venerdì 26 aprile 2013

Nussbaum, Martha C., Giustizia poetica. Immaginazione letteraria e vita civile

a cura di E. Greblo, Milano, Mimesis, 2012, pp. 188, Euro 16,00, ISBN 9788857509846.

Recensione di Maria Agnese Ariaudo - 14/12/2012

Giustizia poetica. Immaginazione letteraria e vita civile di M.C. Nussbaum emerge come contributo al contempo di potente suggestione e di rilevante portato pratico, complice l’accurato lavoro di revisione di E. Greblo sulla traduzione di G. Bettini.
Opportunamente, il curatore premette infatti nella nota di esordio come si sia reso indispensabile presentare questo lavoro -  la cui pubblicazione in lingua originale risale al 1995 sotto il titolo  Poetic Justice. 

The Literary Imagination and Public Life - in una veste che garantisse l’uniformità di linguaggio e la stabilità di categorie concettuali che nel tempo sono andate via via precisandosi e la cui resa terminologica risponde ormai ad un criterio invalso.  Mentre la puntuale introduzione (pp. 7-17) consegna le coordinate ermeneutiche del discorso nussbaumiano su di  “un’etica dell’essere in relazione” (p. 11), irrelata a  “una struttura della relazionalità fondata non più sul contratto, come nel paradigma politico moderno, ma su vincoli prepolitici, come la capacità di cogliere il vissuto dell’altro nella sua concretezza psicologica” (p. 11).
Venendo alla disamina vera e propria – senza tuttavia alcuna pretesa di esaurirne i contenuti, ma semplicemente nell’intento di accostare alcuni tra i nodi più stringenti - si sottolinea come le quattro sezioni attraverso cui la monografia si articola,  individuino  il proprio oggetto specifico a partire da  una carenza, definibile in senso morale e a discendere istituzionale e giuridico.
Si tratta invero della ristrettezza di argomenti teorici, e a ridosso pratici, che sviluppino uniformemente la dotazione di senso e applicativa delle emozioni particolari suscitate dall’immaginazione letteraria – senso e applicazione che in potenza si considerano apprezzabilmente proficui, financo per quel contesto denso di esperienza che è la prassi giudiziale.
La tesi portante di queste pagine è che occorra forzare un limite evidente per acquisire uno strumento di decifrazione della realtà (p. 47), nonché un’inaspettata risorsa per il ragionamento e la deliberazione pubblici,  senza ambire  tuttavia a sostituire il  “ragionamento morale governato da regole” (p. 30).
Nussbaum  dipana con indiscutibile maestria la matassa di un’inedita consapevolezza civile, per il tramite di un’educazione all’agire che attinge al capiente serbatoio dell’immaginazione letteraria,  alle possibilità di una  ‘fantasia’ non rinnegata, al potenziale inesplorato di un  ‘raccontare storie’ e ad una  ‘esperienza del lettore’ mai banale perché avvinta alla realtà politica e della società (cfr. p. 47).
Si sottolinea in particolare come la consuetudine con il  discorso narrativo disponga ciascuno di noi al contatto con metafore moralmente rilevanti (cfr. pp. 81,82),  prepari all’esercizio di una autentica empatia, apra ad una prossimità tra individui retta sull’immedesimazione e  fondata sull’imperativo categorico di  “preoccuparci del bene di altre persone le cui vite sono lontane dalla nostra” (p. 30). Non solo: “la letteratura mette a fuoco il possibile, sollecitando i suoi lettori a interrogarsi su se stessi” (p. 39).
Se una delle riserve incombenti è quella che le emozioni narrative non siano buone consigliere (molte opere popolari titillano il sentire del lettore non troppo riflessivo attraverso sentimenti rozzi, con derive oltremodo nocive – (p. 45)), appaiono tanto più preziose le rassicurazioni teoriche e i distinguo sulla legittimità di questa guida disseminati da Nussbaum (cfr. p. 117), la quale mostra così di non sottovalutare il peso di siffatti rilievi.
Il ricorso alle emozioni risulta pertanto condizionato;  in particolare sono impegnativi  i  vincoli posti in capo alla figura collocata all’apice della scala di partecipazione empatica, nel connubio tra etica e diritto. Si tratta di un “poeta-giudice” - una sorta di evoluzione, di sviluppo consequenziale del ‘lettore’ di opere letterarie e tuttavia con la mediazione rigorosa del modello artificiale di “spettatore imparziale”   descritto da A. Smith  nella Teoria dei sentimenti morali (pp. 117-118).  In questo tratto, il ricorso per così dire ‘disciplinato’ delle emozioni passa per l’obiettività intrinseca al punto di vista morale razionale del soggetto non coinvolto direttamente, ma che assiste agli avvenimenti.
Riguardo alla figura ideale del “poeta-giudice” – inquadrata efficacemente anche rispetto ai suoi possibili antagonisti (cfr.. p. 128) -  essa appare realmente guidata  da quelle emozioni che consentono  “una visione esatta di ciò che sta accadendo” (p. 119), mostra di guardare ad uno stato dei fatti non distorto, mentre la sua deliberazione prescinde dalla forza deviante dell’interesse personale. Ma ci troviamo di fronte anche ad un simbolo fortemente evocativo,  laddove essa incarna in parte le determinazioni del modello di giudizio celebrato dalla poesia visionaria, a tratti onirica di W. Whitman nei passaggi di Foglie d’erba – un riferimento, quest’ultimo, caro alla narrazione, all’autocoscienza democratica tipica della cultura americana. Al poeta-giudice si richiedono pertanto spiccate doti di equanimità e flessibilità di giudizio (p. 126), lungimiranza ed equilibrio (p. 127), senso della storia e riconoscimento dell’altrui umanità (p. 127), obiettività e assenza di preconcetti (p.127), neutralità giudiziale insieme ad una sollecitudine verso il vissuto  degli inquisiti,  mutuata bensì dalla sensibilità letteraria e tuttavia conforme a quanto la legge inderogabilmente prescrive e l’insieme dei precedenti giuridici rammenta  (pp. 133-137).
In questo contesto è viepiù importante sottolineare il presupposto, stabile in Nussbaum,  per cui qualsivoglia contributo al vivere comune, per il tramite della riflessione sulla narrativa,  risulterà velleitario e di carattere regressivo se prescinde da una solida base scientifico-formale o  politico-normativa (cfr. commenti pp. 46-48).  Come pure si esclude qualsivoglia ipotesi di superiorità a priori spregiudicata delle emozioni rispetto alle evidenze economiche. Tant’è vero che l’autrice precisa come la critica intrecciata alla sua disamina - e inerente come si vedrà tra breve a una rinvenuta deriva utilitaristica nelle visioni del mondo contemporanee - si rivolga “contro una specifica concezione della scienza economica, e non contro l’idea stessa di scienza economica, e certamente non contro l’idea che teorie astratte di tipo scientifico possano essere decisive per una buona direzione della vita pubblica” (p.   56) . Del resto – sul piano strettamente giuridico - è nel solco dell’imponente apparato del  ‘common law’ che si collocano senza soluzione di continuità queste riflessioni (pp. 28-30).
A corollario di tali argomenti vi è poi un distinguo che appare particolarmente congruo, nella misura in cui ridimensiona una certa disposizione rintracciabile nel cultore letterario – e di riflesso pertanto anche nel  “poeta-giudice” -  a farsi soggetto isolato e parziale di interpretazione: i significati attinti per il tramite delle emozioni – per poter vantare credibilità – debbono darsi nei termini di risultato ultimo  di astrazioni critiche complesse, costruirsi entro un’ottica dialogica. Pertanto, la reazione emotiva del singolo è auspicabile  si contemperi in maniera più sofisticata al di sotto del confronto reciproco tra coloro che condividono la stessa esperienza di lettura (pertinente, in questo contesto,  il riferimento al concetto di  “co-duzione”  in W. Booth  sull’atto di leggere e di valutare (pp. 43-44), più oltre definito (p. 121) nei termini di giudizio critico coincidente “per sua natura” con  “un tipo di ragionamento pratico non-deduttivo, comparativo, che viene portato avanti in collaborazione con altri”).
Tornando sulla questione delle potenziali obiezioni al ricorso alle emozioni, l’autrice ne indaga con efficacia e dall’interno una serie tra le più rilevanti, per costruire una disamina di segno opposto e contrario (cfr. pp. 95-117 –  particolarmente incisivi gli argomenti rispettivamente avverso la presunzione delle emozioni come cieche forze animali, contro la presunzione delle emozioni come manifestazione di uno stato di bisogno, in antitesi alla presunzione dell’insufficienza della risposta emotiva  sul piano sia dell’imparzialità che della comprensione politica di classe).
Mentre, al di sotto di questa costellazione di premesse e distinguo,  Nussbaum mette il lettore sulle tracce  del  romanzo realista anglo-americano: topos narrativo privilegiato esso è  in grado di coagulare con una notevole densità le risorse emotive; il genere desta per definizione  interesse riguardo “a ciò che è ordinario” e dispiega sentimenti che, con lo sguardo rivolto ad Aristotele,  rimandano  a  “certi modelli  molto generali di fioritura umana insiti nella mia reazione compassionevole, nel suo giudizio di ciò che costituisce un danno grave per la vita” (p. 42).
Se più di un’opera e un autore vengono richiamati emblematicamente (Paura di Wright e Maurice di Forster),  risulta paradigmatico lo spettro di emozioni disvelato in particolare dal dickensiano Tempi difficili  (1854). 
Sotto alcuni punti di vista ci troviamo di fronte a un’opera datata ed è Nussbaum stessa – con apprezzabile onestà intellettuale e senza agiografia - a sottolineare i limiti storici, personali e contestuali, nonché distinti anacronismi nella visione politica e sulle istituzioni del suo autore (cfr. i commenti pp. 46 e 71-72).
E tuttavia è molto più ciò che paradigmaticamente la sensibilità dickensiana trasmette intatto sulla lunga distanza - in termini di contributo emotivo, di penetrazione psicologica e della realtà sociale - rispetto a quanto la patina del tempo ha reso ormai superato. La galleria dei personaggi, le loro vicende umane spesso in bilico tra redenzione e sconfitta, il respiro corale di una critica dell’ineguaglianza sociale che emerge potentemente dal gioco di imparzialità ingaggiato con la finzione del romanzo, tutto ciò lascia trapelare alla lettura di Nussbaum un messaggio decisamente attuale.
Nel tronco dell’argomentazione sulle emozioni che l’immaginazione letteraria è qui capace di suscitare – per il tramite di figure indimenticabili, al contempo ottuse, egoiste e tragiche quali il patriarca Gradgrind, ciniche e arriviste come il giovane Bitzer, o ancora, capaci di autentica empatia come Sissy Jupe -  si inserisce allora l’affilata critica ai modelli utilitaristici della scelta razionale. Si tratta di un confronto tra la versione classica e quelle posteriori, rivedute e corrette (cfr. pp. 49-65) che sfuma la nettezza del distinguo sull’uso squisitamente normativo dell’utilità da parte del primo e nell’uso esplicativo e predittivo del comportamento umano emergente dalle seconde (p. 51-52). Ciò in quanto, passato e presente della visione utilitaristica muovono le loro rispettive declinazioni  a partire da una fascinazione affine: che si possano rendere in senso quantitativo tutti gli oggetti in possesso di un qualche valore, che si debba intendere ciascun risultato sociale come un aggregato ottenuto sommando i dati inerenti le vite degli individui, che  sia  la razionalità individuale sia quella pubblica tendano all’obiettivo della massimizzazione dei risultati (beni, soddisfazione di preferenze, desideri, piaceri, utilità),  che le preferenze degli individui siano date dall’esterno (pp. 50-51).  Pertanto, le descrizioni economiciste-utilitariste che Dickens pone al centro della sua critica (cfr. ad esempio la citazione di Nussbaum del confronto surreale tra Gradgrind e la figlia Louisa sul concetto di ‘vita’, p. 59) inducono  un disagio e insieme una consapevolezza non dissimili da quello che si prova accostando il gergo delle recenti analisi sulle scelte sessuali formulate da R. Posner (p. 54).  Simili descrizioni ci conducono, infatti, al nucleo di un trattamento riduzionistico dei “fatti” della vita umana (p. 63); palesano la ragione come “operazione dogmatica dell’intelletto” (p. 63), dove quest’ultimo accosta peraltro gli oggetti solo in superficie, mettendo tra parentesi tanto il patrimonio qualitativo del mondo percepibile (p. 64), quanto soprattutto il mondo interiore delle persone – con la separatezza di ciascuno, la ricchezza di significati e il carattere complesso di ciascuna singola esistenza.
Il romanzo dickensiano – indagato da Nussbaum fin nelle sue pieghe più recondite - assolve adeguatamente lo scopo che mostra di essersi prefissato, nella misura in cui stimola non tanto una radicale opposizione all’utilitarismo, bensì una critica a parte dei suoi presupposti e limiti interpretativi (p. 72).  E traduce appieno pertanto quell’istanza che a Nussbaum sta a cuore, sin dall’esordio di Giustizia poetica:  “dovremmo evitare un punto di vista aggregativo e spersonalizzante, che qui viene indicato come tipico della morale utilitaristica, ovvero una concezione che esclude le emozioni dalle componenti esplicative del comportamento umano” (p. 7).
Concludendo, si richiama per un istante l’attenzione sulla parte finale dell’ultima sezione del testo di Nussbaum, tratto in cui si discute, oltre che della possibilità teorica, della legittimità pratica,  effettiva e concreta del  “poeta-giudice” – di cui si sono menzionate poc’anzi le determinazioni -  dando luogo a una delle parti forse più pregnanti dell’opera.
I pronunciamenti relativi a tre procedimenti processuali che hanno fatto particolarmente discutere l’opinione pubblica americana, per la difficoltà inquisitorie  e i dilemmi morali implicati (rispettivamente Hudson v. Palmer, Mary J. Carr v. General Motors Corporation, Bowers v. Hardwick, pp. 148-168),  vengono indagati sotto il profilo etico,  mentre viene analizzata la misura di conformità del giudizio alle  “virtù proprie del giudice-letterato” (p. 148).


Indice

Introduzione
di Edoardo Greblo                                          p.  7

GIUSTIZIA POETICA

Ringraziamenti                                              p.  25
Prefazione                                                    p.  27

1.   L’immaginazione letteraria                        p.  35
2.   Fantasia  p.  49 
3.   Emozioni razionali                                    p.  95 
4.   Il Poeta-giudice                                       p. 125

Note                                              
             p. 173

Nessun commento: