Quando Paul K. Feyerabend pubblicava, nel 1975, Against method. Outline of an anarchistic theory of knowledge (trad. it., “Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza”, Feltrinelli, 3a ed. 1984), si era posto l’obbiettivo di dimostrare, su base storica, che la ricerca scientifica – anche ai livelli più alti e con i più ragguardevoli risultati – procede spesso al di fuori del cosiddetto “rigoroso metodo scientifico”. Di più, nella scienza – sosteneva Fayerabend – l’unico principio che non inibisce il progresso è: qualsiasi cosa può andar bene (anything goes).
A dimostrazione di questo assunto, l’anarchico filosofo della scienza di origini viennesi presentava il caso, a suo dire paradigmatico, dell’operazione concettuale compiuta da Galileo Galilei a sostegno della teoria eliocentrica copernicana: Galileo usò tutti i mezzi concettuali meno ortodossi, - anche le famigerate ipotesi ad hoc, tanto invise ai sostenitori del rigoroso metodo scientifico -, per “dimostrare” che Copernico aveva ragione. Insomma, Galileo – concludeva Feyerabend – fece progredire la scienza infischiandosene del metodo!
A dimostrazione di questo assunto, l’anarchico filosofo della scienza di origini viennesi presentava il caso, a suo dire paradigmatico, dell’operazione concettuale compiuta da Galileo Galilei a sostegno della teoria eliocentrica copernicana: Galileo usò tutti i mezzi concettuali meno ortodossi, - anche le famigerate ipotesi ad hoc, tanto invise ai sostenitori del rigoroso metodo scientifico -, per “dimostrare” che Copernico aveva ragione. Insomma, Galileo – concludeva Feyerabend – fece progredire la scienza infischiandosene del metodo!
L’attacco al metodo del filosofo viennese fu, comunque, un’operazione tutta epistemologica: Feyerabend intese dimostrare che gli scienziati spesso, per ottenere un risultato qualificante, sono disposti a tradire il metodo, a metterlo tra parentesi, a predicare bene ma a razzolare male, insomma.
Nel testo di Michael Brooks, divulgatore scientifico in possesso di un PhD in fisica quantistica, si va ben oltre: nell’analisi della concreta prassi scientifica, non viene messa in discussione solo la rigorosa applicazione del cosiddetto “metodo scientifico” da parte degli scienziati (come in Feyerabend), ma – dichiara Brooks – “è ora di mostrare la scienza per quell’impresa anarchica, creativa e radicale che è sempre stata” (p. 8). L’immagine che il senso comune ha degli scienziati è quella di “persone razionali ed equilibrate, aliene da passioni pericolose” (p. 10); nulla di più falso, o di vero solo a metà. “Pur di fare una scoperta importante o di essere sempre i primi, gli scienziati si drogano, seguono chimere folli, sperimentano su se stessi e gli uni sugli altri, e talvolta ci rimettono la vita. Lottano: fisicamente, qualche volta […]. Cercano di intrappolarsi a vicenda e di mettere i bastoni tra le ruote ai colleghi, per impedirne i progressi e mantenere la testa della corsa” (p. 13). “Non stiamo parlando della scienza “stramba”, delle follie che accadono ai margini del mondo della ricerca, ma della Scienza con la S maiuscola. L’anarchia si cela in molti dei Nobel degli ultimi decenni” (ivi).
E sono per lo più i casi storici di premi Nobel, di tutti i campi della scienza, quelli che Brooks raccoglie nel suo piacevole e istruttivo saggio, persone che hanno veramente fatto la grande storia della scienza; persone che, però, hanno anche dimostrato con il loro modo di procedere all’interno della prassi scientifica, come la scienza – se vista con occhi sufficientemente adulti e disincantati – è anch’essa un’attività molto umana, troppo umana, per parafrasare Nietzsche.
Così, per fare solo qualche esempio, Kary Mullis vincitore del Nobel per la chimica nel 1983, ha affermato che “non ci sarebbe mai arrivato senza l’LSD” (p. 26), mentre “il biologo e premio Nobel Francis Crick si dichiarò «affascinato dagli effetti» sperimentati nel corso dei suoi trip di acidi” (p. 29); il chimico August Kekulé, anch’egli vincitore del Nobel, deve molto del suo successo alla fase onirica, cioè irrazionale, della sua coscienza: “Quando il bigliettaio esclamò «Clapham Road» mi svegliai e il sogno si interruppe, ma trascorsi parte della notte a trascrivere almeno qualche schizzo delle forme che avevo sognato […]. Fu così che nacque la teoria strutturale” (p. 34).
Anche Galileo, come ricordavo all’inizio, non si sottrasse agli istinti meno razionali pur di ottenere il risultato sperato. Galileo, ricorda Brooks, verrà giustificato e discolpato – molti secoli dopo – niente meno che da Albert Einstein: “«Fu il desiderio irrefrenabile di una dimostrazione meccanica del moto della Terra che spinse Galileo a formulare una teoria sbagliata sulle maree», scrisse Einstein nella prefazione ad un’edizione moderna del Dialogo” (p. 55).
Quanto ad Einstein, poi, egli è “l’esempio perfetto del personaggio capace di grandi risultati scientifici e noncurante delle trasgressioni necessarie per raggiungere l’obiettivo” (p. 64). Per esempio, “la sua teoria prevedeva che […] il rapporto giromagnetico avrebbe dovuto essere pari a 1. L’esperimento di Einstein fissò il valore a 1,02, abbastanza vicino alla previsione da «mettere a tacere qualsiasi dubbio sulla correttezza della teoria», come disse lui stesso nel resoconto alla Società tedesca di fisica. «Un esperimento magnifico!», scrisse a Michele Besso, amico ed ex-collega all’Ufficio Brevetti di Berna. «Peccato che tu non lo abbia visto». Quando altri tentarono di ripetere l’esperimento, però, le cose non andarono così bene. Dopo sei anni di test, si scoprì che il rapporto giromagnetico è pari a 2. Einstein, guidato dalla propria teoria (sbagliata), continuò a rifiutare che il suo valore potesse essere diverso da 1. Molti anni dopo, il fisico olandese Johannes de Haas, che aveva collaborato con Einstein all’esperimento, ammise che quest’ultimo era stato condotto [solo] due volte, e che il risultato era stato, rispettivamente, pari a 1,02 e 1,45. Einstein aveva scelto e pubblicato il valore che combaciava meglio con la sua teoria [sbagliata]” (p. 66).
Ancora: “Einstein tentò di dimostrare E = mc2 per ben otto volte, e non ci riuscì mai senza imbrogliare” (p. 68); altri matematici dimostreranno, più tardi, che l’equazione è corretta, mentre Einstein lo “dimostrò” solo barando, e sapendo di barare.
Sono veramente molti (e ce n’è per tutti: fisici, chimici, biologi, medici) gli episodi citati nel libro di Brooks, - episodi di scorrettezza metodologica, di ambizione sfrenata anche a sacrificio della verità scientifica, episodi dai quali tracima velenoso un senso di onnipotenza, una pratica costante di menzogna, invidia e cattiveria -, che costellano il tutt’altro che tranquillo cammino della scienza, ma preferisco lasciarli scoprire piacevolmente al lettore.
In questo scenario, curioso più che desolante, Brooks tiene però a precisare che gli scienziati non si comportano in maniera spericolata senza una ragione: “Il fatto è che talvolta le regole sono d’intralcio al processo creativo della scienza. E quando ciò accade, le regole – inutile negarlo – verranno infrante. Perché? Perché la scienza esisteva quando ancora non esistevano le regole” (p. 117). L’aspetto anti-metodologico, o anarchico, di una parte significativa dell’impresa scientifica non assume, in Brooks – come in Feyerabed, del resto -, una valenza negativa, per il semplice fatto che la scienza, come gran parte delle attività umane, “è un’arena brutale, in cui l’anarchia dei gladiatori può esprimersi al meglio” (p. 171). Ecco perché Brooks, come recita con chiarezza il sottotitolo del saggio, opera un “elogio della scienza anarchica”, perché quest’ultima forma di conoscenza – non raramente – è in grado di produrre le scoperte ed i risultati più imprevedibili, più inaspettati e spettacolari, a dispetto del rigoroso procedere con metodo.
Così, come si legge nella quarta di copertina, secondo Brooks per dare alla scienza un futuro e per far crescere una nuova generazione di scienziati, è necessario far emergere il vero spirito scientifico, liberandolo dalla patina di noia e conformismo che lo avvolge e restituendogli la libertà. Ecco, la libertà di violare le regole nel nome della scienza; lo avrebbe sottoscritto l’anarchico Feyerabend, convinto che nell’impresa scientifica anything goes, qualsiasi cosa può andar bene. Ma saremmo disposti a sottoscriverlo anche noi, comuni cittadini e non addetti ai lavori?
Questa francamente è una domanda che non può essere non posta, la cui risposta – anch’essa come la scienza auspicata da Brooks – rimane aperta, in fieri, e comunque assolutamente libera.
Indice
Prologo
1. Come è cominciato tutto
2. I delinquenti
3. I signori dell’inganno
4. Giocare con il fuoco
5. Sacrilegio
6. Fight club
7. A difesa del trono
8. Sulla linea di tiro
Epilogo
Ringraziamenti
Indice analitico
4 commenti:
Non c'è dubbio che il metodo della scienza non è tutto per la scienza e che alcune necessità scientifiche sono extrametodologiche e che a privilegiare il solo metodo scientifico la scienza rischierebbe di bloccarsi; tuttavia è vero che la scienza non può esistete senza il proprio metodo, che differisce dagli altri; allora se le pianificazioni politiche privilegiano il solo metodo scientifico a discapito delle altre necessità scientifiche, resta salvezza annullare la politica pianificazione di scienza e ciò può essere richiesta impolitica o apolitica o politica di provvedimento 'anarchico'.
Ma resta vero che esiste anche la eventualità od evenienza che la scienza abbia bisogno a causa di difficoltà di auto-organizzazione di un intervento pianificatore da parte della politica, che potrebbe esser promosso politicamente o apoliticamente od impoliticamente cioè in tal ultimo caso richiesto alla politica dalla non politica.
A che pro allora un elogio della scienza anarchica, quando, dove, perché? E quando invece il ricorso opposto? Comunque in merito ad impieghi, scopi, ambienti scientifici, la scienza può esser politica od impolitica; le scienze politiche sono scienze della politica non perché studiano scientificamente la politica ma perché ne sono parte, perché la politica è una libertà ed in quanto tale non può essere essa stessa oggetto di studio scientifico e la politologia è una disciplina di studio ma non essa stessa scientifica, trattandosi di logica mai rigorosamente empirica e fondata su conoscenze dirette di imprese dirette.
Una scienza anarchica è ancora scienza politica, perché si tratta di rapporti tra politica non ordinativa con scienza entro utilizzo dunque della politica; ed ovviamente si tratta di un rimedio anche culturale oltre che politico sensato se riferito a problemi particolari per i quali è rimedio; ma non esistono solo questi problemi e ne esistono anche di opposti ed anche di diversi, quali necessità scientifica e non politica.
Allora in tal caso è importante contestualizzare il messaggio filosofico ovviamente dopo averne identificato realtà e scartato eventuale irrealtà; e a riguardo risulta non reale interpretazione filosofica quella di Michael Brooks inerente fisica dinamica e fisica applicata agli effetti dei liquidi, disciplina che si può dire fisica idraulica ma che non è un settore ma solo una applicazione scientifica non tecnica e senza risultati di teorie ma solo con provvisori teoremi che non sono di fisica dinamica né di fisica statica neppure di fisica teorica: gli studi inerenti le maree usano coefficienti numerici provvisori che dipendono sempre inesplicabilmente da variazioni naturali; per cui anche la corrispondenza fisica dinamica con essi, pur sempre la più perspicua cioè unica diretta tra le altre, non reca teoria con numerica inclusa ma solo acclusa! Non è vero che G. Galilei aveva fatto osservazioni teoriche sbagliate; aveva fatto notare vantaggi, per uso nautico di scienze, della nuova fisica dinamica rispetto alla statica; ed a negare tali fatti si crea necessità di intervento politico ordinativo cioè di una scienza non anarchica, per porre fine ad errare ed ignorare.
Dunque il messaggio realmente filosofico contenuto in pubblicazione recensita va identificato perché è ridotto; e quello reale va ridimensionato perché è in parte decontestualizzante. Una scienza anarchica è auspicabile in alcuni casi, dove le regole troppo astratte sono solo impedimento; ma M. Brooks mostra di aver filosofato anche a vuoto ed in parte di non aver saputo filosofare, non avendo fatto distinzioni necessarie tra opportunità di mondi, non marittimo e marittimo.
MAURO PASTORE
In mio messaggio precedente 'esistete' sta per:
esistere.
Reinvierò testo corretto.
Sono dispiaciuto per inconveniente di scrittura dipendente anche da mia necessità di fronteggiare sia ostacoli allo scrivere sia minacce contro mie cose e mia vita, per cui non mi è convenuto maggior attenzione intensiva. Non a caso i disturbatori ai miei danni fanno risuonare i loro inganni e non solo inganni specialmente da presso al mare; perché un mondo ignaro di marittime necessità non intende serietà della vita anche marittima e ha avversione per mentalità anche marittime e usa permanenze marittime o marine per consumarsi e purtroppo per consumare, anche andando per mare per reale turismo, cosa sempre insavia. Non a caso dunque essi avversano mio scrivere, perché negli stessi ostili c'è intuizione del mio rifiutare loro insavia. Chi legge ne stia in guardia!
MAURO PASTORE
Non c'è dubbio che il metodo della scienza non è tutto per la scienza e che alcune necessità scientifiche sono extrametodologiche e che a privilegiare il solo metodo scientifico la scienza rischierebbe di bloccarsi; tuttavia è vero che la scienza non può esistere senza il proprio metodo, che differisce dagli altri; allora se le pianificazioni politiche privilegiano il solo metodo scientifico a discapito delle altre necessità scientifiche, resta salvezza annullare la politica pianificazione di scienza e ciò può essere richiesta impolitica o apolitica o politica di provvedimento 'anarchico'.
Ma resta vero che esiste anche la eventualità od evenienza che la scienza abbia bisogno a causa di difficoltà di auto-organizzazione di un intervento pianificatore da parte della politica, che potrebbe esser promosso politicamente o apoliticamente od impoliticamente cioè in tal ultimo caso richiesto alla politica dalla non politica.
A che pro allora un elogio della scienza anarchica, quando, dove, perché? E quando invece il ricorso opposto? Comunque in merito ad impieghi, scopi, ambienti scientifici, la scienza può esser politica od impolitica; le scienze politiche sono scienze della politica non perché studiano scientificamente la politica ma perché ne sono parte, perché la politica è una libertà ed in quanto tale non può essere essa stessa oggetto di studio scientifico e la politologia è una disciplina di studio ma non essa stessa scientifica, trattandosi di logica mai rigorosamente empirica e fondata su conoscenze dirette di imprese dirette.
Una scienza anarchica è ancora scienza politica, perché si tratta di rapporti tra politica non ordinativa con scienza entro utilizzo dunque della politica; ed ovviamente si tratta di un rimedio anche culturale oltre che politico sensato se riferito a problemi particolari per i quali è rimedio; ma non esistono solo questi problemi e ne esistono anche di opposti ed anche di diversi, quali necessità scientifica e non politica.
Allora in tal caso è importante contestualizzare il messaggio filosofico ovviamente dopo averne identificato realtà e scartato eventuale irrealtà; e a riguardo risulta non reale interpretazione filosofica quella di Michael Brooks inerente fisica dinamica e fisica applicata agli effetti dei liquidi, disciplina che si può dire fisica idraulica ma che non è un settore ma solo una applicazione scientifica non tecnica e senza risultati di teorie ma solo con provvisori teoremi che non sono di fisica dinamica né di fisica statica neppure di fisica teorica: gli studi inerenti le maree usano coefficienti numerici provvisori che dipendono sempre inesplicabilmente da variazioni naturali; per cui anche la corrispondenza fisica dinamica con essi, pur sempre la più perspicua cioè unica diretta tra le altre, non reca teoria con numerica inclusa ma solo acclusa! Non è vero che G. Galilei aveva fatto osservazioni teoriche sbagliate; aveva fatto notare vantaggi, per uso nautico di scienze, della nuova fisica dinamica rispetto alla statica; ed a negare tali fatti si crea necessità di intervento politico ordinativo cioè di una scienza non anarchica, per porre fine ad errare ed ignorare.
Dunque il messaggio realmente filosofico contenuto in pubblicazione recensita va identificato perché è ridotto; e quello reale va ridimensionato perché è in parte decontestualizzante. Una scienza anarchica è auspicabile in alcuni casi, dove le regole troppo astratte sono solo impedimento; ma M. Brooks mostra di aver filosofato anche a vuoto ed in parte di non aver saputo filosofare, non avendo fatto distinzioni necessarie tra opportunità di mondi, non marittimo e marittimo.
MAURO PASTORE
Ho inviato testo con parola corretta. Internet non è una libreria ma sistema dati e dunque basta del tutto ultimo invio compiuto.
MAURO PASTORE
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