Prefazione di Véronique Boudon-Millot, Milano, FrancoAngeli, 2012, pp. 175, euro 20, ISBN 9788820407926.
«Il vero medico si mostrerà invece amico della temperanza (sophrosynes [...] phylos) come pure della verità» (p. 18): queste parole, tratte dal Quod optimus medicus sit quoque philosophus, paiono ben fornire una cifra complessiva dell'attività intellettuale di Galeno. La figura di medicus gratiosus, ch'egli si sforzò di incarnare unendo etica della temperanza e aristocratico contegno, nonché la notevole influenza che la sua produzione scientifico-filosofica esercitò nel passare dei secoli, sono oggetto di studio del volumetto composto a quattro mani da Martino Menghi e Giorgio Cosmacini.
L'opera del medico di Pergamo, come noto, rappresenta di per sé un enorme patrimonio di notizie e conoscenze, e pure costituisce la sorgente prima di una méthode (il sapore cartesiano del termine, lo si vedrà, non è affatto casuale) viva e vegeta almeno fino almeno a fine Settecento. «Se è vero – scrive Véronique Boudon-Millot concludendo la Prefazione, e non senza un pizzico di retorica – come mostra il destino dell'opera galenica, che la cultura è fatta per unire e non per separare, bisogna allora affrettarci a leggere questo libro, mettendoci senza indugio al fianco dei due autori in questo viaggio indimenticabile della scienza e dell'intelligenza» (p. 11).
L'opera del medico di Pergamo, come noto, rappresenta di per sé un enorme patrimonio di notizie e conoscenze, e pure costituisce la sorgente prima di una méthode (il sapore cartesiano del termine, lo si vedrà, non è affatto casuale) viva e vegeta almeno fino almeno a fine Settecento. «Se è vero – scrive Véronique Boudon-Millot concludendo la Prefazione, e non senza un pizzico di retorica – come mostra il destino dell'opera galenica, che la cultura è fatta per unire e non per separare, bisogna allora affrettarci a leggere questo libro, mettendoci senza indugio al fianco dei due autori in questo viaggio indimenticabile della scienza e dell'intelligenza» (p. 11).
La prima parte del testo (Galeno: il medico filosofo) è dunque affidata alla penna di Menghi, il quale affresca d'innanzi a noi una veduta di scorcio sulla complessa e frastagliata opera galenica, ponendo in ciò particolare attenzione al contesto sociale, politico e culturale che il medico pergameno si trovava ad abitare. Partendo dagli studi e dalle vicende della giovinezza, Menghi evidenzia da subito il peso centrale che rivestono nella formazione del medicus lo studio della filosofia e l'esercizio del metodo dimostrativo (cioè «quello squisitamente razionale fornito dal paradigma della geometria euclidea» [p. 22]): diceva infatti a Galeno suo padre, come leggiamo nel De affectuum dignotione: «tu non devi dichiarare apertamente la tua appartenenza ad una setta, bensì studiarle tutte a lungo, e poi giudicarle» (p. 20). E tale monito vien fatto valere dal Nostro non solo in relazione alle maggiori scuole filosofiche del tempo (epicurei, stoici, platonici e peripatetici), ma anche alle sette mediche più diffuse: quelle dei metodici, degli empirici e dei dogmatici. È proprio grazie alla solidità del suo metodo d'indagine razionale che Galeno si fa strada e arriva con agio a primeggiare sui medici a lui contemporanei. Ma l'abilità tecnico-scientifica (pur necessaria) non è affatto sufficiente: «vi è anche un ethos che questo professionista [il medico] deve seguire se intende ricoprire un ruolo chiave all'interno della società» (p. 35) (si ricordi: quod optimus medicus sit quoque philosophus). Ed ecco dunque porsi d'innanzi ai nostri occhi – sempre seguendo la via battuta da Menghi – la questione del rapporto medico-paziente. Nel mondo romano, già a lungo si era riflettuto sulla figura del “medico ideale”, nonché degli obblighi verso i suoi assistiti: nel De medicina, ad esempio, Celso afferma che un solo principio il medicus deve impegnarsi a seguire, ovvero che «un solo medico non può curare molti malati, e che costui, se è un professionista, potrà essere all'altezza del suo compito alla condizione che non si allontani a lungo dal malato»; «ma quelli che invece esercitano per danaro – aggiunge Celso –, dato che se ne può guadagnare di più con una folla di pazienti, seguono volentieri quella scuola che non impone una presenza assidua con il malato» (p. 41). Con Seneca, poi, abbiamo una compiuta teorizzazione della figura del medicus amicus, cioè del medico che si prende liberamente cura del malato e si pone, nei confronti di questi, su un piano di assoluta parità; massima ricompensa che la cura e la sollecitudine dell'esperto possono rendergli, infatti, altro non è che la riconoscenza del paziente, tale da originare un circolo virtuoso di beneficia concessi e ricevuti. Con Galeno, invece, abbiamo una sostanziale modifica di questo atteggiamento: come illustra bene Menghi, il rapporto medico-assistito si configura «piuttosto come un passaggio “verticale” e “impari” di un beneficio che un superiore dà a un suo inferiore» (p. 43). Questa importante modifica, consistente appunto nell'idea che il paziente debba integralmente assoggettarsi all'imperio del medico, si inserisce perfettamente nel contesto storico-sociale entro cui opera Galeno: è ormai l'epoca degli Antonini, quanto mai distante dalla libertas repubblicana (sentimento ancora tipico, almeno per certi versi, dello stesso principato augusteo). Ampliando lo sguardo, vediamo che proprio sullo sfondo di una simile concezione “autoritaria” del medico si stagliano anche le prescrizioni galeniche in tema di continenza alimentare ed erotica (trattate nel capitolo terzo della prima parte del volume); spiega infatti Menghi come il Pergameno mostri «un'attenzione e una preoccupazione per il regime dietetico che fanno il paio […] con quelle che riguardano una corretta economia della vita erotica del soggetto, o ancora la sua salute mentale» (p. 52). È bene, sostiene chiaramente il medicus, esercitare la moderazione sia a tavola sia nel coito, evitando qualunque esasperazione – potenzialmente assai dannosa – nell'una o nell'altra direzione. Ma l'impegno di Galeno si estende anche alla “terapia dell'anima” (e ciò occupa le pagine finali dell'analisi di Menghi), ovvero all'insieme di regole e precetti utili a dirigere correttamente il proprio animo: «anche per quanto riguarda il proprio universo passionale il singolo viene ora relegato in quel ruolo di “minore” di kantiana memoria, che non prevede l'esercizio della ragione in prima persona» (p. 80). È infatti il medico che si assume il ruolo di guida che costantemente invita alla moderazione, coll'esplicito fine di levare agli animi dei pazienti l'afflizione (e indicando così una «via mediana tra il difetto e l'eccesso» [p. 85]), contemporaneamente ridonando coscienza del ruolo affatto dominante che la “pura ragione” ha (per così dire) sulle passions de l'âme, arrivando infine a dominarle in modo assoluto. Tutto ciò, conclude Menghi, fa di Galeno «piuttosto un seguace di Aristotele che non di Platone» (p. 81).
La seconda parte del volume (Galenismo: un'ideologia di lunga durata) è invece affidata alla cura di Giorgio Cosmacini, assai celebre medico e storico della medicina. Egli ripercorre – rubando una felice espressione di Boudon-Millot – il «labirinto dell'eredità galenica» (p. 9), conducendo quindi il lettore attraverso un percorso millenario che lega (nel nome del galenismo) le più lontane scuole e tradizioni di pensiero. Il cammino inizia dalla tarda antichità, periodo in cui incontriamo personalità come quelle di Oribasio di Pergamo, Aezio di Amida o Paolo d'Egina: i loro (più o meno timidi) tentativi di innovazione, spiega l'Autore, s'inquadrano tutti a grandi linee in un recupero del galenismo più ortodosso. Nota a più riprese Cosmacini (citando al proposito le parole di diversi studiosi) come tratto tipico di quel periodo sia una certa «decadenza dello spirito scientifico», in riferimento cioè al «buio multisecolare che ha oscurato la scienza ellenistica» (p. 98); si tratterebbe insomma di un'età «in cui ogni cosa andava in decadimento» (p. 110) (sembra questo tuttavia un giudizio storiografico un po' troppo tranchant). Il viaggio prosegue quindi con l'assimilazione di Galeno nelle culture araba ed ebraica (grossomodo a partire dal VI secolo d.C.), percorso che dagli studi di Damasceno e Giovannizio culmina infine nella grande opera di Avicenna: «egli è anche colui che, sul piano medico-scientifico, è da considerarsi il maggior interprete di Galeno in tutto l'Alto Medioevo» (p. 115). Curioso è anche notare come Avicenna fu addirittura considerato una reincarnazione del medico pergameno, essendo egli insomma una personalità all'altezza dei più illustri medici della storia: lo stesso Dante nella Commedia cita assieme «Ipocrate, Avicenna e Galiëno» (Inferno, IV, 143). Il passo successivo nella disamina di Cosmacini è rappresentato dall'attività delle scholae mediche medievali, e in primis quella di Salerno; qui, grazie anche all'opera di maestri come Costantino Africano, venne a maturare il difficile passaggio «dalla pura e semplice dettatura di prescrizioni mediche in forma di “compendi” alla ben più complessa argomentazione teorico-pratica in forma di “commmentari”» (p. 120): è questo uno scarto essenziale, che in definitiva apre la strada a nuove discussioni ed elaborazioni. Nel XIII secolo, dunque, sia guardando a Montpellier, che a Bologna, Padova o Parigi, Galeno è l'autore medico per eccellenza, guida insostituibile nell'apprendimento dell'arte medica; ma ecco dietro l'angolo una svolta epocale: la peste del Trecento. Di fronte a un tale catastrofico evento, spiega lo storico, la medicina ufficiale è come paralizzata, impotente, priva di ogni rimedio e incapace di rispondere con prontezza alla crisi. Riguardo poi la soluzione (tentata ad esempio dal Leoniceno) di ricomporre la frattura andando a riscoprire filologicamente il “vero Galeno” (che non poteva dal canto suo essere in fallo), commenta con chiarezza Cosmacini: «si tratta di un aggiustamento del vecchio paradigma, non un cambiamento apportatore di novità. Il galenismo de peste è una ideologia scientifica non euristica, ma bloccante, che si autogiustifica e automaticamente persevera» (p. 131). Da dove viene allora la vera spinta innovatrice? Vediamo che nel Rinascimento, già le ricerche di Paracelso e Fracastoro avevano cominciato a erodere l'edificio del galenismo (attraverso specialmente un ritrovato interesse nella Experienz, cioè nell'osservazione della natura), ma è solo con quella “rivoluzione scientifica” di cui «Vesalio è l'interprete protagonista» che si riescono infine a «individuare i tanti errori di Galeno, uno per uno, e confutarli tutti insieme alla loro comune, unica fonte: il cattivo metodo» (p. 140). Ma, naturalmente, le resistenze all'affermarsi della medicina nova di Paracelso e Vesalio furono assai notevoli: si pensi ad esempio al caso dell'università parigina e all'immensa fortuna del “Galeno di Francia”, Jean-François Fernel (1497-1558). Docente universitario di gran fama, Fernel si dedicò ad un intenso recupero della ars medica galenica (non mancando pure di discutere e arricchire la dottrina del maestro): si noti solo che «fino al 1680 saranno 97 le edizioni europee delle opere di Fernel: un primato editoriale, una supremazia culturale pressoché incontrastata, di assai lunga durata» (p. 145). Tutto ciò accadeva in pieno Cinquecento. Nel 1628 viene pubblicata a Francoforte la Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, autore William Harvey; ideologicamente vicino ad Aristotele e Galeno (cui egli si richiama spesso e in modo esplicito), egli era tuttavia in un aspetto sostanziale assai lontano da essi: come nota il grande storico Mirko Grmek «egli [Harvey] aveva tuttavia un desiderio nuovo, decisamente moderno: voleva prendere in considerazione anche gli aspetti quantitativi delle manifestazioni vitali. È con l'introduzione del ragionamento quantitativo che Harvey […] tradisce gli Antichi e che, in luogo di continuare a sviluppare la loro opera, la fece esplodere dall'interno e aprì in tal modo un periodo nuovo nella storia delle scienze della vita» (p. 150). Il passo seguente è ovviamente rappresentato dal meccanicismo di Descartes; d'altronde, anche per ciò che attiene la più grande scoperta dell'aristotelico Harvey, ovvero la circolazione del sangue, si può notare – nelle parole del Professor Gianni Micheli – che essa «da un punto di vista generale […] è importante soprattutto per le sue conseguenze: come il copernicanesimo, essa servì a corroborare la teoria meccanicistica ed è significativo a questo proposito, come è stato ben rilevato, il deciso accoglimento della stessa da parte di Descartes e Hobbes» (G. Micheli, Sviluppo delle scienze reali nel XVII secolo: fisica, chimica, biologia, in L. Geymonat (a cura di), Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano, 1970, vol. II, p. 530). Cosmacini, pur riconoscendo la distanza di Descartes da Galeno sotto molti e rilevanti aspetti, sottolinea d'altra parte una certa continuità tra i due autori, specie in riferimento alla «teoria umorale della cancrogenesi» (p. 153), teoria con cui entrambi fraintendono la natura della malattia ritenendola un male dapprima affatto generico che solo in un secondo tempo si localizza in forma di tumore presso un qualche organo dell'organismo. Nonostante Cosmacini individui poi numerosi altri punti particolari di convergenza tra Galeno e Descartes, si propone infine di lasciar perdere il filo di quest'indagine “comparativa”, fermo restando che esistano a suo giudizio «tracce manifeste dello pseudogalenismo cartesiano» (ma che sono comunque «poca cosa rispetto all'imponente edificio antigalenico costruito da Cartesio») (p. 157), per condurre a termine il percorso nella storia del galenismo. Sul piano teorico, altro passo decisivo è rappresentato dalla “rivoluzione chimica” soprattutto realizzata da Jean Baptista Van Helmont, «figura rivoluzionaria non meno di quanto lo è stato, un secolo prima, il suo conterraneo Vesalio»; si ha qui la nascita della cosiddetta “iatrochimica”, disciplina che si pone come vera e propria «eresia antigalenica» (p. 162), specie per la sua messa in discussione dell'impianto farmacologico teorizzato dal Pergameno. Su un piano storico più generale, invece, da evidenziare è quella svolta cruciale rappresentata dalla Rivoluzione francese: tra 1792 e 1794 sono abolite le vecchie Facultés de médecine (che per secoli il galenismo aveva abitato) e istituite le nuovissime Écoles de santé; e «anche se la restaurazione cercherà di riportare tutto allo status quo antea, abolendo le Écoles e ripristinando le Facultés, il galenismo non sarà restaurato, finendo qui la sua storia» (p. 165). In conclusione del lungo e piacevole percorso fin qui compiuto coi due Autori, occorre ora però domandarsi: cosa resta di Galeno oggi? Possiamo ancora avvalerci in certo senso della sua eredità? Sul piano dottrinario, certamente, nulla o quasi pare persistere del suo insegnamento; e tuttavia...«se l'anatomia e la fisiopatologia di Galeno sono scienze caduche, altrettanto non può dirsi della “giusta misura” della sua medietas, del suo “stato di grazia” di medicus gratiosus, della sua teoretica ed etica di medicus philosophus. […] Dove Galeno rimane figura di riferimento esemplare, valida a tutt'oggi, è nel suo dire che “il miglior medico sia anche filosofo”» (pp. 167, 169).
Indice
Prefazione, di Véronique Boudon-Millot
Parte prima. Galeno: il medico filosofo, di Martino Menghi
1. Verso una rifondazione della medicina
1. Il grande lascito galenico
2. Vita e opere di un rentier dell'Asia Minore
3. Il medico, il paziente e la salute
4. La formazione di Galeno
5. Le sette mediche e la posizione di Galeno
6. I requisiti scientifici ed etici del buon medico
2. L'ideale della salute e il potere del medico
1. Un bene prezioso quanto precario
2. Il medico e il malato
3. Il medico autoritario di Galeno
3. Controllo e disciplina del soggetto: la terapia del corpo
1. Il regime alimentare
2. La temperanza erotica
4. Controllo e disciplina del soggetto: la terapia dell'anima
1. Galeno e il problema dell'anima
2. Il Quod animi mores
3. Il De affectuum dignotione
4. La testimonianza di un peripatetico
5. I rivoli carsici del pensiero
Parte seconda. Galenismo: un'ideologia di lunga durata, di Giorgio Cosmacini
1. Che cosa è il galenismo
2. Galeno: sopravvivenza od oblìo?
3. Oribasio, “scimmia di Galeno”
4. Ezio, “il continuatore”
5. “Iatrosofisti” nel nome di Galeno
6. Trapianto di Galeno nel cuore dell'Islam
7. Concordismo ebraico. “Avicenna e Galieno”
8. Corpus galenicum. Da Salerno a Toledo
9. Galeno in cattedra
10. Crisi del galenismo
11. Il ritorno di Galeno
12. Medicina nova?
13. La rivolta anti-galenica
14. Fernel, “Galeno redivivo”
15. L'“autore divino” di Harvey
16. L'oncologia galenica di Descartes
17. Pseudogalenismo cartesiano
18. L'eresia della ragione chimica
19. La medicina accende i lumi
20. Galeno, oggi
Indice dei nomi
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