giovedì 27 dicembre 2012

Pulli, Gabriele, Sull’Edipo Re

Firenze, Clinamen, 2012, pp. 44, euro 13,80, ISBN 978-88-8410-186-0.

Recensione di  Rolando Ruggeri - 19/07/2012

Gabriele Pulli, in questo breve ma denso libro, si propone di interpretare psicologicamente la tragedia “Edipo Re” di Sofocle. La vicenda di Edipo è nota. Laio, sovrano di Tebe è sposato con Giocasta e, come in ogni narrazione mitologica che si rispetti, riceve un oracolo: sarà ucciso da suo figlio. Nonostante i tentativi per evitarne la nascita, Edipo viene al mondo ed è subito abbandonato sul monte Citerone (anticamera di una morte certa). Il pastore a cui il piccolo era stato affidato non ha il coraggio di eseguire la sentenza e lo salva, 

il bimbo arriva nelle mani del re di Corinto, Polibo, sposato con Merope. Edipo cresce alla corte di Corinto ignorando le proprie origini e, ricevuto un oracolo che lo voleva parricida e incestuoso, scappa da Corinto credendo in questo modo di proteggere i genitori presunti da se stesso e se stesso dalla colpa. Ad un crocicchio incontra però Laio e, per una questione di passaggio, lo uccide. Si è avverata in un lampo la prima parte della profezia. Edipo si incammina verso Tebe, minacciata dalla Sfinge che proponeva un enigma ai viandanti e uccideva loro in caso di errore. Edipo risolve l’enigma e viene acclamato dai tebani quale salvatore della città, può salire sul trono e sposare la vedova di Laio, Giocasta. Anche la seconda profezia si è avverata: Edipo, pur all’oscuro di ogni cosa, ha ucciso il padre ed è divenuto il marito della propria madre. La tragedia sofoclea prende le mosse da qui ed Edipo, il solutore di enigmi, si trova ad indagare per scoprire chi è l’assassino di Laio, si trova quindi ad essere indagatore ed indagato, in una apparente opposizione fusa perfettamente nel testo. Anche Pulli si muove tra apparenti opposizioni. Nel libro appaiono tre coppie di “condizioni” che sembrano, a tutta prima, antitetiche ma che si mescolano ed arrivano, più o meno pacificamente, a convivere.
Pulli parte da questo assunto: se Laio non avesse cacciato Edipo da Tebe (e anche se Edipo se ne fosse rimasto a Corinto), nulla sarebbe successo. Edipo non avrebbe ucciso Laio (visto che scappa da Corinto proprio per proteggere i suoi genitori presunti dalla profezia) e neppure si sarebbe unito con Giocasta, sua madre. Come mai si verifica questo ribaltamento di causa ed effetto? Che cosa porta la profezia ad avverarsi?
Il libro è diviso in tre capitoli, ognuno esamina una diade apparentemente contraddittoria di condizioni. Vediamole con ordine.
Laio e Giocasta credono o non credono al vaticinio dell’oracolo? “Se credessero nella profezia riterrebbero che non si può fare nulla, se non vi credessero riterrebbero che non c’è bisogno di fare nulla per impedirne l’avverarsi” (p. 8). Il fatto che Laio e Giocasta agiscono però, porta a concludere che essi credono e insieme non credono nella profezia; le due condizioni, pur sembrando opposte e autoescludenti, si combinano tra loro. In particolare, Laio, Giocasta ed Edipo credono nella profezia in un modo che racchiude il non credervi, e non vi credono in un modo che racchiude il credervi. Per riconoscere quale sia il modo in cui queste tendenze apparentemente polari vengono a sovrapporsi l’autore individua in uno scritto di Freud del 1915, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, la concezione per la quale l’inconscio non conosce nulla di negativo, non conosce quindi neppure la contraddizione. Sempre nel 1915, nel saggio L’inconscio, Freud afferma che i moti pulsionali “esistono gli uni accanto agli altri senza influenzarsi, e non si pongono in contraddizione reciproca” (p. 13). L’autore cerca di raccordare questa istanza dell’inconscio con il modo che ha la coscienza di credere o non credere a una cosa, con l’assolutezza (propria dell’inconscio) o la relatività (propria del pensiero cosciente) della negazione e dell’affermazione, per riconoscere nei personaggi sofoclei il medesimo registro con cui l’inconscio si rapporta al credere.
La seconda diade apparentemente polare è quella del subire e dell’agire. È chiaro il fatto che Laio e Giocasta agiscano; non si comprende per quale motivo però l’azione porti esattamente alla cosa che si voleva scongiurare. “Freud ha riconosciuto nel contenuto della tragedia il celarsi di un desiderio inconscio. Sicché la differenza fra le intenzioni che ispirano le azioni di Edipo e l’effetto di tali azioni può essere ricondotta alla differenza fra la sua volontà consapevole e il suo desiderio inconscio, quello appunto di unirsi alla madre e liberarsi del padre, come profetizzato” (p. 19). Questa interpretazione pare scontrarsi con l’assoluta inconsapevolezza di Edipo riguardo ai suoi reali natali e la totale distanza tra ciò che è stabilito dall’oracolo e la posizione del protagonista; ma l’ambiguità della sua azione (non è possibile sapere se Edipo creda o meno alla profezia in quanto, come si è detto per Giocasta e Laio, se vi credesse non farebbe nulla perché sarebbe inutile, se non vi credesse invece non avrebbe bisogno di agire in alcun modo) lascia nella tragedia quella “opacizzazione del linguaggio” che ne giustifica una interpretazione in tal senso. Se possiamo tuttavia riconoscere la spinta dell’inconscio in Edipo, come potremmo credere che Laio agisca sotto la spinta inconscia che punta alla sua stessa morte? Viene a sostegno della tesi di Pulli la tendenza che Freud chiama – nel saggio del 1920, Al di là del principio del piacere – coazione a ripetere, una tendenza a ripetere e rivivere esperienze spiacevoli per emendarle, per trasformare il trauma subito in azioni che permettano di prendere in mano la situazione oppure nel ripetere situazioni pericolose che sono andate bene per riconfermare il loro esito. Assistiamo sempre ad un conflitto tra credere e non credere,  “il soggetto, dunque, ripete un’esperienza dolorosa per indurre il se stesso che vi crede a non credervi e il se stesso che non vi crede a credervi” (p. 27). Proprio quindi l’interno conflitto tra il credere e non credere, che in realtà si implicano reciprocamente, porta i protagonisti ad ottenere l’effetto opposto di quello che razionalmente perseguono.
L’ultima diade esaminata è quella di colpa ed innocenza, ma prima occorre porsi una domanda: la profezia è veritiera o no? Il fatto che si avveri fa propendere per la prima ipotesi ma considerando che si avvera proprio in ragione delle azioni che i protagonisti fanno per scongiurarla, la questione si complica. Il destino quindi viene ad essere in dubbio, esisterebbe se la profezia si fosse avverata senza nessuna azione da parte dei protagonisti, non esisterebbe (o meglio non sarebbe predeterminato) se, come viene assunto da Pulli, le azioni di Laio, Giocasta ed Edipo determinano l’avverarsi della profezia. Se si considera “che gli eventi profetizzati erano già scritti, dunque, sia il comportamento di Edipo, sia quello di Laio e Giocasta acquisiscono una valenza positiva” (p. 31) in quanto l’essere Edipo fuoriuscito dalla reggia comporta che egli uccida il padre in modo inconsapevole, quindi in modo meno empio che se l’avesse fatto con volontà. Per converso, se non si ammette la predestinazione allora le azioni dei protagonisti della tragedia assumono una valenza negativa, in quanto esse stesse portano al compimento della profezia che altrimenti non si sarebbe avverata per nulla. Di nuovo, siccome nella tragedia non è specificata l’esistenza o meno della predestinazione, abbiamo il convivere di entrambe le valenze, positiva e negativa, nei comportamenti dei personaggi sofoclei. Edipo è insieme colpevole e innocente, da una parte infatti rivendica la propria innocenza (questo è il tema centrale dell’Edipo a Colono), dall’altra si autopunisce accecandosi. La colpa di Edipo racchiude l’innocenza e l’innocenza racchiude la colpa (uccide il padre Laio per non uccidere il padre presunto Polibo), l’ambivalenza affettiva che sta alla base di questa apparente contraddizione porta anche alla soluzione del problema. La terapia psicanalitica “si basa sul disvelamento della verità, dunque sull’idea che sia possibile curare con il conoscere” (p. 34); dal conflitto emotivo prende vita la ricerca psicologica. L’istanza dell’inconscio che abbiamo visto poco sopra, per la quale non si può credere alla propria morte, si estende anche agli oggetti amati, in questo modo l’amore dovrebbe escludere qualsiasi azione mossa dall’odio verso ciò che si ama. La compresenza però di credere e non credere porta ad un conflitto che è motore e soluzione dell’ambivalenza affettiva, propria della cura psicanalitica. 
Ora però occorre fare i conti con il mondo cosciente, che non concepisce una convivenza tra opposti, l’uomo razionalizza, in realtà però il modo in cui le persone credono, cioè il modo in cui la credenza diventa qualcosa di plausibile o meno per loro, obbedisce a meccanismi di nuovo inconsci, quelli che abbiamo visto poco sopra. Il credere razionalmente quindi non elimina il lavorio dell’inconscio ma vi si sovrappone. In sostanza, “quello inconscio è l’unico modo di credere che sia un credere in senso stretto […]. Per essere propriamente tale, infatti, il credere deve distinguersi compiutamente dal pensare. L’autentico credere è un credere in qualcosa che non si riesce a determinare con il pensiero” (p. 38). Solo l’inconscio quindi, con il suo modo di credere, può dar conto a quella duplicità di credere e non credere che innerva tutta l’opera. Solo il credere dell’inconscio quindi riesce a convivere con il non credere; riesce quindi a non essere esclusivo, escludente. “Solo il puro credere, dunque, rende una determinata fede compatibile con le altre fedi e, a maggior ragione con l’assenza di fede” (p. 40). 


Indice

1. Credere e non credere
2. Subire e agire
3. Colpa e innocenza
Conclusione
Bibliografia

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