La storia dell’Essere, traduzione del volume 69 dell’opera completa di Heidegger edita per l’editore Klostermann di Francoforte sul Meno, contiene due testi scritti da Heidegger a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del Novecento. Il primo è intitolato La storia dell’Essere e raccoglie vari appunti ed alcuni brevi testi redatti da Heidegger tra il 1938 e il 1940; il secondo, intitolato Koinon. Dalla storia dell’essere è datato 1939/40, ha una forma più definita ed omogenea e propone una riflessione sulla situazione storico-politica di quegli anni
a partire dall’orizzonte ontologico entro cui si staglia il pensiero dello Heidegger post-svolta. Il primo scritto è da leggere in connessione con altri due testi coevi appartenenti alla sterminata produzione heideggeriana, Contributi alla filosofia (1936-1938) e Besinnung (1938-1939), che in qualche modo fanno da sfondo alle riflessioni che in queste pagine compaiono in maniera frammentaria e, per alcuni versi, poco sistematica. Verificato il fallimento teorico del progetto di Essere e tempo (1927), lo Heidegger di questo periodo prova a pensare, non senza asprezze concettuali acuite talvolta da un linguaggio al limite dell’ermetismo esoterico, la questione dell’Essere a partire dall’Essere stesso e non più da quel Dasein che nell’opera del 1927 occupava una posizione “privilegiata” all’interno del dispositivo ermeneutico di matrice heideggeriana. È questo il periodo della svolta [Kehre], ovvero di quel cambiamento decisivo dell’orizzonte di pensiero dell’autore in cui la questione dell’Essere [Seinsfrage] viene assunta a partire dal darsi dell’Essere stesso come Evento; lemma che, come afferma lo stesso Heidegger, dagli anni Trenta in avanti diviene l’unico nome appropriato per denominare la sua riflessione. Centrali per la comprensione dei temi contenuti in questo libro sono anche i corsi sul pensiero di Nietzsche che Heidegger in quegli anni – e precisamente nel decennio 1936-46 – stava tenendo presso l’università tedesca di Friburgo. Nietzsche rappresenta per Heidegger il punto apicale di un movimento carsico che attraversa il pensiero occidentale e che lo caratterizza in maniera pregnante fin dalla sua origine. Se l’Essere ha una storia – ed è questa la tesi fondamentale del testo qui in questione, come recita d’altra parte il titolo dell’opera –, questa trova un suo senso solo nel momento in cui essa giunge nello spazio del suo compimento. Proprio nella misura in cui con Nietzsche tutte le possibilità insite al pensiero occidentale trovano la loro estrinsecazione è possibile comprendere il corso di questo pensiero come storia del nichilismo, ovvero di quel movimento che dell’Essere “ne ha fatto nulla”. Sebbene Nietzsche non venga quasi mai nominato in La storia dell’Essere, forte è l’eco dell’estenuante corpo a corpo ermeneutico che proprio in quegli anni Heidegger stava conducendo con il pensatore che con la sua riflessione ha spianato la strada per un ripensamento essenziale della storia dell’Occidente come nichilismo.
a partire dall’orizzonte ontologico entro cui si staglia il pensiero dello Heidegger post-svolta. Il primo scritto è da leggere in connessione con altri due testi coevi appartenenti alla sterminata produzione heideggeriana, Contributi alla filosofia (1936-1938) e Besinnung (1938-1939), che in qualche modo fanno da sfondo alle riflessioni che in queste pagine compaiono in maniera frammentaria e, per alcuni versi, poco sistematica. Verificato il fallimento teorico del progetto di Essere e tempo (1927), lo Heidegger di questo periodo prova a pensare, non senza asprezze concettuali acuite talvolta da un linguaggio al limite dell’ermetismo esoterico, la questione dell’Essere a partire dall’Essere stesso e non più da quel Dasein che nell’opera del 1927 occupava una posizione “privilegiata” all’interno del dispositivo ermeneutico di matrice heideggeriana. È questo il periodo della svolta [Kehre], ovvero di quel cambiamento decisivo dell’orizzonte di pensiero dell’autore in cui la questione dell’Essere [Seinsfrage] viene assunta a partire dal darsi dell’Essere stesso come Evento; lemma che, come afferma lo stesso Heidegger, dagli anni Trenta in avanti diviene l’unico nome appropriato per denominare la sua riflessione. Centrali per la comprensione dei temi contenuti in questo libro sono anche i corsi sul pensiero di Nietzsche che Heidegger in quegli anni – e precisamente nel decennio 1936-46 – stava tenendo presso l’università tedesca di Friburgo. Nietzsche rappresenta per Heidegger il punto apicale di un movimento carsico che attraversa il pensiero occidentale e che lo caratterizza in maniera pregnante fin dalla sua origine. Se l’Essere ha una storia – ed è questa la tesi fondamentale del testo qui in questione, come recita d’altra parte il titolo dell’opera –, questa trova un suo senso solo nel momento in cui essa giunge nello spazio del suo compimento. Proprio nella misura in cui con Nietzsche tutte le possibilità insite al pensiero occidentale trovano la loro estrinsecazione è possibile comprendere il corso di questo pensiero come storia del nichilismo, ovvero di quel movimento che dell’Essere “ne ha fatto nulla”. Sebbene Nietzsche non venga quasi mai nominato in La storia dell’Essere, forte è l’eco dell’estenuante corpo a corpo ermeneutico che proprio in quegli anni Heidegger stava conducendo con il pensatore che con la sua riflessione ha spianato la strada per un ripensamento essenziale della storia dell’Occidente come nichilismo.
Tutta la storia del pensiero occidentale è, dunque, per Heidegger dimenticanza dell’Essere [Seinsvergessenheit]; ma è nella modernità che questo processo, giunto ormai nella sua fase estrema, mostra il suo aspetto totalitario e onnicomprensivo. L’importanza delle riflessioni contenute in La storia dell’essere risiede, tra le altre cose, nella penetrante fenomenologia del moderno proposta da Heidegger, il quale individua nella macchinazione [Machenschaft] – tema già centrale nei Contributi alla filosofia e in Besinnung – la forma con cui l’Essere si dispiega in quest’epoca. Anticipando alcuni temi che saranno approfonditi negli anni Cinquanta, periodo in cui Heidegger elabora in maniera compiuta la questione della tecnica, in queste pagine sono gettate le fondamenta di quel pensiero che individua nel fenomeno tecnico l’orizzonte ontologico dell’epoca della metafisica dispiegata. Se il tema della macchinazione per molti aspetti ricalca le analisi già condotte da Heidegger negli anni precedenti, quasi del tutto inedite, se si eccettua qualche riferimento nei Contributi alla filosofia e nelle pagine conclusive di Introduzione alla metafisica (1935), sono invece le analisi accurate che l’autore propone del fenomeno del potere. Riprendendo alcune suggestioni nietzschiane riguardanti la volontà di potenza, Heidegger individua nel potere non semplicemente un fenomeno storicamente determinato ma la logica interna della metafisica stessa. Infatti, «il potere si rivela come essenziarsi della macchinazione e questa come essenza nascosta dell’“efficacia” nel senso metafisico che è radicato nell’interpretazione dell’essere» (p. 57). Più essenziale di qualsiasi violenza e sopruso di natura ontica, il potere è il nome metafisico dell’essenziarsi [wesen] dell’Essere nell’epoca del suo massimo abbandono [Seinverlassenheit]; abbandono che ha come suo contraltare “antropologico” la dimenticanza dell’Essere [Seinvergessenheit]. Ma proprio nell’epoca del massimo oblio dell’Essere, nel momento in cui «l’essere viene ridotto a un mero flatus vocis» (p. 33), ovvero nell’epoca del nichilismo assoluto, si apre la possibilità per una comprensione essenziale dell’Essere come evento [Ereignis]. Questa possibilità, però, non appartiene all’ambito di una decisione volontaristica dell’uomo; tuttavia essa presuppone che ci sia un’umanità “in-umana”, in quanto «non si rivolge a criteri, scopi e tendenze dell’umanità esistita finora» (p. 22), pronta a corrispondere al silenzioso, incommensurabile e spaesante appello proveniente dalla profonda semplicità della vastità dell’Essere. Le provocazioni teoriche proposte dal testo qui preso in esame oltre ad essere determinanti per comprendere l’evoluzione interna del pensiero heideggeriano sono molto importanti per capire il modo in cui Heidegger si relazionò ai tragici eventi storici che in quegli anni stavano sconvolgendo l’assetto geopolitico dell’Europa. Sebbene nella prima parte del testo (La storia dell’essere) Heidegger, se si eccettua qualche riferimento esplicito al conflitto tra Russia e Germania (pp. 102-103) e al nesso razza-potere (p. 60), non si confronti in maniera perspicua con gli eventi a lui contemporanei, è evidente che ogni pensiero espresso in queste pagine risente dei tragici avvenimenti che da lì a poco avrebbero causato la più grave devastazione che l’Europa abbia mai conosciuto. La seconda parte del testo, quella intitolata Koinon: dalla storia dell’Essere, presenta invece un confronto diretto e per alcuni versi dichiarato con gli eventi storici contemporanei alla sua stesura. Partendo da alcune suggestioni jüngeriane, Heidegger legge il Moderno come lo svanire della differenza, diventata ormai antiquata da un punto di vista metafisico, tra guerra e pace. Qui il conflitto non indica una determinata vicenda storica in cui le ostilità politiche assumono carattere bellico, bensì il modo in cui l’Essere si dispiega nell’epoca del dominio incontrastato della Machenschaft. Dominio che necessita del lavoro di quei “potenti” e “dittatori” che, lungi dal rappresentare coloro che possiedono il potere – in quanto «il potere non tollera possessori» (p. 168) –, sono degli “impiegati” della grande macchina metafisica che domina la storia occidentale fin dai suoi albori e che nell’epoca moderna mostra esplicitamente la sua essenza apertamente violenta. Interessante e per molti aspetti anomalo è il confronto con il “comunismo” proposto da Heidegger in queste pagine. Esso non viene letto semplicemente come un fenomeno determinato storicamente e geograficamente, ma come quel luogo metafisico in cui domina l’uniformità e l’anonimia tipica dell’era della tecnica; infatti, «nel comunismo il potere che spinge è ciò che incanta tutti con l’incantesimo dell’uniformità e pariformità di tutti» (p. 165). Svanita la possibilità di distinzione tra stati autoritari e democrazia, in quanto da entrambe le parti la lotta è per la potenza, nell’epoca della Machenschaft si avvia quel processo di “mobilitazione totale” dell’ente che già Ernst Jünger aveva descritto in maniera radicale all’inizio degli anni Trenta. Ma se «la signoria della macchinazione è la fine del primo inizio della storia dell’Essere» (p. 183), in quanto ne porta a compimento le premesse inscritte in essa fin dalla sua origine, proprio nel momento in cui la metafisica giunge nello spazio del suo dispiegamento totale si apre lo spazio per un ripensamento essenziale dell’Essere come evento e per l’avvento di un “altro inizio” del pensiero che si faccia portavoce di quella “quiete” che caratterizza l’Essere nell’intimo del suo dispiegarsi essenziale. Altro inizio che, è bene ribadirlo, non dipende semplicemente dalla volontà dell’uomo, il quale «non può “fare” questa storia e non può mai intervenire in essa; può solo, lui che è chi è toccato e afferrato dall’essenza di questa storia, preparare il tempo in cui lo coglie il più adveniente dell’adveniente, a partire dalla lontananza di ciò che è prossimo» (p. 178). Nelle pagine de La storia dell’Essere emerge in maniera decisiva il travaglio filosofico ed intellettuale che coinvolse Heidegger a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta. Perse le speranze, che pure nutriva nel 1933 quando assunse la carica di Rettore presso l’università di Friburgo, nella rivoluzione nazionalsocialista, in quanto «ogni rivoluzione non è sufficientemente rivoluzionaria» (p. 21), Heidegger vede tanto nel nazionalsocialismo di Hitler, il quale però non viene mai nominato espressamente, quanto nel bolscevismo di Stalin, a cui si fa invece esplicito riferimento (p. 173), quell’intima essenza nichilistica dell’Occidente che trova nella metafisica della Machenschaft lo spazio del suo dominio totale. Se da un lato il testo risulta determinante per comprendere tanto l’evoluzione del pensiero heideggeriano che il modo in cui egli si rapportò agli eventi storici a lui contemporanei, d’altro canto esso presenta dei tratti di “illeggibilità” che lo rendono un testo fruibile solo a specialisti. E questo per almeno due motivi tra essi intimamente connessi: le tematiche trattate e il linguaggio utilizzato. Per comprendere pienamente le tematiche che in questo testo vengono solo accennate in maniera frammentaria è necessaria l’analisi preliminare di alcuni volumi ad esso coevi. Senza la lettura dei Contributi alla filosofia e di Besinnung, La storia dell’Essere appare un insieme di questioni solo abbozzate e mai compiutamente approfondite, quindi difficilmente accessibili ad una comprensione immediata. La difficoltà di questo testo è determinata anche dal linguaggio utilizzato da Heidegger in queste pagine. Com’è noto Heidegger ascrive l’incompiutezza di Essere e Tempo all’incapacità del linguaggio tradizionale, che ancora caratterizzerebbe a suo dire le pagine dell’analitica esistenziale, di nominare la questione dell’Essere in maniera essenziale. Proprio a partire da questa premessa nelle opere post-svolta Heidegger prospetta una decostruzione del linguaggio filosofico classico proponendo un’opera di risemantizzazione essenziale delle questioni trattate. Al fine di evitare un linguaggio oggettivamente incapace di rendere conto del costitutivo dinamismo dell’Essere, Heidegger introduce nel lessico filosofico dei nuovi termini che però spesso finiscono per disorientare il lettore, gettandolo in un orizzonte linguistico criptico e per alcuni versi incomprensibile. Nel caso de La storia dell’Essere questa tendenza è portata all’estremo ed il merito del traduttore italiano è quello di rendere leggibile, attraverso un’orchestrazione linguistica notevole, un testo che altrimenti sarebbe rimasto inaccessibile alla maggior parte dei lettori.
Indice
LA STORIA DELL’ESSERE (1938/40)
LA STORIA DELL’ESSERE. Parte I
I. La storia dell’Essere
II. Contra-dizione e confutazione
III. Passaggio. La storia dell’Essere
IV. Il compimento della metafisica. L’abbandono dell’essere
V. Tò Koinòn
VI. La divergenza. L’essenza del potere. Il necessario
VII. L’essenza della storia. «Inizio». «Essere»
VIII. L’essere è l’ultimo dio
IX. Essenza della storia
X. La proprietà
LA STORIA DELL’ESSERE. Parte II
XI. La compagine del dire
XII. La storia dell’Essere (Esser-ci)
XIII. Il pensiero ontostorico
KOINON. DALLA STORIA DELL’ESSERE (1939/40)
APPENDICE
3 commenti:
Il lato incomprensibile agli ignari del pensiero di Heidegger su Essere e Storia è la menzione giusta per trarne fuori le traduzioni italiane e non solo italiane dai tentativi di colonizzazione intellettuale operati, più o meno indirettamente, dalla cosiddetta "sinistra storica heideggeriana".
Questa è stata in realtà un distaccamento, più o meno inconsapevole, della compagine politica ed ex filosofica marxista, oramai segnata da opportuna dissoluzione, di cui emblematico filosoficamente l'approdo del Pensiero Debole al metafisicismo, antagonisticamente ex-nichilista, radicalmente impegnato per un ritorno dell'Assoluto e non all'Assoluto del pensiero.
Terminate le fortune di questa sinistra culturale, protratte a causa del potere antiomologatore dei testi heideggeriani ed alla inconsistenza filosofica marxista sconfitta dal protrarsi anche della cronaca filosofica entro i contrasti intellettuali marxisti-antimarxisti, la stessa cosiddetta "destra heideggeriana" non ha più oggetto di contesa né ragione di evoluzione senza fine trasformativa...
E tutto questo itinerario non giunge ad un risultato esso stesso ma, in quanto operazione intellettuale politica filosofica collettiva, perviene ad una introduzione nuova a un secondo atto, già iniziato però quasi concluso, del pensiero accademico europeo alle prese coi dilemmi filosofici di essere e divenire.
...
MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :
... Tale secondo atto ha per centro di diffusione culturale la Francia non la Germania e non a caso, essendo la Francia il luogo erede delle antiche culture dei Germani mentre la Germania il luogo della loro estrema trasformazione in Teutoni (in Germania appunto etnicamente ugualmente appartenenti al mondo germanico senza esser germani ma "di Germania"). Tale trasformazione fu resa stabile solo dalla sconfitta in Germania dei totalitarismi di destra poi di sinistra, definitasi in anno 1989 cioè molto tempo dopo la dipartita di Heidegger, e parrebbe un nichilismo culturale a chi obliasse i concetti di mondi dentro i mondi e non diversi mondi. Dunque le inconcludenze universitarie di Martin Heidegger sono decifrabili entro questo quadro, spiegabili col notare che egli non era rimasto il solo facoltoso professore ed accademico tedesco (sia pure da esterno), ma altri ed in certo senso più facoltosi se ne erano aggiunti e anche dopo gli abbandoni eccellenti.
Perciò l'interesse per la filosofia di Heidegger volge fatalmente per altre ragioni o termina per altri scopi da ciò e da quanto (!) reputava necessario la cultura dominante nelle università italiane di fatto occupate dai sostenitori dello schema marxista, ostinati nonostante le negazioni pasoliniane e di Pasolini e sconfessati recentemente anche internamente solo dalle incursioni del pensiero precario contro la precarietà del pensiero, di cui rappresentante il nuovo cinismo di Diego Fusaro, nelle realizzazioni, recenti, filosofiche, essendo questo una intellettuale distruzione e non un nichilismo, che spazia tra eros sociale e morte della cultura, validamente perché in rotta di collisione contro i simulacri culturali ancora oberanti dello stalinismo e contro le ossessioni tanatologiche falsamente erotiche dei seguaci di S. Freud... Heidegger stesso volle dare consistenza e voleva che se ne desse a questi cinici echi e sarcastiche negazioni perché oltre ad essere arduo pensatore era pur sempre un professore con alunni, allievi, uditori.
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MAURO PASTORE
MAURO PASTORE :
... Quale filosofo M. Heidegger lasciò inconcluso il proprio lavoro per la comunità accademica, in ultima analisi perché altri pensieri ne continuavano attività: l'ermeneutica di Gadamer, le analisi storiche di Habermas; attraverso le quali si recuperava anche l'operato filosofico di Jaspers, escluso non distruttivamente solo criticamente da Heidegger stesso, fino al ricongiungimento con le stesse opere filosofiche di Husserl, accantonate non negate da Heidegger medesimo, non a caso già in sé legate ai luoghi francesi oltre che essere genericamente culturalmente europee.
Quali storie, eventi, necessità, per "l'altro Heidegger", rimasto segreto ai più? Un interesse sussiste realmente per gli altri che trovano affinità col destino dei suoi luoghi, della sua gente, con gli interrogativi, dilemmi, problemi posti da queste fatalità... O altrimenti resta pure altro ancora, ma vanamente se ne farebbe avanguardia di pensiero o materia di rivelazioni eccezionali.
"La storia dell'essere" è questo altro ancora risultato, che non conviene più legare primariamente alle successive vicende della Decostruzione, dato pure che i progressi accademici tedeschi sono pervenuti alla interpretazione storica del Postsecolarismo, fondamentale nonostante non ne siano possessori anche vecchi interlocutori culturali ed anche della stessa Germania, quali il tradizionalismo cattolico ed il conservatorismo culturale.
La attività post-heideggeriana di Derrida che sottoponeva l'àmbito di studi ontologici all'àmbito delle ricerche storiche fu ed è stata in Europa accademicamente e politicamente determinante restando di essa non chiuso epilogo culturale; ma la filosofia deve procedere anche molteplicemente in Europa e dunque la storia dell'essere raccontata da Heidegger assurge ad altro itinerario indipendente.
Mi pare giusto quindi che se ne menzioni lavoro di traduzione per ottenere leggibilità del pensiero tradotto, perché trattasi di operazione culturale che può essere opportunissimo reinizio di cultura filosofica ed anche opportunità per instaurare altri ed ulteriori collegamenti culturali e filosofici, unioni delle ricerche ontologiche agli studi essenziali, giacché non può darsi attualizzazione accademica-universitaria filosofica senza a sua volta sottoporre il pensiero del divenire ai riferimenti essenziali.
MAURO PASTORE
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