lunedì 12 novembre 2012

Marraffa, Massimo, Paternoster, Alfredo, Scienze cognitive. Un'introduzione filosofica

Roma, Carocci, 2011, pp. 323, euro 26, ISBN 9788843060238

Recensione di Francesco Armezzani - 16/02/2012

Il testo curato da Marraffa e Paternoster può essere considerato sia un manuale universitario sia un'antologia di saggi sulle scienze cognitive. Come indica il sottotitolo, l'argomento viene trattato privilegiando l'analisi concettuale, le questioni logiche e epistemologiche che riguardano le singole discipline e le relazioni che intercorrono tra loro. 
L'introduzione dei curatori affronta, in un'efficace connubio di sintesi e approfondimento concettuale, il complesso dei significati filosofici delle scienze cognitive

e mette subito in chiaro che, allo stato attuale delle ricerche e visti gli orientamenti prevalenti, non solo non esiste qualcosa di unitario che ci permetta di parlare di scienza cognitiva al singolare, bensì neppure si dà qualcosa come un principio logico-concettuale da porre alla base delle diverse scienze cognitive in quanto tali. 
Agli inizi, negli anni '50, quando tutto ebbe inizio, le discipline costitutive erano sei (o meglio cinque più una): psicologia, informatica, linguistica, neuroscienze, filosofia più, un po' defilata, l'antropologia. Tuttavia, fino all'inizio degli anni '80, si pensava che queste diverse discipline fossero tutte accomunate dall'idea che i fenomeni mentali che esse studiano, ciascuna dal proprio punto di vista, si riferissero de facto alla mente intesa come “un insieme di processi di elaborazione di informazioni” (p. 14). In questo senso si poteva parlare di scienza cognitiva al singolare. 
Uno dei due pilastri su cui si regge la scienza cognitiva classica è la formalizzazione del concetto di computazione operata da Turing negli anni '50 del secolo scorso. 
Se pensiamo la mente come un sistema che elabora informazioni, allora i processi mentali “sono algoritmi, ovvero computazioni su rappresentazioni mentali, vale a dire successioni ordinate di operazioni elementari ciascuna delle quali consiste nella manipolazione di unità fisiche vettrici di informazione dell'ambiente” (p. 14).
Il secondo pilastro va ricercato nella nozione di rappresentazione mentale inconscia di Chomsky. Un’elaborazione classica di questo approccio consiste nel considerare il pensiero come dotato di un proprio linguaggio, organizzato rigorosamente con sintassi e semantica proprie, di cui le rappresentazioni sono espressioni. Per questa teoria possiamo avere anche una data di “battesimo”: il 1975 con Il linguaggio del pensiero di Jerry Fodor.
Una delle idee più notevoli della teoria classica sta nella modularità: stando a questo principio la mente umana viene vista come un sistema di elementi tra loro relativamente indipendenti, incaricati per così dire di svolgere funzioni autonome, in una gerarchia di sempre minore complessità. Dall'alto, dai livelli dei fenomeni consci più articolati e complessi, si scende verso un livello progressivamente più semplice, elementare, fino a giungere a processi lineari, ripetitivi, se vogliamo “stupidi”. In nessun elemento del complesso mentale dobbiamo includere un processo cognitivo intelligente o consapevole. È in questo modo che viene bandita l'idea dell'homunculus, un'obiezione tradizionale al mentalismo per cui all'interno del nostro cervello da qualche parte un essere umano miniaturizzato dovrebbe presiedere ai nostri stati mentali per renderli intelligenti. Viceversa per i funzionalisti ciò che rende “intelligente” lo stato mentale è la funzione che esso svolge, l'atto a cui esso dà inizio, non una sua ipotetica e misteriosa natura intrinseca. Allo stesso tempo il funzionalismo, – questo è notoriamente evidente in Chomsky, – rifiuta l'impostazione comportamentista, la quale non prende in nessuna considerazione il mentale considerandolo come qualcosa di riducibile all'osservazione del comportamento manifesto degli individui. La mente modulare composta da processi di base semplici da cui originano gradualmente i sistemi più complessi del ragionamento e delle rappresentazioni coscienti è stato il risultato più brillante della scienza cognitiva classica.
Ma è proprio nella definizione del concetto di funzionalismo e di funzione che a parere di Marraffa e Paternoster sono state presentate alla teoria classica numerose e importanti istanze critiche.
Il problema si nasconde nel concetto stesso di funzione, che assume un duplice significato sia teleologico che meccanicistico. Un organo del corpo umano svolge una determinata funzione frutto di un processo evolutivo di adattamento dell'organismo al mondo circostante. Ma allo stesso tempo possiamo considerare la funzione dell'organo come il compito che quell'organo è chiamato a svolgere in condizioni normali. Dal punto di vista anatomico o patologico la funzione dell'organo viene considerata esclusivamente nel secondo significato, dal punto di vista del biologo evoluzionista è decisivo il primo significato.
In ogni caso e in termini più generali sembra che il funzionamento di un organo non possa mai essere letto senza porlo nel contesto di altri organi dello stesso organismo. Ogni organo è quindi chiamato in gioco in un insieme di relazioni a più strati, per cui la funzione che esso svolge a un certo livello richiama o dipende dalla funzione di un altro organo a un livello diverso (superiore o inferiore). Il concetto stesso di funzione richiama così dappresso quello di meccanismo in maniera inestricabile (p. 25).
Il funzionalismo così inteso è stato sottoposto negli ultimi anni a due critiche alla base di linee di ricerca opposte e complementari: da una parte ci si è spinti sempre più verso il cervello, in direzione per così dire verticale, recuperando la dimensione biologica e fisiologica che era stata in gran parte sacrificata all'impostazione cognitiva dominata dal computer e dalla intelligenza artificiale degli anni '60 e '70. L'altra direzione è stata quella orizzontale, dettata dall'esigenza di “reincorporare” e “situare” la cognizione all'interno di una comprensione ampia del corpo, in particolare nella sua dimensione sensomotoria (pp. 28-29).
La spinta verticale vede nel connessionismo il punto d'arrivo più interessante. Secondo i rappresentanti di questa prima espansione del modello cognitivo standard (Paul e Patricia Churchland tra i più noti) il funzionalismo computazionale connessionista è completamente diverso dal funzionalismo classico, visto che a differenza del secondo il primo può evitare ogni riferimento a rappresentazioni mentali, atteggiamenti proposizionali e linguaggio del pensiero. La proposta connessionista nei confronti dell'armamentario della psicologia computazionale fodoriana è semplicemente eliminativista. Se l'attacco dei Churchland al cognitivismo  di Fodor propone di fatto un meccanismo computazionale su vettori che indicano valori di attività sinaptica cerebrale, la seconda spinta, quella dinamicista, orizzontale, indaga l'ambito dell'immersione del mentale in un ambiente (l'embeddedness) in cui il cervello è solo una componente. Il radicalismo di questa posizione è se vogliamo definitivo: infatti in questo secondo non ci si limita a eliminare le rappresentazioni mentali, si elimina la scienza cognitiva in quanto tale.
Se, infatti, “sul piano ontologico, la filosofia esternistica soggiacente all'espansione orizzontale nega che la mente dipenda dal solo sistema nervoso centrale corrispettivamente, sul piano epistemologico, si nega che le spiegazioni dei fenomeni mentali possano essere trovate nelle (sole) basi cerebrali” (p. 49).
Sull'analisi, composizione e possibili soluzioni di questo conflitto tra meccanismo e dinamismo, tra internalismo e esternalismo si gioca il destino delle scienze cognitive nel dibattito contemporaneo. Così come sul rapporto tra psicologia del senso comune e scienza cognitiva, posto al centro delle analisi di Bermúdez (p. 53). 
Sul tema dell'embeddness e in particolare sul rapporto tra mentale (internalismo) e corporeo/ambientale (esternalismo) si ritorna in più parti del volume: nel caso dell'emozione, della coscienza, dell'introspezione, ma anche nei rapporti tra scienze cognitive e etica. In questi ambiti di ricerca se da una parte si osserva la necessità di superare ogni forma di dualismo tra attività mentali interne e mondo esterno, d'altra parte si rivela la difficoltà a definire in termini puramente descrittivi e oggettivi le attività di natura critico-riflessiva, le scelte pratiche e le valutazioni morali (capitolo 13). Mentre il dualismo mente/corpo viene ulteriormente superato dall'avvenuto riconoscimento del ruolo svolto dalle emozioni nei processi razionali più alti e complessi (capitolo 8), nel caso del linguaggio (capitolo 6) e del rapporto tra cultura, cognizione e evoluzione (capitolo 11) entrano in conflitto gli elementi del funzionalismo legati ai processi rappresentazionali inconsci e innati di Chomsky con i processi evolutivi. Particolarmente interessante risulta essere il rapporto tra psicologia evoluzionistica e cultura nell'analisi del pensiero religioso. Per alcuni la religione sarebbe un processo adattativo; Johnson e Kruger, riportati da Ferretti e Adornetti sostengono difatti “che le norme religiose di fatto hanno migliorato la cooperazione, esse indirettamente hanno conferito vantaggi agli individui in quanto unità di selezione naturale, aumentandone la sopravvivenza e il successo riproduttivo. Di conseguenza le norme religiose, promuovendo la cooperazione, sarebbero state favorite dalla selezione naturale” (p. 229). Altri autori ritengono viceversa che la religione sia più specificamente un fatto culturale e non un risultato dell'evoluzione biologica della specie umana. Anche in questo caso occorre prendere visione di un superamento della divisione netta tra evoluzione attraverso adattamento e  evoluzione attraverso exattamento, cioè “per cooptazione funzionale di strutture selezionate per altre finalità” (ibid.). In questo rapporto non esclusivo di adattamento e exattamento trova posto una trattazione meno estrinseca del mondo religioso e in definitiva di quello culturale, più adeguata all'enorme rilevanza che questi ambiti hanno avuto e hanno ancora nella vita della specie umana. Non quindi episodi accidentali ottenuti per intervento di funzionalità sviluppatesi per altro scopo, la religione e la cultura sarebbero nicchie evolutive che dal momento della loro formazione hanno a loro volta contribuito al processo evolutivo. Questo fenomeno detto di adattamento secondario rafforza l'ipotesi di un rapporto di coevoluzione tra biologia e cultura al posto dell'originario dualismo spirito/materia e dei vari riduzionismi ad esso contrapposti (p. 234).
Torniamo così alle conclusioni di Marraffa e Paternoster contenute nell'intervento introduttivo: il destino delle scienze cognitive nel dibattito contemporaneo si gioca sull'analisi, composizione e possibili soluzioni dei conflitti tra meccanismo e dinamicismo, internalismo e esternalismo, funzionalismo e biologismo. 
Se da una parte l'approccio odierno delle scienze cognitive deve accettare una prospettiva pluralista, in cui i meccanicisti da una parte (rappresentazionali e connessionisti) e gli esternalisti e dinamicisti dall'altra devono rinunciare alle loro posizioni estreme, occorre anche definire la relazione tra livello psicologico alto, quello in cui vivono, pensano e agiscono gli esseri umani e il livello basso, subsimbolico e subpersonale indagato scientificamente. Se in nessun caso va considerata necessaria una metafisica della psicologia del senso comune, livello che anzi resta tutt'ora troppo sopravvalutato dalla filosofia, un certo impegno metafisico è viceversa un prezzo che gli scienziati devono consapevolmente accettare per poter svolgere un'analisi dei livelli di realizzazione del mentale (sia nell'incarnazione cerebrale che nell'immersione nell'ambiente circostante) che possa fornire una spiegazione del mentale al nostro livello. Probabilmente è questo il legame e allo stesso tempo il contributo che la filosofia ha da offrire alle scienze cognitive oggi. 
Il volume si segnala per l'ampiezza delle tematiche affrontate e nonostante il carattere dichiaratamente introduttivo vale come buon punto di partenza per ulteriori studi di approfondimento. Il lavoro si rivolge sia ad un pubblico di studiosi che vogliano tenere sottomano l'intero panorama attraverso uno sguardo d'insieme con interessanti elementi analitici di approfondimento, sia ad un pubblico di  non specialisti che vogliono avvicinarsi alla materia, con la possibilità di riprendere i singoli temi seguendo le ricche e aggiornate indicazioni bibliografiche.


Indice

Premessa
1. Funzioni, livelli e meccanismi: la spiegazione in scienza cognitiva e i suoi problemi, di Massimo Marraffa e Alfredo Paternoster
2. La percezione, di Alfredo Paternoster
3. La memoria, di John Sutton e Carl Windhorst
4. Categorizzazione/Concetti di Marcello Frixione
5. Il ragionamento, di Marcello Frixione e Paolo Labinaz
6. Il linguaggio, di Erica Cosentino e Francesco Ferretti
7. Psicologia ingenua e intelligenza sociale, di Cristina Meini
8. Le emozioni, di Mog Stapleton
9. La coscienza, di Simone Gozzano
10. L'introspezione, di Massimo Marraffa
11. Cultura, cognizione ed evoluzione, di Ines Adornetti e Francesco Ferretti
12. La mente estesa, di Michele Di Francesco e Giulia Piredda
13 La scienza cognitiva dell'etica, di Mario De Caro e Massimo Marraffa

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