Dopo la pubblicazione de L’anima e il suo destino (Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007), Mancuso prosegue il suo percorso di fondazione di una teologia laica, cioè di una teologica filosofica che pervenga alla rielaborazione del concetto di Dio, o più in generale del divino, in un’ottica eminentemente razionale e compatibile con i risultati dell’attuale ricerca scientifica, soprattutto nel campo della cosmologia e della biologia.
Il movente e l’obiettivo del libro sono dichiarati nel Prologo, dove Mancuso afferma che
“Questo libro nasce […] dall’esigenza interiore di rifondare al cospetto delle perplessità odierne il pensiero di Dio” (p. 17); la ragione contemporanea considera ormai insufficiente la fondazione di tale pensiero solamente a partire dalla Chiesa e dalla Bibbia; il nuovo concetto di Dio va elaborato “all’aria aperta della libertà di pensiero” (ivi). In questa prospettiva, il libro intende presentarsi come un’opera di “teologia fondamentale” (ivi) nella misura in cui vuole riflettere sui fondamenti del discorso teologico. Abbandonando ogni principio di autorità, in se stesso sterile o addirittura dannoso per l’autentica comprensione della divinità, l’obiettivo è quello di “contribuire a far sì che la mente contemporanea possa tornare a pensare insieme Dio e il mondo” (p. 18), ovvero – aggiungo io – a pensare Dio a partire dal mondo.
“Questo libro nasce […] dall’esigenza interiore di rifondare al cospetto delle perplessità odierne il pensiero di Dio” (p. 17); la ragione contemporanea considera ormai insufficiente la fondazione di tale pensiero solamente a partire dalla Chiesa e dalla Bibbia; il nuovo concetto di Dio va elaborato “all’aria aperta della libertà di pensiero” (ivi). In questa prospettiva, il libro intende presentarsi come un’opera di “teologia fondamentale” (ivi) nella misura in cui vuole riflettere sui fondamenti del discorso teologico. Abbandonando ogni principio di autorità, in se stesso sterile o addirittura dannoso per l’autentica comprensione della divinità, l’obiettivo è quello di “contribuire a far sì che la mente contemporanea possa tornare a pensare insieme Dio e il mondo” (p. 18), ovvero – aggiungo io – a pensare Dio a partire dal mondo.
Nei primi tre capitoli, come precisa lo stesso autore nelle Avvertenze (p. 9), viene effettuata una fenomenologia della situazione odierna in ordine alle forti perplessità a cui va incontro, oggi, il concetto speculativo mondo-Dio; i capitoli 6, 7 e 8 sono invece dedicati all’analisi critica, ovvero alla pars destruens dell’impostazione teologica dell’autore; infine, i capitoli 4, 5, 9 e 10 contengono la pars construens, ovvero la proposta personale della nuova teologia mancusiana.
L’opera, proprio come quella scritta da Mosè Maimonide – filosofo e rabbino spagnolo – tra il 1180 ed il 1190 d.C., vuole essere anche Una guida dei perplessi (come recita il sottotitolo di Io e Dio), un testo che sappia riconciliare la fede in Dio con “le nuove conoscenze filosofiche e scientifiche” (p. 21), senza la quale riconciliazione il credente è destinato a essere vittima di innumerevoli dubbi e perplessità. Un esempio per tutti: “Dopo milioni di innocenti massacrati nella più totale indifferenza celeste, è semplicemente impossibile parlare ancora di un Dio della Provvidenza storica. Ha scritto Primo Levi: «Se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza»” (p. 33; la citazione di Levi è tratta da Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1989, p. 140); vale la pena di ricordare, proprio su questo tema, il saggio del 1984 di Hans Jonas, Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine jüdische Stimme (trad. it., Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, a cura di G. Angelino, Il Nuovo Melangolo, 1993). Secondo Mancuso non possiamo più, oggi, spiegare la presenza del male assoluto ricorrendo al più classico refugium theologorum utilizzato dalla coscienza religiosa di tutti i tempi, vale a dire il ricorso alla categoria del mistero (p. 34). Altra fonte di forte perplessità, prosegue Mancuso, consiste nell’“associare immediatamente al termine «Dio» un essere personale, pensando che ogni ricerca al riguardo sia necessariamente una ricerca su questa entità personale: Dio come un ente, come una cosa distinta da tutte le altre cose, per quanto superlativa” (p. 77); l’autore, che dichiara – pur con tutti i distinguo – di aderire alla fede cristiano-cattolica, pensa tuttavia che “si debba parlare di un Dio personale in senso ben diverso dalla modalità antropomorfica che campeggia solitamente nelle menti quando si nomina il termine «persona». Dio è personale solo nella misura in cui è anche impersonale, perché è il principium anche delle cose impersonali” (p. 79).
Nel terzo capitolo, che chiude la citata trattazione fenomenologica, Mancuso passa in rassegna le diverse prove e dimostrazioni (o “argomenti”, come preferisce considerarli) utilizzati nella storia della teologia per sostenere la conoscibilità di Dio, con certezza, a partire dalla sola ragione. La dottrina cattolica con il Concilio Vaticano I, precisamente nella Costituzione dogmatica Dei Filius del 24 aprile 1870, afferma categoricamente: “La santa madre Chiesa ritiene e insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create” (Heinrich Denzinger, Enchiridion symbolorum definitiorum et declarationum de rebus fidei et morum, a cura di Peter Hunermann, ed. it. a cura di Angelo Lanzoni e Giovanni Zuccherini, EDB, Bologna, 1986; corsivo di Mancuso) e sanziona con la scomunica chi non accetta tale insegnamento. Ora, si chiede Mancuso, come non provare delle forti perplessità di fronte a tale certezza granitica ed autoritaria, tenuto conto che “le prove dell’esistenza di Dio non hanno mai funzionato a livello pratico” (p. 98); se avessero funzionato, l’esistenza di Dio sarebbe del tutto evidente a ogni uomo dotato di ragione, ma sappiamo che così non è.
Finora Mancuso si è limitato a sollevare una serie di perplessità; nei capitoli 6, 7 e 8 invece viene messa in atto la vera e propria pars destruens del suo percorso teologico, vale a dire l’analisi (fortemente) critica di alcune posizioni, credenze e dogmi, in particolare della tradizione cattolica. Questa, dal punto di vista teoretico, ritengo sia la parte meno interessante del saggio, in quanto mette in evidenza aporie e contraddizioni tutte interne alla Chiesa. Il lettore non cattolico, o ateo, non necessita, in fondo, di questa operazione di pulizia per elaborare in modo proficuo una riflessione ed un pensiero su Dio, essendo tale lettore per definizione immune dalle polemiche interne alla Chiesa cattolica.
Ma Mancuso è figlio di tale Chiesa e così sente forte il bisogno di superare il principio-autorità in favore del principio-autenticità: “Desidero in particolare promuovere un cambiamento di paradigma: il passaggio dal principio di autorità al principio di autenticità. Per principio di autorità intendo la prospettiva secondo cui si accetta di aderire a un concetto o a una dottrina non per motivi intrinseci alla cosa stessa, ma per motivi estrinseci legati all’identità di chi la propone. […] Tale principio di autorità è ancora oggi dominante nel cattolicesimo, a tal punto da essere di fatto il dogma primordiale da cui tutti gli altri dipendono” (pp. 194-195). Al contrario, l’autore intende promuovere “il passaggio da una fede come «dogmatica ecclesiale» […] a una fede «laica», non-clericale, per la quale l’istanza conclusiva è la coerenza del pensiero rispetto all’esperienza concreta della vita” (p. 198).
Autenticità significa anche la capacità della religione di sostenere le sue affermazioni al cospetto della comprensione scientifica del mondo naturale e resistere alla verifica della razionalità (p. 200). Segue l’esposizione dei numerosi errori e crimini compiuti dalla Chiesa cattolica in forza del citato, nefasto, principio di autorità.
Autenticità, infine, significa per Mancuso non rinunciare a quell’onestà intellettuale che impone di non tacere le numerose contraddizioni, anche rilevanti, contenute nei libri sacri (messe puntualmente in evidenza nel cap. 7) e di non mascherare quelle aporie dottrinali, come il problema del male (di cui si parla nel cap. 8), mai affrontate e risolte fino in fondo dalla fede cattolica tradizionale.
Sicuramente la parte più suggestiva del saggio è la pars construens, quella contenuta – in particolare – nei capitoli 4, 5, 9 e 10. Innanzitutto, ci ricorda Mancuso, per pervenire a quella forma di “religiosità autentica” che si concretizza attraverso la “unità di Io e Dio” (p. 147), è necessario liberarsi dai pregiudizi; questa operazione di pulizia intellettuale è possibile nella misura in cui l’uomo è libero, desiderando – grazie alla sua irrinunciabile libertà – di volere, sopra ogni cosa, la verità (la verità dell’essere più che la verità della dottrina).
“È ora giunto il momento di dichiarare qual è il mio assoluto, qual è, esistenzialmente parlando, il mio dio. Rispondo in tutta franchezza che il mio assoluto non è Dio, inteso come «essere perfettissimo creatore e signore» […]. Il mio assoluto è il bene, l’idea e la pratica del bene [..] che si dice [nella dimensione fisiologica e biologica] come salute, [nella dimensione etica] come giustizia, [nella dimensione teologica, rispetto alla meraviglia che l’essere-energia suscita] come grazia” (p. 173). Ecco, con questo passaggio decisivo, qui oltremodo sintetizzato per ragioni di spazio, Mancuso si pone e ci pone chiaramente fuori, oltre la teologia dogmatica tradizionale, invitandoci a entrare nella dimensione, suggestiva e inusuale, della sua teologia fondamentale e laica, elaborata sulla scia di quelli che sono stati i suoi grandi maestri spirituali: Pavel Florenskij, Dietrich Bonhoeffer, Simon Weil, Etty Hillesum e il gesuita Teilhard de Chardin, per citare solo i principali.
“Credendo in Dio, io credo che quella dimensione dell’essere manifestata dalla tensione verso l’organizzazione e la complessità non sia un’illusione, ma l’ultima, la più fondamentale dimensione dell’essere-energia, e che essa sia il destino del mondo” (p. 398): già da queste ultime parole si intuisce – ma la lettura del libro ne consentirà un adeguato approfondimento – come a fondamento della teologia di Mancuso vi sia, innanzitutto e per lo più, una vera e propria ontologia che riconduce il concetto di essere a quello, elaborato dalla scienza fisica contemporanea, di energia. Questa dimensione eminentemente ontologica è stata, peraltro, diffusamente trattata da Mancuso nel suo precedente lavoro del 2007 (L’anima e il suo destino, op. cit.).
E dove dovrebbe condurre questa nuova ontoteologia? Verso “una fede più umana” (titolo, questo, del decimo e ultimo capitolo), verso una “fede non dogmatica” (p. 437) dove l’assoluto non è più rappresentato dal dogma, ma dal bene, dove lo statuto veritativo non è più di tipo dottrinale, ma pragmatico” (ivi).
INDICE
Prologo
• Perplessità
• Instrumenta laboris
• Prove, dimostrazioni, argomenti
• Condizioni e stile
• Il mio Dio
• Non è la Chiesa
• Non è la storia
• Una dottrina che non va
• Itinerario della mente verso Dio
• Una fede più umana
Guida bibliografica
Indice dei nomi
5 commenti:
Per un verso le critiche di Vito Mancuso alla organizzazione della Chiesa Cattolica hanno necessità e valore, per altro verso sono elusive ed infondate; adeguate cioè a realtà decadente, ma non all'altra realtà parallela, non evidente, di un nuovo od in ogni caso altro cattolicesimo. Tal duplicità deriva da univocità di concezione del laicato cui è improntata la pubblicazione "Io e Dio Una guida dei perplessi": V. Mancuso ne accoglie funzione liberatoria, che ha ragion d'essere a causa di negazioni clericali che intendon sottoporre le intuizioni dell'anima del credente alle prassi sociali ecclesiastiche istituite da parte soltanto della comunità dei credenti, cioè il clero; eppure ci si deve chiedere se davvero ha ancora senso e quale senso avrebbe ormai fare di questa vicenda un fondamento del presente e del futuro cattolico, che ne risulterebbero così legati con distacco da altre vicende degne e senza termini etici fatalmente segnati da giudizi, attuati ormai da stesse etiche degli Stati o da Stati etici quali in tal ultimo caso sono Israele, Iran, Tibet, Montenegro... Nessun contrasto veramente esistente con la istituzione ecclesiastica cattolica impegnata in politica vi potrebbe essere ancora, neppure con gli Stati etici, giacché il Vaticano non poteva (né doveva) sottrarsi alle Leggi, non impositive od impositive, degli Stati politici, perché agiva con modalità non differenti e per scopi di ugual rango. Esempio emblematico:
Tra fine Secondo ed inizio Terzo Millennio il Papato che aveva prima aggiunto poi sostituito l'uso della automobile all'utilizzo della lettiga quale sistema ufficiale di trasporto, ne era inibito poi impedito: accadde che il terrorista de "i lupi grigi" venisse scagionato da accusa di aver effettivamente colpito e ferito il papa polacco, i referti medici restando contraddittori agli inquirenti e non senza escludere il caso dell'autoferimento postumo o ferimento successivo per azione di altri; però non accadde che la automobile del papa potesse esser sottratta da indagini che si conclusero col sequestro dell'autoveicolo e col divieto ad usarne, evidentemente anche in quanto pericoloso per i pedoni; ed accadde che il terrorista fosse prosciolto da accusa diretta di omicidio non da accusa di intervento violento prima che graziato dal Presidente della Repubblica italiana e che fosse senza torto fatto restare in carcere in Italia solo poiché già condannato in Turchia per altro delitto e giudicato sovversivo internazionalmente pericoloso; invece i provvedimenti limitanti poi impedenti uso delle automobili ufficiali vaticane non furono interrotti, imponendone a Vaticano stesso disuso perché non era accettabile l'inerzia del procedere cui esse consentita da modifiche apportate per comando di stesso Vaticano... Ma domandandosi dei rischi per chi in strada, ugualmente bisogna chiedersi anche se in qualche caso il clero cattolico ed il papa in particolare non fossero perseguitati in auto da folle fanatiche ed oltremodo violente ed ingiustificabili perché dedite a peggiorare situazioni già inaccettabili! Questa vicenda (conclusasi anche con non ordinaria contravvenzione (per insicurezza intrinseca del veicolo nei confronti anche di chi a bordo di esso, il papa polacco) e ordinarie contravvenzioni non rifiutate da chi in esse incorso (il papa tedesco per scelta di andatura pericolosa; il papa argentino per responsabilità in sosta vietata, negli Stati Uniti d'America)) fa parte anche dello stesso mondo cattolico cui Vito Mancuso volge suoi pensieri, già in anno 2011 e prima anche assai unilaterali niente affatto universali!
Ci si chieda quale sia la diversità del viaggio che tal Mancuso propone alle anime credenti tra concetti filosofici, scientifici, tecnici, rispetto ai viaggi delle "papamobili" in marcia troppo restia a smorzarsi... Davvero Mancuso aveva ottenuto la chiave giusta per affrontare tutti gli eventuali inconvenienti? Evidentemente no; a viaggiare erano anche altri e con altre esigenze, che lui non intendeva.
MAURO PASTORE
Notare unilateralità del pensiero di Vito Mancuso e sua parziale applicabilità e suo ormai secondario valore è cosa invece non tanto secondaria, utile interamente e per scopi intellettuali molteplici.
Si vive realtà sociale anche drammatica spesso tragica, tra immani catastrofi ambientali per poco evitate e disastri antiecologici non evitati, in una situazione politica complessa ed in ardue condizioni civili, con la cultura rimasta di pochi o resa esigua da proliferare di subculture e da estinguersi di linguaggi e lingue, tra convivenze quasi impossibili od impossibili, coesistenze precarie o nulle; per questa epoca, post-moderna per taluni anche post-industriale per talaltri, le stragi perpetrate coi totalitarismi sono passato non per tutti lo stesso: contro la cristianità il torto più grave fu il massacro, perpetrato da "Stalin" e stalinismo, dei campi di lavoro in Unione Sovietica; e i campi di sterminio nazisti furono poi scusa dei neonazisti per imporre mutamenti di coscienze collettive; anche per questo, non solo per dire di nuovi destini morali, Primo Levi affermava dei mutamenti di mentalità dopo gli stermini nazisti, anche con doppio senso, e con sarcasmo notava il pessimo gioco ad usar crimine antiumanitario per mutar rapporti civili-religiosi; e ciò mentre durava Guerra Fredda e mentre l'ateismo comunista era dominato da spietato anticristianesimo; ed al volgere al termine di questo evento le società occidentali ed in specie ad Ovest eran preda di spinte distruttive, nazistoidi ed antipolitiche, per le quali era necessaria politica di bioeticavma cui gerarchia ecclesiastica cattolica reagiva con ammonimenti non insegnamenti e laicato cattolico con abbandoni non interessi; e quanto fatto fino a tempi recentissimi da appartenenze politiche cristiane anche e soprattutto in Italia salvando il salvabile di Stato e Istituzioni non è venuto dal moralismo clericale cattolico neppure dal libertinismo laicale cattolico, di cui stesso apostolato di Vito Mancuso, essendone conseguenza pratica un disimpegno politico in questioni politiche irrinunciabili.
Nelle attuali Circostanze occidentali e non solo occidentali, per le quali il Cristianesimo è spiritualità di spontanea utilità ed opzione religiosa di irrinunciabile vantaggio anche se non di necessità per tutti, bisogna intendere del vitalismo filosofico limiti e virtù; infatti questo gnoseologicamente è adatto a definire misteri religiosi, di aldilà e di emozioni tutte mondane, ma epistemologicamente non offre nulla di compiuto a chi si occupa con scopo vitale della vita e della morte perché dando idea della morte quale destino della vita o negando idea della morte quale destino nella vita dunque non si può affrontare alcun dilemma di pratica di vita né eventualità di morte; restando la prospettiva epistemologica l'unica affinché religione e scienza non confliggano, per mezzo essendovi non solo il problema della sciocca incredulità al cospetto di esperienze innegabili di Mistero ma pure il dramma della inattenzione alle esigenze della vita ed ai timori della morte, cui muovere intenti politici riparatori necessari ed in questi la politica religiosa potendosi e dovendosi esprimere in affermazioni anche epistemologiche.
La filosofia ha da esser rigorosa, concreta, in accadimenti che mettono a dura prova e non basta la critica bonhoefferiana al "dio tappabuchi" cioè al pensar fede per risolver guai, poi che il mondo tecnoscientifico — cito altro fatto emblematico — è giunto a illudersi di poter riempire corpi umani con ammassi biologici topeschi o suini e senza neanche sapersi prospettare i travagli dei malcapitati a dover estinguerne materie bestiali ed a ricrearne di proprie e senza tal mondo, che non intende oramai il necessario di scienza né di tecniche, neppure capire la involuzione in atto di tal azione non medica né infermieristica soltanto manipolatoria! Mentre fautori di incubi vaneggiano più stolti che mai, è catastrofe civile e sociale e vitale di inaudite proporzioni.
MAURO PASTORE
In precedente mio messaggio: 'bioeticavma' sta per:
bioetica, ma.
/
Reinvierò messaggio con testo corretto.
MAURO PASTORE
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Notare unilateralità del pensiero di Vito Mancuso e sua parziale applicabilità e suo ormai secondario valore è cosa invece non tanto secondaria, utile interamente e per scopi intellettuali molteplici.
Si vive realtà sociale anche drammatica spesso tragica, tra immani catastrofi ambientali per poco evitate e disastri antiecologici non evitati, in una situazione politica complessa ed in ardue condizioni civili, con la cultura rimasta di pochi o resa esigua da proliferare di subculture e da estinguersi di linguaggi e lingue, tra convivenze quasi impossibili od impossibili, coesistenze precarie o nulle; per questa epoca, post-moderna per taluni anche post-industriale per talaltri, le stragi perpetrate coi totalitarismi sono passato non per tutti lo stesso: contro la cristianità il torto più grave fu il massacro, perpetrato da "Stalin" e stalinismo, dei campi di lavoro in Unione Sovietica; e i campi di sterminio nazisti furono poi scusa dei neonazisti per imporre mutamenti di coscienze collettive; anche per questo, non solo per dire di nuovi destini morali, Primo Levi affermava dei mutamenti di mentalità dopo gli stermini nazisti, anche con doppio senso, e con sarcasmo notava il pessimo gioco ad usar crimine antiumanitario per mutar rapporti civili-religiosi; e ciò mentre durava Guerra Fredda e mentre l'ateismo comunista era dominato da spietato anticristianesimo; ed al volgere al termine di questo evento le società occidentali ed in specie ad Ovest eran preda di spinte distruttive, nazistoidi ed antipolitiche, per le quali era necessaria politica di bioetica ma cui gerarchia ecclesiastica cattolica reagiva con ammonimenti non insegnamenti e laicato cattolico con abbandoni non interessi; e quanto fatto fino a tempi recentissimi da appartenenze politiche cristiane anche e soprattutto in Italia salvando il salvabile di Stato e Istituzioni non è venuto dal moralismo clericale cattolico neppure dal libertinismo laicale cattolico, di cui stesso apostolato di Vito Mancuso, essendone conseguenza pratica un disimpegno politico in questioni politiche irrinunciabili.
Nelle attuali Circostanze occidentali e non solo occidentali, per le quali il Cristianesimo è spiritualità di spontanea utilità ed opzione religiosa di irrinunciabile vantaggio anche se non di necessità per tutti, bisogna intendere del vitalismo filosofico limiti e virtù; infatti questo gnoseologicamente è adatto a definire misteri religiosi, di aldilà e di emozioni tutte mondane, ma epistemologicamente non offre nulla di compiuto a chi si occupa con scopo vitale della vita e della morte perché dando idea della morte quale destino della vita o negando idea della morte quale destino nella vita dunque non si può affrontare alcun dilemma di pratica di vita né eventualità di morte; restando la prospettiva epistemologica l'unica affinché religione e scienza non confliggano, per mezzo essendovi non solo il problema della sciocca incredulità al cospetto di esperienze innegabili di Mistero ma pure il dramma della inattenzione alle esigenze della vita ed ai timori della morte, cui muovere intenti politici riparatori necessari ed in questi la politica religiosa potendosi e dovendosi esprimere in affermazioni anche epistemologiche.
La filosofia ha da esser rigorosa, concreta, in accadimenti che mettono a dura prova e non basta la critica bonhoefferiana al "dio tappabuchi" cioè al pensar fede per risolver guai, poi che il mondo tecnoscientifico — cito altro fatto emblematico — è giunto a illudersi di poter riempire corpi umani con ammassi biologici topeschi o suini e senza neanche sapersi prospettare i travagli dei malcapitati a dover estinguerne materie bestiali ed a ricrearne di proprie e senza tal mondo, che non intende oramai il necessario di scienza né di tecniche, neppure capire la involuzione in atto di tal azione non medica né infermieristica soltanto manipolatoria! Mentre fautori di incubi vaneggiano più stolti che mai, è catastrofe civile e sociale e vitale di inaudite proporzioni.
MAURO PASTORE
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Forse sarà utile a chi legge la seguente mia precisazione circa mio invio, sicuramente potrebbe essere adatta a contrastare intimidazioni e discrediti ai miei e non solo miei danni:
Sono dispiaciuto dell'inconveniente di scrittura occorso, sia pur minimo e che dipende da noie non solo a me arrecate delittuosamente da altri e durate tanto e tanto tempo (ancora!!) e necessitantimi altre urgenti attenzioni alternative e cui non ho voluto opporre maggior impegno, per mio filosofico senso del limite ed istintiva mia saggezza.
Poiché Internet non è una libreria, allora basti pure l'ultimo invio che ho fatto con correzione inclusa.
MAURO PASTORE
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