Il tema dell’eguaglianza delle opportunità per tutti i cittadini e le cittadine di uno Stato riscuote ampio consenso nei paesi occidentali. All’apparenza si tratta di un insieme di politiche piuttosto semplice: si tratta di garantire a tutti, maschi e femmine, eguaglianza di accesso a servizi, carriere e cariche, prescindendo da tutti gli elementi che contribuiscono a diversificarli, sia in ambito biologico, sia in ambito sociale e psicologico. In realtà, questa concezione è piuttosto generica
e superficiale, tanto dal punto di vista della definizione, quanto da quello delle pratiche politiche, tanto da essere condivisa da persone e gruppi politici che professano opinioni affatto diverse.
e superficiale, tanto dal punto di vista della definizione, quanto da quello delle pratiche politiche, tanto da essere condivisa da persone e gruppi politici che professano opinioni affatto diverse.
Il libro di Nicola Riva si propone di fare chiarezza in entrambi gli ambiti, e, nella terza ed ultima parte del saggio, propone, come sua propria pars construens, una concezione della eguaglianza delle opportunità praticabile dallo Stato. Ammetto qui che l’unica mia riserva in tal senso è la convinzione dell’autore, enunciata nell’Introduzione, che la politica sia una parte della morale.
Seguendo lo sviluppo della sua argomentazione, nel primo capitolo l’autore affronta il tema della giustizia e della sua definizione, come elemento non separabile da un’idea di eguaglianza delle opportunità. La sua teoria, legata nei suoi fondamenti al pensiero di John Rawls, vuole essere una filosofia della giustizia con una specifica praticabilità politica. La justice as fairness di Rawls si basa su due principi: nel primo si rende esplicito un elenco di eguali libertà, che hanno la priorità su ogni altra considerazione di giustizia; il secondo è un principio di differenza in cui le diseguaglianze sono accettabili solo in presenza di cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza delle opportunità, e solo nel caso in cui apportino benefici ai più svantaggiati. Le parti esprimono una preferenza per questi principi sulla base del criterio del maximin, il massimo del minimo. Sulla base di questo criterio la scelta dei principi, infatti, è condizionata dalla loro capacità di supportare, per dir così, “l’esito migliore tra gli esiti peggiori” ovvero l’adozione di un assetto distributivo in grado di garantire le condizioni migliori ai più svantaggiati. I due principi di giustizia sono prodotti sotto un "velo di ignoranza" che, ipoteticamente, azzera le differenze naturali e culturali degli uomini evidenziando soltanto le loro capacità razionali. Secondo Rawls, la società non ha il dovere di risarcire le diseguaglianze risultanti da fattori non sociali; più genericamente, parlando di beni primari, sostiene che i piani di vita (life plans) elaborati dagli individui tengono conto delle caratteristiche di partenza, le abilità assegnate dalla lotteria naturale, le posizioni e gli status sociali, che sono elementi “dati”.
Tenendo conto di questi fattori si può scegliere un sistema sociale adeguato, dove, ad esempio, possano essere adottati degli incentivi affinché le persone scelgano di svolgere anche professioni pericolose o faticose. Alla concezione della giustizia di Rawls, Riva affianca le correzioni apportate da Amartya Sen e da Martha Nussbaum con il concetto di capability (capacitazione), pensato per introdurre l'elemento fondamentale del soddisfacimento dei bisogni dei cittadini. In Nussbaum, in particolare il concetto di capability si coagula intorno alla nozione di vita degna, che incorpora diritti fondamentali come la capacità di vivere una vita intera, la salute e l'integrità fisica, la capacità di provare sentimenti ed esercitare le proprie capacità razionali, emozionali, intuitive. Come Sen, anche Nussbaum ritiene che la giustizia non si possa esercitare unicamente in relazione alle risorse e che Rawls consideri insufficientemente i bisogni delle donne e i bisogni di cura delle persone che soffrono di gravi disabilità, dato che si basa sulla condizione della reciprocità. Nussbaum ritiene che una parte del prodotto del lavoro sociale vada ripartito tenendo conto delle diverse abilità di ciascuno in modo tale che possa sviluppare le sue capacità centrali in un modo per lui dotato di senso e di valore; ottenuto questo obiettivo si possono anche utilizzare altri criteri di giustizia per ripartire la parte rimanente del prodotto sociale.
Concezioni sull’eguaglianza delle opportunità come quelle di Rawls e Nussbaum, che sono entrambe normative, e ogni altro tipo di concezione dell’eguaglianza delle opportunità, presuppone il riferimento alle condizioni reali, che anche nei paesi democratici non sono mai quelle ideali: per una adeguata applicazione dei principi di giustizia andrebbero posti in essere notevoli mutamenti sociali ed istituzionali. Le prescrizioni di una concezione normativa della giustizia possono in questo modo risultare inattuabili se sussistono ostacoli ambientali di tipo socioculturale, o impraticabili (come ad esempio l’utilitarismo) se sussistono invece motivazioni di ordine tecnico.
Nel secondo capitolo Riva analizza le concezioni possibili dell’eguaglianza di opportunità: opportunità come opzione e opportunità come chance. Prima di addentrarsi nell’analisi elenca le condizioni soggettive ed oggettive alla base dell’idea di opportunità. Le caratteristiche soggettive sono le capacità e il sapere delle persone, le risorse, la libertà individuale e sociale,ossia l'assenza di restrizioni, l’aiuto, l’influenza reciproca ed il riconoscimento; le condizioni oggettive sono quelle ambientali e culturali, l’assetto e le norme sociali, le relazioni personali e l’interazione con gli altri.
Considerando le opportunità, Riva distingue tra eguali chance di poter fare o ottenere qualcosa e eguaglianza nel controllo delle circostanze e dei mezzi che permettono di ottenere servizi e beni, o alla libertà di azione. Il primo caso è compatibile con meccanismi di tipo competitivo, se tutti i candidati possono partecipare alla competizione e hanno eguali chance di vincere (il che non tiene conto delle diverse abilità di ciascuno). Nel secondo caso, non si parla di competizione, ma si esprimono i requisiti e le capacità necessarie per fare od ottenere certe cose. Anche in questo caso l'approccio complessivo è di tipo normativo: con eguaglianza si deve intendere la parità di trattamento, l'eguaglianza giuridica (negli status e nei diritti, per esempio) e l'eguaglianza sostanziale, all'interno della quale viene esaminata la questione dell'eguaglianza delle opportunità.
Nel terzo capitolo Riva propone una sua versione dell'eguaglianza delle opportunità, che si esprime nell'ambito di una concezione generale dello Stato (una concezione standard dello Stato democratico, potrei dire). Poiché inevitabilmente gli individui sono diversi tra loro, è impensabile che tutte le persone in uno Stato abbiano le stesse identiche opportunità (intese qui come opzioni, non come chance). È necessario specificare quali siano le persone le cui opportunità debbano essere rese eguali. Riva sostiene che non tutte le opportunità delle persone possono essere eguali. Ciò che deve essere determinato è l'insieme delle opportunità minime garantite egualmente a tutte le persone che risiedono nello stato. Questo capitolo, proprio perché molto interessante, avrebbe meritato, a parer mio, una maggiore chiarificazione.
Per sintetizzare secondo Riva lo Stato dovrebbe garantire eguaglianza delle opportunità nei seguenti casi:
- eguali opportunità di soddisfare i propri bisogni primari (ossia poter accedere a tutti quei mezzi che consentono di conservare e proteggere la propria vita, e sviluppare le proprie caratteristiche fondamentali);
- eguali opportunità di accedere ad una soddisfacente vita professionale, alla maggiore età e a parità di titolo di studio: queste sono le necessità della formazione e dell'istruzione e la rimozione di quegli ostacoli che impediscono di accedere a determinati tipi di formazione o professioni; inoltre dovrebbero poter accedere ad un capitale materiale iniziale che consenta loro di scegliere il tipo di educazione o di avviare una attività;
- eguali opportunità di accesso al reddito, ossia alla ricchezza prodotta dal lavoro (ad esempio, parità di salario per parità di lavoro, oppure, a parità di qualifica eguali opportunità di scegliere in un ambito di possibilità).
Quest'ultimo caso è particolarmente importante perché, prima ancora dell'accesso al reddito, lo Stato dovrebbe garantire il diritto al lavoro per tutti e adoperarsi per eliminare discriminazioni in base al genere, in base alla disabilità, e anche per evitare la tendenza a beneficiare membri di gruppi particolari piuttosto che altri (la propria famiglia, i propri amici). Politiche sensibili alla differenza contribuirebbero ad eliminare pregiudizi radicati nei confronti di gruppi particolari.
In generale, una concezione della giustizia complessiva (globale, direbbe Elster citato anche nel testo) non nuovissima, ma analizzata con molta cura e giustificata con argomentazioni convincenti. In quest'epoca di crisi il richiamo alle responsabilità dello Stato in materia economica e sociale non è certamente né inutile, né pleonastico.
Indice
Introduzione
I - Giustizia ed eguaglianza di opportunità
II - Opportunità ed eguaglianza delle opportunità
III - Una concezione dell'eguaglianza delle opportunità
Bibliografia
Ringraziamenti
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