le istanze di riconoscimento che quelle di giustizia (...)» (p. 183). Pelosi rivisita l’idea di pluralità attraverso l’interpretazione arendtiana di Agostino. Alla duplice visione dell’uomo, nato tra gli uomini e creato da Dio, «singola creatura sola di fronte al mondo ma capace interiormente di conoscere Dio», Arendt oppone una concezione dell’esistenza umana non più divisa tra legge interiore e comandamento esterno, in cui è possibile «ripensare il rapporto tra individuo e comunità a partire dalla relazione politico-sociale costituita dalla pluralità» (p. 193). Ispirandosi alla filosofia agostiniana, Arendt «fa appello alla facoltà dell’inizio come l’essenza propria dell’agire e dell’essere-nel-mondo degli uomini» (ibidem). Essa, infatti, riconosce nel pensiero di Agostino, una vera e propria «filosofia della natalità, in cui si esprime integralmente e necessariamente l’essere-in-molti-nel-mondo. È il concetto di natalità ad essere ripreso nella teoria politica di Hannah Arendt, poiché la pluralità è lo spazio della libertà e la politica riguarda essenzialmente la libertà» (p. 195). Gli interventi della terza parte (Stefania Achella, Biancamaria Scarcia Amoretti, Fiorella Battaglia, Giuseppe Cacciatore, Giuseppe Cantillo, Isadora D’Aimmo, Chiara de Luzenberger) declinano l’interculturalità nel quadro della spinosa questione dell’attuazione e promozione dei diritti umani. Il saggio di Achella indica le coordinate essenziali per una critica alla teoria del riconoscimento. La filosofia, a tal proposito, si richiama all’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, in cui non solo si afferma che «“tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti”», ma anche che gli uomini dotati di ragione e coscienza «“devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”» (pp. 205-206). L’opzione è allora tra una visione etico-politica di matrice hegeliana, ripresa dai teorici del riconoscimento, ed una visione deontologica, propria di Kant e degli esponenti del moderno costruttivismo. Del resto, è lo stesso Hegel a riconoscere l’insufficienza del riconoscimento nel garantire il piano della convivenza giuridica. Esso, infatti, appartiene ad una sfera pre-giuridica, ma non ha una funzione giusgenerativa. La distinzione kantiana tra «“l’uso esterno e l’uso interno della volontà”» (p. 209) ha sancito non solo la separazione tra l’ambito del diritto e quello della morale, ma anche il predominio del primo sulla seconda. Scarcia Amoretti rilegge l’islam attraverso la lente dell’interculturalità. «L’effetto del mancato riconoscimento dell’anima europea dell’islam, che, peraltro, a lungo si è configurato come ‛primo mondo’, almeno nel Mediterraneo, provoca nei musulmani, a livello collettivo, la memoria di un’ingiustizia che dura nel tempo, e si traduce di volta in volta in una serie di prevaricazioni che si collocano su piani diversi, politici ed economici senza dubbio, ma soprattutto culturali, cioè in termini di ‛non riconoscimento’» (pp. 225-226). Come ha osservato Ruba Salih, «“il velo è a tutt’oggi uno dei più significativi terreni simbolici delle tensioni legate al farsi spazio dell’islam in Europa”» (p. 228). La partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha messo in crisi il sistema patriarcale, che prevedeva la protezione economica in cambio di sottomissione per le donne e rispetto e sottomissione dei giovani nei confronti degli anziani. «Se non si soddisfano i bisogni primari quotidiani, - chiosa Scarcia Amoretti -, diventa improbabile nei fatti l’avvio stesso del processo di integrazione» (pp. 229-230). L’intervento di Battaglia pone in questione sia la teoria del cosmopolitismo e sia la nozione di diritti umani. La prima osservazione critica riguarda alcune posizioni che vedono con sospetto la rivendicazione dei principi universalistici da parte della rivoluzione americana e francese, cogliendo in essa il rischio dell’assimilazione e del livellamento. La seconda osservazione critica è quella di chi considera cosmopolitismo e diritti umani idee meramente edificanti prive di attuabilità, come per Seyla Benhabib. Al contrario Völker Gerhardt ribadisce la necessità di prefigurare «un ordine politico mondiale, l’unico in grado di garantire uno sviluppo per la cultura della ragione» (p. 233). Julian Nida Rümelin, poi, recupera «il progetto cosmopolitico in un assetto democratico e (...) rilancia l’idea della cooperazione, come forza propulsiva in grado di agire nella società civile senza tuttavia fare a meno né del mercato né dell’organizzazione statale» (pp. 233-234). Secondo Battaglia, per l’affermazione e la difesa dei diritti dell’umanità è necessario che le istanze etiche non vengano disgiunte dall’esercizio del diritto. Dalla lezione kantiana «emerge la necessità da un lato di approfondire il livello descrittivo e normativo e dall’altro di sviluppare la ricerca di una reale convivenza che si nutra sia di un rinnovamento dei saperi umani, della storia, dell’antropologia culturale, della pedagogia, della filosofia della politica, sia di pratiche interculturali, sia di strumenti tecnici quali quelli offerti dagli ordinamenti giuridici. Dall’esercizio attivo non deve rimanere escluso il momento della denuncia della loro violazione» (p. 249). Cacciatore s’interroga sul rapporto tra cittadinanza e interculturalità. Oggi assistiamo ad una “trasfigurazione” del concetto classico di cittadinanza anche grazie alla teoria e alla pratica dell’interculturalità. La cittadinanza, infatti, «deve trasformarsi da passiva attribuzione di qualificazioni giuridiche in attiva costruzione di momenti partecipativi (e non sostitutivi rispetto alle istituzioni rappresentative) al governo del territorio» (p. 255). Supportato dalle tesi di Benhabib e Bauman, Cacciatore scrive che «la tematica dei diritti di cittadinanza, di una cittadinanza che assume sempre più i contorni di una esperienza, al tempo stesso, globale e frammentaria, tendenzialmente universalistica e realisticamente plurale e relativa nell’articolarsi e nello stratificarsi delle appartenenze che si incrociano in una medesima persona (all’appartenenza di base, etnica e familiare, si aggiungono quelle, per così dire, culturali e sociali), diventa uno dei passaggi cruciali di una filosofia e di una sociologia dell’interculturalità» (p. 258). Cantillo prende in esame il rapporto tra libertà e giustizia nello storicismo, giusnaturalismo e pensiero utopico. Fra gli storicisti Cantillo cita Troeltsch, il quale, in una conferenza tenuta nel 1922 all’Istituto superiore tedesco di politica, intitolata Diritto naturale e umanità nella politica mondiale, ripensava la tradizione del “diritto naturale” per fronteggiare l’esito relativistico e nichilistico del “cattivo storicismo”. Poiché in Germania i concetti di diritto naturale e di umanità avevano perduto quella pregnanza che avevano in Europa occidentale, Troeltsch riteneva necessario «“un ritorno al pensare storico-universale e al sentimento della vita”» (p. 267). Restavano però irrinunciabili gli ideali giusnaturalistici del cosmopolitismo e della comunità umana, che tuttavia collegavano il diritto naturale al pensiero utopico (cfr. il capitolo 36 del Principio speranza di Bloch sulle “utopie sociali” del 1955 e l’autonomo libro Diritto naturale e dignità dell’uomo del 1961). «Sebbene nell’età della ragione critica non sia più riproponibile - avverte Cantillo - una fondazione metafisica, né una legittimazione religiosa dei principi morali e giuridici, non si può quindi rinunciare all’idea di una comune natura umana. Ed è nella stessa “natura spirituale dell’uomo” che si esprime l’esigenza di obbedire a un principio razionale, a una legge universalmente valida, che nella sua forma è a priori, mentre nella sua determinatezza di contenuto si viene configurando nella storia. Di qui l’esigenza di verificare ad un tempo la corrispondenza al riconoscimento dei diritti universali di una coscienza di doveri fondati sul sentimento del rispetto per l’umanità» (p. 274). Il saggio di D’Aimmo è incentrato sulle politiche per l’immigrazione e sulle sue ricadute sulla promozione del riconoscimento dell’identità culturale e nell’attuazione della cittadinanza dei migranti. Dopo aver messo in evidenza meriti e limiti delle principali leggi-quadro sull’immigrazione (la legge Martelli, 39/1990; la legge Turco-Napolitano, 40/1998; la legge Bossi-Fini, 189/2002), D’Aimmo rileva che, a differenza degli altri Paesi dell’Unione Europea, la normativa italiana in questa materia è «in continua evoluzione ed estremamente frammentaria» (p. 285), nonostante che «una legge organica sul diritto di asilo era stata in realtà prevista dalla Costituzione italiana» (p. 286). Il rapporto fra sfera pubblica e sfera privata in Kant è al centro del contributo di de Luzenberger, che chiude il volume. Già nel 1962, in Strukturwandel der Öffentlichkeit Habermas osservava che nel mondo contemporaneo sfera pubblica e sfera privata sembravano perdere la loro netta distinzione. Su questo aspetto le analisi di Habermas coincidono con quelle della Arendt in Vita activa. Il riferimento di Habermas - ma anche di Rawls - è il saggio kantiano Risposta alla domanda che cos’è l’illuminismo, in cui Kant inverte il significato dei due termini, pubblico e privato. In quest’opera, infatti, «l’uso privato della ragione è quello che la persona fa nell’ambito del suo ufficio (ad esempio l’uomo di chiesa, l’ufficiale o il precettore nell’ambito delle sue funzioni). L’uso pubblico è invece quello che l’individuo fa in quanto studioso, al di fuori dunque, (...), di un abito “pubblico”» (p. 299). Questo è un punto essenziale da cui emerge la relazione tra il pensare autonomamente e il confronto pubblico. Nella Menschenkunde, il riconoscimento della verità passa attraverso la comunione dei pensieri e non può mai derivare da un giudizio privato. Analogamente, nella Antropologia pragmatica, Kant definisce “egoista logico” colui che ritiene di poter fare a meno di paragonare i propri giudizi a quelli degli altri. Nella Pace perpetua Kant sottolinea l’importanza di un confronto tra le parti per stabilire una convivenza pacifica e, più specificatamente, un «accordo tra fini», senza approdare ad uno Stato assistenziale. «Nella sua veste autentica il diritto pubblico è dunque diritto pubblico del genere umano, e la forma statuale è solo una forma provvisoria, secondo la visione chiliastica kantiana» (pp. 302-303). La libertà, l’unico diritto inalienabile, trova dunque la sua piena espressione solo nel modello cosmopolitico. Un caso “emblematico” della difficoltà di stabilire i confini tra sfera pubblica e sfera privata, e cioè di far coesistere integrazione politica e identità culturale, è rappresentato infine, secondo de Luzenberger, dall’affaire du foulard, esploso in Francia nel 1989 (a tutt’oggi non ancora risolto), in seguito all’espulsione da una scuola pubblica di tre ragazze musulmane che si erano rifiutate di togliere il velo. Nel 1996 sono state espulse altre 23 ragazze, in seguito ad una decisione del Consiglio di Stato (cfr. p. 303, n. 4). Si tratta, scrive la studiosa, di «un conflitto tutto interno ad una comunità politica, in cui gli attori, anche se divisi da tradizioni private e fedi diverse, condividono sostanzialmente gli stessi valori politici e civili. Concludendo - osserva Benhabib - le sfide del multiculturalismo sono oggi complicate dal fatto che “l’‛altro’ non è altrove” (...), ma è il nostro vicino, un compagno di scuola dei nostri figli, in buona sostanza è uno di noi» (p. 304).
INDICE
INTRODUZIONE di Rosario Diana e Stefania Achella
PARTE PRIMA IDENTITÀ
I. SOGGETTIVITÀ RESPONSABILI. IDENTITÀ ANACRONISTICHE di Rossella Bonito Oliva
II. L’IDENTITÀ COMPLESSA. LA PROSPETTIVA DI EDGAR MORIN di Maria Giovanna Di Domenico
III. UNO SGUARDO SULL’ALTRO di Maurizio Martirano
IV. L’IDENTITÀ INDIVIDUALIZZATA DEL SOGGETTO CONTEMPORANEO di Steffen Wagner
V. IDENTITÀ PLURIME PER SOGGETTI PLURALI. STRUMENTI PER LA RELAZIONE INTERCULTURALE di Rosario Diana
PARTE SECONDA RICONOSCIMENTO
VI. GIUSTIZIA E RICONOSCIMENTO NELL’ETÀ DELLA GLOBALIZZAZIONE LA PROPOSTA DI KARL-OTTO APEL di Mariafilomena Anzalone
VII. L’INTERCULTURALITÀ E LE SUE VALENZE ETICHE E POLITICHE di Giuseppe S. Bentivegna
VIII. ALTERITÀ E RICONOSCIMENTO. PROBLEMI DELL’ETICA INTERCULTURALE IN AMERICA LATINA di Victor R. Martin Fiorino
IX. SUI FONDAMENTI PRE-POLITICI E SUI PRESUPPOSTI COGNITIVI DELLO STATO COSTITUZIONALE E DEMOCRATICO. RELIGIONE E POLITICA di Vanna Gessa Kurotschka
X. VIOLENZA E VULNERABILITÀ ATTRAVERSO E OLTRE CANETTI: DALL’ESSERE CORPO ALL’AVERE DIRITTI di Francesca R. Recchia Luciani
XI. L’IDEA DI PLURALITÀ. UNA LETTERA ARENDTIANA DI AGOSTINO di Maria Letizia Pelosi
PARTE TERZA DIRITTI UMANI
XII. DIRITTI UMANI: UNA QUESTIONE DOVEROSA di Stefania Achella
XIII. LEGGERE L’ISLAM ATTRAVERSO LA LENTE DELL’INTERCULTURALITÀ: SPUNTI DI RIFLESSIONE di Biancamaria Scarcia Amoretti
XIV. COSMOPOLITISMO E DIRITTI UMANI di Fiorella Battaglia
XV. INTERCULTURALITÀ E CITTADINANZA di Giuseppe Cacciatore
XVI. LIBERTA E GIUSTIZIA. STORICISMO, GIUSNATURALISMO, PENSIERO UTOPICO di Giuseppe Cantillo
XVII. LE POLITICHE PER L’IMMIGRAZIONE E I NUOVI CITTADINI di Isadora D’Aimmo
XVIII. SFERA PUBBLICA E SFERA PRIVATA. UN PERCORSO KANTIANO di Chiara de Luzenberger
PROFILI DEGLI AUTORI
ABSTRACT OF THE BOOK
INDICE DEI NOMI
19 commenti:
Prima parte di pubblicazione recensita offre rassegna solo di tipo essenziale, non propriamente essenziale, difatti sintesi ne sono smentite da titoli di indice accluso, che recano confini cui relative specificazioni non generalizzazioni; e se generalizzate specificazioni in codesti lavori recensiti, perlomeno queste sarebbero criticamente ripensabili o refutabili, questo con rassegna invece non risultando possibile.
Di pensieri dunque: trasposti, da recensore, si nota acontestualità che rovescia i possibili sensi filosofici in significazioni che troverebbero non contraddittorietà solo in ipotesi su parzialità determinante di recensione stessa; nondimeno anche a valutarne per parzialità trovandosene espressioni di assolutismi antropologici e non inadatti a sostenere etnofobia per giunta in una attualità di sopravvivenza etnica... insomma trovasi in recensione una manifestazione di antifilosofia, la quale mantiene invarianze già in 2011 obsolete ed in ogni caso prima di 1989 già del tutto faziose e prima ancora atte eppur non adatte a moderare stessa provenienze di fazione... Dacché centralità - unità antropologica non può esser giusto inizio per valutare multiculturalità ed interculturalità in autentici rapporti reciproci esigiti da multinazionalismo oltre che internazionalismo e da globalità oltre mondialismo, quest'ultimo: del tutto insufficiente ai propri stessi scopi da quando vasta intercomunicabilità stabilitasi nel Mondo politico; od in alternativa soggiacente a totalitarismo ideologico inaccettabile per filosofia e costituito da marxismo non filosofico e stalinismo, ormai anche strumentalizzati da odi contro vita del Nord e Settentrione del Mondo... odi che sussistono lontanamente per voler sapere o per non sapere, contro logica di esistenze che non possono continuare se assieme sapendo egualmente e se non remote...
Difatti prima potevasi agire in considerazioni assai parziali che oggi non sono più accettabili ma neanche in tempo di recensione lo erano, cui attribuibile una non impertinenza antifilosofica solo se di azione di rassegna facendosi anche un rassegnare, di una fine di altro assolutismo. A terminare non è il valer filosofico di una esigenza politica primaria per la vita, piuttosto termina il forte ed utopico volere poteri non raggiungibili o perché altri poteri frattanto o perché spurii, ovvero connubi di vari intenti di cui uno è rovesciato assoluto, col quale di forti necessità la intellettualità filomarxista pensava grandi libertà cui era però possibile solo sacrificandone di non illusorie.
Rassegna di recensore tralascia soggettivismo e prospettivismo che improntano gli studi singoli; per cui da codesti due: anacronismo, complessità, alterità, individualismo, pluralità, risultano coordinate entro cui poter critica reale filosofica a:
inautenticità di tradizioni,
inadeguatezza di consapevolezze,
insufficienza di attenzioni,
eccesso di protagonismi,
rifiuto di conclusioni.
Ma questo elenco ha valore soltanto in non rifiuto di logica etnologica o con interesse etnico, invece non ne è identificabile il senso se logica antropologica direttamente applicata.
In tal ultimo caso si deve quindi ribadire:
Le tradizioni etniche sono necessarie per i bisogni materiali.
La complessità etnica non è sempre fatta di identità sfuggente.
Non sempre si può volger mente e politica agli altri, a volte neanche sempre saperne se differenza etnica tanta.
Le collettività si fondano sulle individualità anche nei gruppi etnici, cui uguaglianze mai totali.
Le convivenze delle differenze non accadono nel solo riconoscere le comunanze ma anche le non comunanze.
MAURO PASTORE
Seconda e terza parte, di cui in indice, anche accluso in recensione, sono riferibili:
seconda parte a particolarità interetniche, internazionali in specie, cui relativo il destino di Stato di Israele e di mondo ad esso affiliato o non diverso o simile;
terza parte a generalità etniche cui non estranea idea di Roma o concretezza di Romanità e Romanismi e cui inerente applicazione assai significativa o forte del Diritto possibile non solo della Relazione possibile e cui ulteriorità - differenza lo stato di necessità cui impossibile l'essere del diritto ma non cui questo disvalore, cioè per insensatezza di situazioni cui concepirne non per alternativa (nella storia: ippocrazia / talassocrazia; che non è, ovvero è altro da: non-sionismo - sionismo).
MAURO PASTORE
In primo messaggio c'è un singolare con plurale
'stessa provenienze'
che non altera ovvero lascia intendere ma cui intendo provvedere con reinvio, inoltre per migliorar altra espressione pure.
MAURO PASTORE
Prima parte di pubblicazione recensita offre rassegna solo di tipo essenziale, non propriamente essenziale, difatti sintesi ne sono smentite da titoli di indice accluso, che recano confini cui relative specificazioni non generalizzazioni; e se generalizzate specificazioni in codesti lavori recensiti, perlomeno queste sarebbero criticamente ripensabili o refutabili, questo con rassegna invece non risultando possibile.
Di pensieri dunque: trasposti, da recensore, si nota acontestualità che rovescia i possibili sensi filosofici in significazioni che troverebbero non contraddittorietà solo in ipotesi su parzialità determinante di recensione stessa; nondimeno anche a valutarne per parzialità trovandosene espressioni di assolutismi antropologici e non inadatti a sostenere etnofobia per giunta in una attualità di sopravvivenza etnica... insomma trovasi in recensione una manifestazione di antifilosofia, la quale mantiene invarianze già in 2011 obsolete ed in ogni caso prima di 1989 già del tutto faziose e prima ancora atte eppur non adatte a moderare realtà stessa di provenienze di fazione... Dacché centralità - unità antropologica non può esser giusto inizio per valutare multiculturalità ed interculturalità in autentici rapporti reciproci esigiti da multinazionalismo oltre che internazionalismo e da globalità oltre mondialismo, quest'ultimo: del tutto insufficiente ai propri stessi scopi da quando vasta intercomunicabilità stabilitasi nel Mondo politico; od in alternativa soggiacente a totalitarismo ideologico inaccettabile per filosofia e costituito da marxismo non filosofico e stalinismo, ormai anche strumentalizzati da odi contro vita del Nord e Settentrione del Mondo... odi che sussistono lontanamente per voler sapere o per non sapere, contro logica di esistenze che non possono continuare se assieme sapendo egualmente e se non remote...
Difatti prima potevasi agire in considerazioni assai parziali che oggi non sono più accettabili ma neanche in tempo di recensione lo erano, cui attribuibile una non impertinenza antifilosofica solo se di azione di rassegna facendosi anche un rassegnare, di una fine di altro assolutismo. A terminare non è il valer filosofico di una esigenza politica primaria per la vita, piuttosto termina il forte ed utopico volere poteri non raggiungibili o perché altri poteri frattanto o perché spurii, ovvero connubi di vari intenti di cui uno è rovesciato assoluto, col quale di forti necessità la intellettualità filomarxista pensava grandi libertà cui era però possibile solo vanificando quelle non illusorie.
Rassegna di recensore tralascia soggettivismo e prospettivismo che improntano gli studi singoli; per cui da codesti due: anacronismo, complessità, alterità, individualismo, pluralità, risultano coordinate entro cui poter critica reale filosofica a:
inautenticità di tradizioni,
inadeguatezza di consapevolezze,
insufficienza di attenzioni,
eccesso di protagonismi,
rifiuto di conclusioni.
Ma questo elenco ha valore soltanto in non rifiuto di logica etnologica o con interesse etnico, invece non ne è identificabile il senso se logica antropologica direttamente applicata.
In tal ultimo caso si deve quindi ribadire:
Le tradizioni etniche sono necessarie per i bisogni materiali.
La complessità etnica non è sempre fatta di identità sfuggente.
Non sempre si può volger mente e politica agli altri, a volte neanche sempre saperne se differenza etnica tanta.
Le collettività si fondano sulle individualità anche nei gruppi etnici, cui uguaglianze mai totali.
Le convivenze delle differenze non accadono nel solo riconoscere le comunanze ma anche le non comunanze.
(...)
MAURO PASTORE
(...)
Seconda e terza parte, di cui in indice, anche accluso in recensione, sono riferibili:
seconda parte a particolarità interetniche, internazionali in specie, cui relativo il destino di Stato di Israele e di mondo ad esso affiliato o non diverso o simile;
terza parte a generalità etniche cui non estranea idea di Roma o concretezza di Romanità e Romanismi e cui inerente applicazione assai significativa o forte del Diritto possibile non solo della Relazione possibile e cui ulteriorità - differenza lo stato di necessità cui impossibile l'essere del diritto ma non cui questo disvalore, cioè per insensatezza di situazioni cui concepirne non per alternativa (nella storia: ippocrazia / talassocrazia; che non è, ovvero è altro da: non-sionismo - sionismo).
MAURO PASTORE
In seconda parte di volume recensito, si mostra una giustizia basata su rapporti culturali comuni e consistente in Relazione vitale non esiziale, fisicamente-psicofisicamente non psicofisicamente riferita cioè senza coinvolgere apriori le mentalità; e ciò è universalmente ma non generalmente valido; perché esiste anche universalità di Diritto Stabilito ove e quando quella Relazione stessa non ha garanzie o sicurezze di previa vitalità.
...
MAURO PASTORE
...
Hegel e Kant sono i riferimenti rispettivamente ed impliciti ed espliciti di seconda e terza parte del volume recensito, inoltre riferimento ad Hegel trovasi esplicitato e riassunto quale superato non scartato non accolto in terza parte; ciò per una necessità non per un arbitrii, datoché Hegel ammise di universalismo non universalità di proprie concezioni della storia ed hegeliani ne assunsero in duplicità, secondo differenti ricezioni di alienità: nazionale - multinazionale; internazionale - interculturale; rispettivamente (nell'ordine) secondo esigenze europee tedesche ed esigenze euroasiatiche e non solo tedesche e tali ultime non erano apertamente comprensibili in dettati di Hegel poiché eran riformulazioni postume non di Hegel da formulazioni di circolo intellettuale non pubblico ed iniziatico aperto da Hegel stesso; da cotali seconde (non secondarie) esigenze proviene ulteriore esigenza culturale di tematizzare argomenti altrimenti sintesi dirette; cui recensione allineata nonostante ciascun elemento di sequenza sia dotato di espressioni anche sintetiche a priori.
Dunque propriamente saggi filosofici di seconda parte mostrano progressivamente necessità giuridica dei riconoscersi, più che manifestarne tematica —
invece in recensione se ne trova inversione, di valori anche, che proviene da posthegelismo marxista - neo marxista (difatti hegelismo per un periodo aveva reso inetto movimento marxista costringendolo a rifarsi): per il quale cultura euroasiatica doveva esser annullata e sostituita da eurasiatica, questa di orientale origine e facoltà estesa ad Occidente non paritaria e non adatta a ruoli principali ma cui marxismo ed engelismo e marxismo-engelismo intendevano relegare e che forzatamente tentò comunismo stalinista. Questo ultimo estese sua influenza ad ambienti scolastici ed universitari italiani fino ad impedire totalità di reciproche comunicazioni necessarie (e finanche impedendone tra i banchi di scuola, con obblighi di posizionamenti (finanche costringendo a lavaggi diversi di vestiari per creare situazioni allergiche che impedivano vicinanze... ed in verità con ingente varietà di violenze ed inganni minimi od improvvisamente massimi)) — ...
Seconda parte è una sequenza la quale mostra non velleitarità di politica di relazione pacifica o di guerra in comunione di intenti —
ma introduzione recensiva soggiace a quegli interessi divergenti... Eppure, evidentemente dato contenuto, emancipato, recensito, essa ne soggiace per altro schieramento non neutrale e determinante, che nella differenza tra Oriente ed Occidente privilegia Orientalità ed Orientalismi per non accettazione di integrità politica settentrionale del mondo ed in particolare del mondo occidentale, di cui non accoglie espressioni di Assoluto ma neanche accettando le orientaleggianti né le orientali e proponendo, ma dopo violento rifiutare, espressioni meridionali di Assolutezza, peraltro inutilizzabili direttamente da autentica cultura filosofica universale; e su queste era imperniata la critica non filosofica e dottrinaria-religiosa non religiosa-teologica del Vaticano, schierato contro mondo arabo africano e contro politica del Settentrione del Mondo fino ad avversarla direttamente quando escluso da Unione Europea ed Organizzazione delle Nazioni Unite. Secondo tal avversione ...odiernamente maggiore e dal laicato sottoposto a editti vaticanensi passati ed incapace di intender nullità politica e alterità burocratica del luogo che, detto "Città del Vaticano", è in realtà zona ad altro da destinare secondo valori architettonici culturali ed anche religiosi di sito che divergevano da impieghi effettivi clericali (per secoli) ...i risultati della filosofia occidentale non solo sarebbero da rifiutare ma pure da oppostamente replicare per non riformulare. —
MAURO PASTORE
In mio ultimo messaggio:
'per un arbitrii'
sta per:
per arbitrio.
Reinvierò ed anche con modifiche espressive, per esigenze di maggior chiarezza da assicurare quindi.
MAURO PASTORE
...
Hegel e Kant sono i riferimenti rispettivamente ed impliciti ed espliciti di seconda e terza parte del volume recensito, inoltre riferimento ad Hegel trovasi esplicitato e riassunto quale superato non scartato non accolto in terza parte; ciò per una necessità non per arbitrio, datoché Hegel ammise di universalismo non universalità di proprie concezioni della storia ed hegeliani ne assunsero in duplicità, secondo differenti ricezioni di alienità costitutiva definita da Hegel stesso di proprio parametro storico generico, che aveva connotato quale generale a causa di impossibilità conoscitive e necessità di sapere e poi dichiarato alienato...: nazionale - multinazionale; internazionale - interculturale; rispettivamente (nell'ordine) secondo esigenze europee tedesche ed esigenze euroasiatiche e non solo tedesche e tali ultime non erano apertamente comprensibili in dettati di Hegel poiché eran riformulazioni postume non di Hegel da formulazioni di circolo intellettuale non pubblico ed iniziatico aperto da Hegel stesso; da cotali seconde (non secondarie) esigenze proviene ulteriore esigenza culturale di tematizzare argomenti altrimenti sintesi dirette; (esigenza) cui recensione allineata nonostante ciascun elemento di sequenza sia dotato di espressioni anche sintetiche a priori...
Dunque propriamente saggi filosofici di seconda parte mostrano progressivamente necessità giuridica dei riconoscersi, più che manifestarne tematica —
invece in recensione se ne trova inversione, di valori anche, che proviene da posthegelismo marxista - neo marxista (difatti hegelismo per un periodo aveva reso inetto movimento marxista costringendolo a rifarsi): per il quale cultura euroasiatica doveva esser annullata e sostituita da eurasiatica, questa di orientale origine e facoltà estesa ad Occidente non paritaria e non adatta a ruoli principali ma cui marxismo ed engelismo e marxismo-engelismo intendevano relegare e che forzatamente tentò comunismo stalinista... Questo ultimo estese sua influenza ad ambienti scolastici ed universitari italiani fino ad impedire totalità di reciproche comunicazioni necessarie (e finanche impedendone tra i banchi di scuola, con obblighi di posizionamenti (finanche costringendo a lavaggi diversi di vestiari per creare situazioni allergiche che impedivano vicinanze... ed in verità con ingente varietà di violenze ed inganni minimi od improvvisamente massimi)) — .
... Seconda parte è una sequenza la quale mostra non velleitarità di politica di relazione pacifica o di guerra in comunione di intenti —
ma introduzione recensiva soggiace a quegli interessi divergenti... Eppure, evidentemente dato contenuto, emancipato, recensito, essa ne soggiace per altro schieramento non neutrale e determinante,
che nella differenza tra Oriente ed Occidente privilegia Orientalità ed Orientalismi per non accettazione di integrità politica settentrionale del mondo ed in particolare del mondo occidentale, di cui non accoglie espressioni di Assoluto ma neanche accettando le orientaleggianti né le orientali e proponendo –ma dopo violento rifiutare– espressioni meridionali di Assolutezza, peraltro inutilizzabili direttamente da autentica cultura filosofica universale;
su queste era imperniata la critica non filosofica e dottrinaria-religiosa non religiosa-teologica del Vaticano, schierato contro mondo arabo africano e contro politica del Settentrione del Mondo fino ad avversarla direttamente quando escluso da Unione Europea ed Organizzazione delle Nazioni Unite. Secondo tal avversione... –odiernamente maggiore e dal laicato sottoposto a editti vaticanensi passati ed incapace di intender nullità politica e alterità burocratica del luogo che, detto "Città del Vaticano", è in realtà zona ad altro da destinare secondo valori architettonici culturali ed anche religiosi di sito che divergevano da impieghi effettivi clericali (per secoli)– ...i risultati della filosofia occidentale non solo sarebbero da rifiutare ma pure da oppostamente replicare per non riformulare. —
MAURO PASTORE
Recensore riferisce di un "declinare" introducendo a contenuto di terza parte di volume ed al contempo recensore stesso definisce di tal "declinare" quadro ostico ma si tratta di definizione soggettiva oltre che recensiva, perché derivante da assunzione interculturale non unica possibile; essendo possibile anche assunzione mediata culturale - interculturale.
In particolare la divergenza tra Diritto Umano Universale e 'Medesima Umana Relazione' non consente a cultura filosofica italiana né a relativa filosofia politica italiana di occuparsi direttamente di entrambi né indirettamente di solo primo elemento della differenza; anche perché l'occuparsene implica il considerare strutture politiche culturali già in essere e cui culturalità non sottoponibile ad invenzioni culturali né filosofiche...
Si tratta, cioè, di capire necessità di direttività e non direttività, pure se tautologicamente filologicamente appare univocità linguistica; perché questa non nulla, non logica vacua, ma unilaterale, linguisticamente-semanticamente... Sicché non è gioco di parole dire di direttività al diritto, in tal caso, perché se ne valuta in comparazione a radicalmente altra concezione anche verbale, che obbliga ad uniformare terminologia comparativa di elemento di diritto anche a tautologie verbali e grammaticali... Non inganni dunque l'apparenza di troppa ovvietà!
...Si consideri allora non direttività a relazione (giusta, di giustizia) ed impossibilità di direttività per soggetto filosofante distinto, impossibilità che obbliga a spiegazioni di tipo: quasi ripetitivo - ripetitivo, in merito a ciò di non distinto da stesso soggetto filosofante: non è un definire soggettivo, tutt'altro perché attua duplice menzione di divergenza estrema; perciò soggetto filosofante ne fa per e con realismo, verso oggetto cioè oggettivamente definito...
Non realista invece la definizione del recensore, di cui possibile pertinenza in incertezza di reale continuazione di singolarità culturale non anche interculturale... Incertezza che non era invenzione e nondimeno che in recensione si insinua troppo poco esplicitamente per non esser anche dubbio di recensore; cui proceder trova solo in essa – ed attraverso dubbio premesso implicitamente –essa che è altra incertezza di quella di non voler sapere e rifiutare– dimensione filosoficamente possibile da annoverar in utilizzo di recensione.
Insomma, recensore dubitava di un futuro culturale eminentemente singolarmente italiano, concependo potere del Diritto assai relativisticamente quale estensione - diversificazione, evidentemente, di Relazione di Giustizia pura e semplice; e pur in soggiacenza culturale ed intellettuale a forza persuasiva ma distruttiva di editti vaticani e captato entro trame, in origine antipolitiche, meridionaliste-mondialiste, nondimeno recensore non esula del tutto da accadimento filosofico perché agendo in un'altra ulteriore mancanza, di prospettiva concreta futura, cui in recensione non si trova reazione aspettazione di altro destino né ovviamente azione per altro destino ma inazione ad altro destino non opposta. Perciò relativismo recensorio non è censorio, perché con distacco riflessivo sufficiente (re-censorio... recensorio).
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MAURO PASTORE
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Tempi di pubblicazione e recensione erano immediatamente prima di fine di Dopoguerra Freddo sovietico, cui altro esito incerto.
Pochi sanno che appellativo 'Freddo', più a dopoguerra che a guerra ebbe ed aveva ed ha avuto significato di difesa ecologica di luoghi politici economici orientali ed economici politici occidentali, inversamente attuata da pretese capitaliste e socialiste, perché politica economica del Settentrione del Mondo era minacciata e parimenti era minacciata economia politica di Meridione del Mondo, entrambi coinvolti in immani Blocchi Est - Ovest di Guerra che in quanto tale e non aggressione (pure v'erano aggressioni per mezzo, esperimenti atomici non accettabili per armi con relative minacce) era combattuta, militarmente - economicamente, anche per fine di preservare ambienti necessari ad economie od economicamente, con necessarie pratiche ecologiche di distinzioni tra ecosistemi settentrionali e meridionali non viceversa, questi ultimi in Europa del tutto relativi ma non in tutte le evenienze con tutta effettività poiché anomalie climatiche non naturali ma in naturali evenienze... e totalitarismo comunista favoriva sparizione climatica europea in euroasiatica - eurasiatica; e in penurie culturali e civili del Dopoguerra era maggiore la insidia del disastro antieuropeo.
MAURO PASTORE
Benché prospettiva recensoria in non contrarietà con eventi di continuazione europea nondimeno essa ne era separata e non chiusa ad interpretazioni contrarie; ciò facilmente deducibile da elenco recensivo di Etiche americane non applicabili in Europa, il quale cioè non è corredato di contestuali differenze culturali politiche filosofiche.
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MAURO PASTORE
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Benché filosoficamente minimamente improntata, recensione tuttavia è votata a dimensione estetica - etica che neanche in tempi di pubblicazione e di recensione stessa aveva un possibile scopo filosofico che non fosse scopo altrui, peraltro odiernamente non più in essere possibile, datoché clima europeo sta continuando in non incertezza meteorologica occidentale ed in eventi meteo prettamente artici e di tipo artico non solo evolutivi in evoluzione climatica di Europa anche caratteristici europei; ciò che – in ultimo quinquennio circa– climatologia non poteva rapportarsi né ancora rifarsi e che positivismo scientista, cui positivismo logico-scientifico da oscurantismo vòlto e a danno di analisi filosofiche parziali o ridotte, ha frainteso e senza capir novità di eventi, i quali ormai già entro previsioni da tecniche e tecnologie meteorologiche, di derivazione da realtà scientifica (meteorologica)...
Dimensione estetica - etica non può risolver questioni di etica stessa ed inoltre estetica qual inizio intellettuale che assevera Etica di Relazione è soggetta ed assoggettante alle evenienze ambientali e —nonostante paia assurdo — meteorologia in accadimenti diversi e vasti si può istituire solo da azioni che siano non solamente estetiche– cioè anche etiche ma non di stessa relazione etica – cioè con sola etica naturale –e questa trova sua continuazione in etica del diritto e non della sola relazione giacché ne sono inerenti bisogni immediati in interesse non mediato di bisogni non immediati...
Ovverossia etica naturale necessaria a capacità specifica meteorologica rende vana o controproducente azione etica di solo relazionarsi favorevole o non sfavorevole perché etica naturale consente spontanee intellettualizzazioni di condizioni di diritto; ed ove e quando etica naturale essendo a pronta o non secondaria disposizione, rispettivamente in: realtà (anche e non solo cosmopolita) greca, greca - romana / romana - di romanità, di romanismo; dunque sospensione etica - estetica non è effettiva per ambizione estetica - etica; e qualora estetica risulti diversificantesi o solo in possibilità ne sia, allora dimensione significativa è etica - estetica non viceversa...
[Spiegherò meglio ed altro ancora continuando ad affermare con mio successivo invio.]
MAURO PASTORE
Spiego meglio quanto prima affermato in precedente mio messaggio:
In vasti generali mutamenti di estetica ambientale, la dimensione etica diventa necessaria alla continuazione della comprensione estetica; e ciò anche in incertezza di futuri tali mutamenti (da ciò ordetta possibilità etica indipendente a comprensione estetica).
... In recensione trovasi una estetica - etica unilateralmente internazionale - civile per la quale è separata - remota realtà di mondo greco e remota - separata realtà mondana romana, talché, a motivo di remotezze e separatezze, civiltà cosmopolitica non cosmopolita e non cultura cosmopolita né cosmopolitica sono civilmente internazionalmente possibili a realtà non greca non romana; tanto che la mutazione in aspettazione di cosmopoliticità di cui recensore notava, era possibile solo quale contrarietà accettabile a sola Istituzione di Relazione di Giustizia o solo quale trasformazione di ambienti naturalmente, non naturalmente umanamente, effettiva...
Questo significa che si trattava di trovar smentita, finanche con autoannientamento politico - culturale in sbaragli di guerra o solo esponendosi a non refutabili attacchi culturali da intellettuali militanze estranee, in pratica anche mutandosi non greche né romane identità etniche anche a costo di drammatici abbandoni, o si trattava di capir prima se mondanità stessa non più medesima o se circostanze universali altre allora...
Quanto accaduto è stata ultima possibilità, datoché il tentativo di uniformare Settentrione del Mondo agli "standard" capitalistici americanisti ed ai "diktat" associazionisti orientalisti-cinesizzanti è stato interrotto da perduranza di meteocompatibilità antropologica-etnologica europea, cioè umanità europea ha continuato, sia pur etnologicamente in minor numero tra indecisi e non sempre in apparenza di decisiva causa dei fenomeni meteo uguali non compatibili, ad agire per un futuro corrispondente fino a corrispondenza meteo del tutto indipendente da europea antropizzazione.
MAURO PASTORE
Quanto accaduto ( ...) con ripresa - evoluzione di naturalità in specie meteorologica europea ha evidenziato per un verso nullità e per altro verso estraneità delle cosiddette "best practices" internazionalmente invalse di cui recensore T. Gabrielli includeva con scarto linguistico tipicamente internazionale non senza riduzione che non presenta i contenuti reali dei lavori recensiti se non indirettamente astraendone e concettualizzandone in ulteriorità aliena a prassi ed in ciò non rispettosa di finalità oggettivamente possibili e non arbitrariamente convenzionali di pubblicazione stessa (fosser state o fosser finalità stesse dovute a sola volontà editoriale e fosse stata questa pure eterodiretta). Riduzione in recensione è autoconfinamento a modi espressivi di civiltà internazionale già da vari decenni terminata e tipica di internazionalismo ebraico antecedente a nazismo e poi di multinazionalismo giudaico anche recentissimo tuttoggi non più prevalente a causa di politiche globali ancora attente a definire limiti di pratiche condivisibili tra Stati Nazionali e cioè rendendo inutili relazioni di tipo diplomatico-politico-statale-ecclesiale... Di questa tipicità se ne era appropriato il marxismo riformulandone in sola apparenza laicamente in realtà avversando stessa politica laica per escluder anche diritto a politica di religioni... Ultimamente essa è stata sfruttata per sola negazione antipolitica e se ne trova non rifiuto in divenire di filosofie - antifilosofie ma anche inconsapevolmente in varietà di filosofare non costituito in filosofia compiuta...
In gergo internazionale - internazionalista "best practices" non corrisponde ad analoga espressione non gergale in Globalità, ove interesse a migrazioni estremamente vario, non chiuso in espressioni di specifiche internazionalissime semiappartenenze spesso celanti internazionalità ed internazionalismi a causa di non sufficienze ecologiche di condizioni di pensiero e azione.
In Italia era brontolato qual "politically correct" generico rifiuto a considerar etnicità locale-europea (non interetnicità ma comunanze etniche intraeuropee) e i brontoloni ci aggiunsero menzione di "best practices" affinché con arrivo di gente straniera e diversissima di aspetto e di etnia non queste ma essi stessi si rassicurassero e nella confusione spacciarsi per patrioti e non per ex a senza... dato che in inadempienza ad ecologia il Paese e la Patria sono uniti e non più accoglienti e dato che senza attenzione etnica non è possibile confronto con realtà globale né appartenenza od inserimento a realtà locale.
Ad intenzione filosofica, brontolii che paion non sono esperanti son presentati ingannevolmente ed in circostanze di mutamenti ambientali, quale l'avvicendarsi di Ere climatiche!, non può intellettualità farne conto reale tranne che non sia esercitata in dinsinganno filosofico; ma questa esigenza in sua forza fu smentita da filomarxismo e marxismo; e ingenuità non filosofica lasciando ad ambienti di filosofia pure...
...
MAURO PASTORE
... Lavori recensiti offrono possibili supporti per politiche di integrazione o di confronto di cui in recensione di fatto ignorati, tantoché espressione "ex abrupto" inglese dopo aver con riduzione esclùsone, suona suonerebbe, se non previa lettura di indice accluso, il solito come infantile e in realtà malvagio parlar senza dire e altro lasciar fraintendere in voga in internazionalità che agisce per generalismi ed assolutismi cui conseguenze distruttive invadenze e letali ignoranze.
Sicché "best practices" diventa suono che corrisponde a trattamenti di malasanità o a distrazioni mortali per la politica, o a peggio, dopo già tante accadutene a causa di stalinismo...
Per pessime circostanze pessimi effetti...:
Ad esempio in Montenegro, dove religiosità nazionale è diplomatica - ecumenica né altro potrebbe data natura del luogo anonima e per questo non atipica solo assai diversa in Europa, ma dove da Stato si legifera senza tenerne conto ed in fatto di libertà religiosa soprattutto nazionale e dopo che legittimità di adesione a Patto Atlantico di fatto assicurata da lealtà di oppositori non opportunamente scagionati o forse non ancora scagionati.
...Quanto accaduto, è stata ultima possibilità, datoché il tentativo di uniformare Settentrione del Mondo agli "standard" capitalistici americanisti ed ai "diktat" associazionisti orientalisti-cinesizzanti è stato interrotto da perduranza di meteocompatibilità antropologica-etnologica europea, cioè umanità europea ha continuato, sia pur etnologicamente in minor numero tra indecisi e non sempre in apparenza di decisi (!...) a causa dei fenomeni meteo uguali non compatibili, ad agire per un futuro corrispondente fino a corrispondenza meteo del tutto indipendente da europea antropizzazione.
MAURO PASTORE
In penultimo messaggio da me inviato 'a senza' sta per : o senza.
Reinvierò e con miglioria espressiva anche.
MAURO PASTORE
Quanto accaduto ( ...) con ripresa - evoluzione di naturalità in specie meteorologica europea ha evidenziato per un verso nullità e per altro verso estraneità delle cosiddette "best practices" internazionalmente invalse di cui recensore T. Gabrielli includeva con scarto linguistico tipicamente internazionale non senza riduzione che non presenta i contenuti reali dei lavori recensiti se non indirettamente astraendone e concettualizzandone in ulteriorità aliena a prassi ed in ciò non rispettosa di finalità oggettivamente possibili e non arbitrariamente convenzionali di pubblicazione stessa (fosser state o fosser finalità stesse dovute a sola volontà editoriale e fosse stata questa pure eterodiretta). Riduzione in recensione è autoconfinamento a modi espressivi di civiltà internazionale già da vari decenni terminata e tipica di internazionalismo ebraico antecedente a nazismo e poi di multinazionalismo giudaico anche recentissimo tuttoggi non più prevalente a causa di politiche globali ancora attente a definire limiti di pratiche condivisibili tra Stati Nazionali e cioè rendendo inutili relazioni di tipo diplomatico-politico-statale-ecclesiale... Di questa tipicità se ne era appropriato il marxismo riformulandone in sola apparenza laicamente in realtà avversando stessa politica laica per escluder anche diritto a politica di religioni... Ultimamente essa è stata sfruttata per sola negazione antipolitica e se ne trova non rifiuto in divenire di filosofie - antifilosofie ma anche inconsapevolmente in varietà di filosofare non costituito in filosofia compiuta...
In gergo internazionale - internazionalista "best practices" non corrisponde ad analoga espressione non gergale in Globalità, ove interesse a migrazioni estremamente vario, non chiuso in espressioni di specifiche internazionalissime semiappartenenze spesso celanti internazionalità ed internazionalismi a causa di non sufficienze ecologiche di condizioni di pensiero e azione.
In Italia era brontolato qual "politically correct" generico rifiuto a considerar etnicità locale-europea (non interetnicità ma comunanze etniche intraeuropee) e i brontoloni ci aggiunsero menzione di "best practices" affinché con arrivo di gente straniera e diversissima di aspetto e di etnia non queste ma essi stessi si rassicurassero e nella confusione con spacciarsi per patrioti e non per ex o senza... dato che in inadempienza ad ecologia il Paese e la Patria sono uniti e non più accoglienti e dato che senza attenzione etnica non è possibile confronto con realtà globale né appartenenza od inserimento a realtà locale.
Ad intenzione filosofica, brontolii che paion e non sono esperanti son presentati ingannevolmente ed in circostanze di mutamenti ambientali, quale l'avvicendarsi di Ere climatiche!... e non può intellettualità farne conto reale tranne che non sia esercitata in dinsinganno filosofico; ma questa esigenza in sua forza fu smentita da filomarxismo e marxismo, ingenuità non filosofica lasciando ad ambienti di filosofia pure...
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MAURO PASTORE
... Lavori recensiti offrono possibili supporti per politiche di integrazione o di confronto di cui in recensione di fatto ignorati, tantoché espressione "ex abrupto" inglese dopo aver con riduzione esclùsone, suona suonerebbe, se non previa lettura di indice accluso, il solito come infantile e in realtà malvagio parlar senza dire e altro lasciar fraintendere in voga in internazionalità che agisce per generalismi ed assolutismi cui conseguenze distruttive invadenze e letali ignoranze.
Sicché "best practices" diventa suono che corrisponde a trattamenti di malasanità o a distrazioni mortali per la politica, o a peggio, dopo già tante accadutene a causa di stalinismo...
Per pessime circostanze pessimi effetti...:
Ad esempio in Montenegro, dove religiosità nazionale è diplomatica - ecumenica né altro potrebbe data natura del luogo anonima e per questo non atipica solo assai diversa in Europa, ma dove da Stato si legifera senza tenerne conto ed in fatto di libertà religiosa soprattutto nazionale e dopo che legittimità di adesione a Patto Atlantico di fatto assicurata da lealtà di oppositori non opportunamente scagionati o forse non ancora scagionati.
...Quanto accaduto, è stata ultima possibilità, datoché il tentativo di uniformare Settentrione del Mondo agli "standard" capitalistici americanisti ed ai "diktat" associazionisti orientalisti-cinesizzanti è stato interrotto da perduranza di meteocompatibilità antropologica-etnologica europea, cioè umanità europea ha continuato, sia pur etnologicamente in minor numero tra indecisi e non sempre in apparenza di decisi (!...) a causa dei fenomeni meteo uguali non compatibili, ad agire per un futuro corrispondente fino a corrispondenza meteo del tutto indipendente da europea antropizzazione.
MAURO PASTORE
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