Leggendo il sottotitolo del volume in oggetto, ci si rende subito conto del tipo di scetticismo con cui l’autrice vuole avere a che fare. Coliva affronta i problemi posti dallo scetticismo epistemico. Con questa dicitura ci si riferisce a quel tipo di scetticismo di cui conosciamo, con buona approssimazione, la data di nascita: si tratta del 1641, anno in cui Descartes pubblica le sue Meditationes de Prima Philosophia. Attraverso le riflessioni e i problemi posti dal filosofo francese si fa strada un problema nuovo per il pensiero filosofico,
quello appunto dello scetticismo epistemico. Con ciò ci si riferisce, usando le parole dell’autrice, a quell’atteggiamento filosofico che consiste nel “dubitare che si possano conoscere certi fatti o stati di cose” (p. 4). Va dunque evidenziato lo scarto presente rispetto allo scetticismo antico: nell’antichità – soprattutto in epoca ellenistica – si era affermata una filosofia scettica che aveva innanzitutto una finalità pratica. Attraverso la sospensione del giudizio si sarebbe raggiunto uno stato di atarassia o assenza di turbamento dell’anima che avrebbe poi portato al raggiungimento di uno stato di felicità. Insomma lo scetticismo greco rappresentava una forma di vita, o quantomeno una serie di contenuti filosofici con una diretta portata esistenziale. Tralasciando le molte varianti – notevolmente problematiche – che questa tendenza filosofica ebbe nell’antichità (Pirrone, accademia platonica, Sesto Empirico), possiamo comunque affermare che con la modernità avvenne un cambio di prospettiva. Con Descartes e con i filosofi interessati al tema della conoscenza e delle sue basi razionali si è cominciato a dialogare con un nuovo tipo di scetticismo. Lo scettico, più che il portavoce di una scuola filosofica, ha cominciato a essere una figura filosofica – come l’ha chiamata Nicla Vassallo – con cui i grandi protagonisti della modernità hanno dialogato. Se dovessimo fare dei nomi non potremmo fare a meno di nominare, insieme a Descartes, Hume, per arrivare poi nel novecento a Moore e Wittgenstein. Questi filosofi sono accumunati dall’aver dato voce nei loro scritti a ipotesi scettiche, ovverosia scenari epistemici largamente indesiderabili, che negano la nostra possibilità di avere conoscenza garantita, e tuttavia difficili da mettere alla porta. Per questo quando si parla di scetticismo nella filosofia contemporanea – principalmente di tendenza analitica – non si pensa ai titolari delle ipotesi scettiche, bensì a quei pensatori che vi hanno più strenuamente reagito. Perciò lo scetticismo moderno non può essere considerato più una forma di vita, bensì una mera pratica intellettuale, che permette di analizzare le (presunte) fondamenta della nostra conoscenza.
L’autrice restringe ulteriormente il focus del suo volume. Viene esaminato, infatti, unicamente lo scetticismo riguardo all’esistenza del mondo esterno. Questa scelta è dovuta non soltanto alla sua diffusione in letteratura, quanto al fatto che questo scetticismo presenta analogie strutturali con altre forme di scetticismo: per questa ragione è ragionevole supporre che se fossimo in grado di replicare ad esso avremmo ottenuto una risposta contro tutte le forme di scetticismo.
È bene puntualizzare un altro problema. Lo scetticismo in questione è come detto di natura epistemica. Questo vuol dire che non si tratta di mettere in dubbio l’esistenza del mondo tout court: non si tratta di una problematica ontologica, riguardante l’essere delle cose. Si tratta di porre in dubbio la disponibilità di giustificazioni per la credenza nell’esistenza del mondo esterno. Attenendoci all’analisi tripartita della conoscenza come credenza vera giustificata, non si tratta di chiederci se sia vero che vi sia un mondo esterno, come non si tratta di vedere se davvero crediamo nell’esistenza del mondo esterno – quest’ultima evenienza, peraltro, difficilmente discutibile –: si tratta piuttosto di vedere se davvero siamo in possesso di una giustificazione per la proposizione [Esiste il mondo esterno] e che natura avrebbe.
Cerchiamo di precisare alcune caratteristiche del testo. Innanzitutto, come spiega l’autrice nell’avvertenza, il testo presuppone una certa familiarità con la logica modale (epistemica in particolare). E inoltre – mi sentirei di aggiungere – con l’analisi della conoscenza nella filosofia analitica. Anche una certa dimestichezza con la nozione di “mondo possibile” è raccomandata. Il testo potrebbe essere affrontato dopo il volume di Nicla Vassallo Teoria della conoscenza, edito nella stessa collana.
Un’altra precisazione che va fatta riguarda il taglio dato all’esame delle proposte contro lo scetticismo che vengono considerate dall’autrice. Il volume non si propone di fornire un’illustrazione neutra del dibattito: piuttosto si configura come un opinionated introduction al tema. Coliva ha pubblicato su importanti riviste specialistiche critiche e discussioni sul tema. Inoltre le ultime pagine sono dedicate alla presentazione di una proposta e di un punto di vista personali. Si tratta, insomma, di una pensatrice militante sui temi in questione.
Abbiamo già fatto presente come il focus sia sullo scetticismo moderno e contemporaneo e, in particolare, lo scetticismo sul mondo esterno. Nella fattispecie, sono presentati e discussi i due paradossi classici, cartesiano e humeano, contro l’esistenza del mondo esterno. Nel prosieguo della recensione mi propongo di presentare i due argomenti – in modo da dare al lettore un’idea del contenuto del volume – e infine di presentare brevemente la proposta personale dell’autrice, così da mettere in grado il lettore più esperto di farsi un’idea non solo delle idee di Coliva, ma anche del tipo di critiche che vengono di volta in volta mosse alle altre proposte contro lo scetticismo, stante il punto di vista dell’autrice.
L’argomento scettico cartesiano ha pervaso il nostro immaginario, anche grazie a opere letterarie e cinematografiche che lo hanno divulgato. Descartes aveva ipotizzato che vi fosse un genio maligno che ci ingannasse continuamente, suscitando in modo “artificiale” le nostre esperienze sensoriali, oppure che stessimo sognando. Il filosofo francese sosteneva che se una di queste ipotesi fosse vera allora non potremmo dire di conoscere alcunché. La conoscenza di qualunque proposizione – ma nel nostro caso possiamo concentrarci su proposizione empiriche, visto che ci interessa lo scetticismo sull’esistenza del mondo esterno – implicherebbe che fossero false queste ipotesi scettiche. Nel Novecento altri scenari di questo tipo hanno rappresentato formulazioni perlopiù equivalenti. Un’immagine molto celebre è stata proposta da Hilary Putnam: sarebbe possibile che noi fossimo soltanto cervelli in una vasca e che uno scienziato avesse progettato nei minimi dettagli un programma per inviare al nostro cervello impulsi in grado di suscitare in noi rappresentazioni del mondo esterno, indistinguibili da quelle reali. Il celebre film The Matrix ha proposto in forma cinematografica quest’immagine, come molti dei lettori sapranno. Il paradosso può essere facilmente compreso: non saremmo disposti ad attribuire o attribuirci conoscenza, nemmeno della proposizione [Ecco una mano] proferita da qualcuno che si riferisse alla sua stessa mano, se non avessimo alcun modo di negare la realtà di queste possibilità scettiche. Se le nostre rappresentazioni fossero il prodotto di un ingannatore, di uno stato onirico o di un perfido scienziato aiutato da un software, non potremmo dire di conoscere alcunché del mondo esterno, né tantomeno la realtà della sua esistenza. A partire dal principio cartesiano implicito in quanto abbiamo detto – secondo cui se sappiamo che una qualunque proposizione è vera allora non stiamo sognando –possiamo derivare, tramite regole d’inferenza logicamente valide e tramite alcuni principi, la conclusione che non conosciamo la verità di alcuna proposizione empirica, e quindi dell’esistenza del mondo esterno. Coliva mostra come questa derivazione utilizzi principi discutibili, che se negati, possono impedire la derivazione del paradosso. Ma non è questa la strada che l’autrice propone contro lo scetticismo, come avremo modo di vedere.
Prima di passare alla presentazione della proposta dell’autrice enunciamo brevemente anche il secondo paradosso su cui si basa il volume, il paradosso humeano, che il filosofo scozzese presentò nel suo Treatise e nella sua prima Enquiry. Nella sua formulazione originale, Hume presentava il suo paradosso contro l’induzione ma un argomento strutturalmente analogo può essere riformulato anche contro la giustificazione per la credenza nell’esistenza del mondo esterno. L’argomento parte anche in questo caso dalla conoscenza presuntiva di una qualunque proposizione empirica [Ecco una mano]. Si può ragionevolmente pensare che quest’enunciato implichi la proposizione [Esiste il mondo esterno], perché altrimenti non diremmo di sapere che qui c’è una mano. Perciò possiamo considerare vero il condizionale [Se questa è una mano, allora esiste il mondo esterno]. Per modus ponens, grazie alla prima premessa, possiamo derivare logicamente la conclusione [Esiste il mondo esterno]. La caratteristica di quest’argomento è di essere logicamente valido: rappresenta un esempio di modus ponens, un’inferenza deduttivamente valida, che da premesse vere conduce esclusivamente a conclusioni vere. Abbiamo già visto che le premesse di quest’argomento possono essere ritenute vere. Senza prendere in considerazione lo statuto delle giustificazioni di cui disponiamo per queste credenze, il problema dell’argomento è il suo essere circolare: la premessa [Ecco una mano] richiede che sia vera la conclusione [Esiste il mondo esterno]. Il problema perciò non consiste in come si deriva il paradosso ma nella sua struttura e di come qualsiasi esperienza particolare richieda sempre, per essere accettabile, la previa giustificazione della credenza nell’esistenza del mondo esterno. L’esperienza non potrà mai giustificare il suo fondamento.
Nel volume di Coliva sono presenti molte osservazioni puntuali sui due argomenti, sui loro legami reciproci e sulle possibili strategie di risposta.
Intendo ora però piuttosto presentare la sua proposta.
La risposta di Coliva nei confronti del paradosso è di tipo indiretto. L’autrice dichiara esplicitamente: “Non fornirò ragioni epistemiche – in grado cioè di corroborare la verità della proposizione [Esiste il mondo esterno] – ma offrirò invece una diagnosi di quello che può essere considerato l’errore su cui poggia il paradosso scettico” (p. 120). Secondo l’autrice, una volta riconosciute quella che McDowell ha chiamato robustezza delle ipotesi scettiche, non si può far altro che cercare di scovare assunzioni indebite nello scettico stesso, dopodiché “si sarà fatto anche tutto quello che è possibile fare per risolverlo” (ivi). Si può rivendicare la razionalità epistemica intrinseca del dare per scontato la credenza nell’esistenza del mondo esterno. “[Esiste il mondo esterno] è una proposizione cardine o costitutiva della nostra prassi di produrre e vagliare ragioni epistemiche a favore o contro una qualsiasi proposizione empirica” (p. 121). Chi conosce gli ultimi appunti di Wittgenstein, pubblicati col titolo Della Certezza, riconoscerà echi della posizione fatta valere contro lo scetticismo dal filosofo viennese. Ma a differenza di quest’ultimo, Coliva parla di razionalità epistemica intrinseca poiché vuole evitare qualunque strategia pragmatista, o naturalista: allo scettico si risponde con le sue stesse armi, mostrando come il nostro gioco di dare e chiedere ragioni – che anche lo scettico deve sfruttare – preveda la credenza nell’esistenza del mondo esterno. Dare per scontata questa credenza è “costitutivo della prassi epistemica di produrre e vagliare ragioni epistemiche (basate sull’esperienza possibile) a favore o contro una qualsiasi proposizione empirica. A sua volta, però, tale prassi è ciò che determina la nostra nozione di razionalità epistemica stessa. Questa nozione, infatti, non ci viene dal nulla o da una riflessione a tavolino (o in poltrona, come si usa dire oggi), ma appunto dal nostro modo di operare” (ivi). Non è la nostra prassi che è intrinsecamente razionale, perché sarebbe potuta essere diversa: è intrinsecamente razionale accettarne le presupposizioni, perché solo grazie a queste possiamo essere epistemicamente razionali. L’autrice considera anche un’obiezione possibile a questa sua mossa: tale strategia non potrebbe valere per ogni prassi e finire per dimostrare epistemicamente razionale accettarne le proposizioni cardine? Usando un esempio di chi scrive: accettando quest’impostazione, non rischieremmo davanti a una prassi come l’astrologia di doverne accettare le presupposizioni?
La risposta di Coliva è, ovviamente, negativa. Occorre distinguere tra “prassi epistemiche basilari e non basilari” (p. 124). La prime non ne presuppongono altre e non hanno teorie alla loro base. “Solo le prassi epistemiche basilari sono costitutive dei rispettivi tipi di razionalità” (p. 125). Non rischiamo perciò di dover accettare le presupposizioni di tutte le prassi epistemiche. Altri esempi di prassi epistemicamente basilari, per Coliva, possono essere la prassi di razionalità deduttiva, che implica di accettare alcuni principi logici basilari, oppure la razionalità pratica, che ci obbliga ad agire sulla scorta di ragionamenti mezzi-fini.
In conclusione, possiamo affermare che il testo si dimostra estremamente valido per i lettori interessati alla riflessione analitica sullo scetticismo filosofico, soprattutto per chi non propende per soluzioni di carattere naturalistico, pragmatico o dogmatico. Contro queste strategie Coliva argomenta in maniera puntuale e condivisibile. Il volume può inoltre fornire una valida presentazione del punto di vista dell’autrice, esposto più dettagliatamente in articoli specialistici su varie autorevoli riviste. Come spesso accade per i volumi di questa collana, non si può apprezzarne a pieno il contenuto se siamo al primo incontro con i temi trattati. Certo è che quest’opera non può mancare negli scaffali di chi, avendo preso sul serio i problemi posti dallo scetticismo, vorrebbe “liquidarlo una volta per tutte” (ivi).
Indice
1. Il paradosso scettico
1. Il paradosso scettico
2. Il paradosso scettico cartesiano
3. Il paradosso scettico humeano
4. Le due forme del paradosso scettico a confronto
5. La riformulazione del paradosso nei termini di giustificazione della credenza
6. Il trilemma di Agrippa: regresso, mere assunzioni, circolarità.
2. Le risposte al paradosso scettico cartesiano
1. La negazione del principio di iteratività: l’esternismo e l’epistemologia delle virtù di Sosa.
2. La negazione del principio di chiusura epistemica: Dretske e Nozick
3. La risposta contestualista: Cohen e DeRose
4. L’implosione del demone: Wright
3. Le risposte al paradosso scettico humeano
1. La risposta naturalista: Strawson
2. La risposta disgiuntivista: McDowell
3. La risposta liberale: Moore e Pryor
4. La risposta conservatrice: Wright
5. Tra liberali e conservatori I: le strategie a priori di Wegwood e Sosa
6. Tra liberali e conservatori II: la risposta moderata
Conclusioni
Appendice
Cos’altro leggere
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice degli argomenti
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