Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 216, euro 16, ISBN 9788815125811
Massimo Mugnai presenta in questo volume una breve storia dei concetti di possibile e necessario, muovendo da Aristotele e giungendo sino alle trattazioni contemporanee della semantica e dell’ontologia dei mondi possibili. L’opera è suddivisa in nove capitoli, dedicati ai seguenti temi: il problema delle modalità nell’antichità, soprattutto in Aristotele e nella logica stoica (cap. 1); i concetti modali nel Medioevo (cap. 2) e in epoca moderna (cap. 3); l’introduzione delle nozioni di possibile logico (cap. 4) e mondo possibile (cap. 5);
il rapporto tra la definizione logica del condizionale e le modalità (cap. 6); da ultimo, appunto, la semantica (cap. 7) e l’ontologia (cap. 8 e 9) dei mondi possibili. L’idea che sembra emergere nella strutturazione del libro è quella di una svolta occorsa nella definizione del possibile allorché si afferma il primato della possibilità logica (intesa come non-contraddittorietà) sugli altri tipi di possibilità.
il rapporto tra la definizione logica del condizionale e le modalità (cap. 6); da ultimo, appunto, la semantica (cap. 7) e l’ontologia (cap. 8 e 9) dei mondi possibili. L’idea che sembra emergere nella strutturazione del libro è quella di una svolta occorsa nella definizione del possibile allorché si afferma il primato della possibilità logica (intesa come non-contraddittorietà) sugli altri tipi di possibilità.
Seguendo il resoconto di Mugnai, lo stesso Aristotele fornisce almeno quattro diverse interpretazioni della possibilità: un’interpretazione logica (possibilità intesa come non-contraddittorietà), che si affianca ad un’interpretazione “statistico-frequentista” (possibilità che qualcosa si verifichi nel tempo), ad una “diacronica” (per la quale un enunciato a è contingente ad un istante t1 se e solo se, ad un qualsiasi t precedente t1, è possibile che a sia vero a t1 e è possibile che a non sia vero a t1) e ad una “naturale” (per la quale è possibile ciò che è in potenza rispetto ad una qualche attualità). L’autore nota che “dagli scritti aristotelici che ci sono rimasti, non emerge il riconoscimento esplicito dell’esistenza di un significato di possibile in senso logico (cioè puramente non contraddittorio), distinto da possibile in quanto compatibile con gli eventi fisico-naturali del nostro mondo”, né “emerge l’idea di possibilità sincroniche, di possibili stati di cose o eventi che, pur non realizzandosi, ‘sussistano’, in un certo senso, accanto agli stati o agli eventi che sono divenuti attuali” (p. 15). Aristotele, poi, sembra sovrapporre il concetto di possibile al concetto di potenziale e tale sovrapposizione pare costituire una delle ragioni della mancata indipendenza del possibile logico dal possibile fisico-naturale e del mancato riconoscimento del meramente possibile. Dopo aver trattato del problema dei futuri contingenti, l’autore esamina le posizioni di Filone di Megara, di Diodoro Crono e di Crisippo, seguendo l’esposizione data da Boezio nel suo commento al De interpretatione aristotelico. Risultano particolarmente interessanti le pagine sul cosiddetto “argomento dominatore” di Diodoro Crono, che mira a dimostrare che “non ci sono proposizioni possibili che non sono o non saranno vere” (p. 42), cioè che tutte le proposizioni possibili sono ora vere o lo saranno in futuro, sì da escludere il meramente possibile.
Nel capitolo sulla filosofia medievale, Mugnai dedica un certo spazio alla distinzione abelardiana tra interpretazioni de sensu e de re della modalità, ispirata ad un passo delle Confutazioni Sofistiche di Aristotele. Un’interpretazione de sensu della modalità attribuisce possibilità e necessità alle proposizioni, mentre un’interpretazione de re le attribuisce a stati di cose del mondo e, in ultima analisi, a oggetti. Se io dicessi, ad esempio, che è possibile che “Socrate sia seduto”, affermerei che è possibile che accada ciò che è dice tale proposizione (possibilità de sensu), cioè attribuirei la possibilità alla proposizione “Socrate è seduto”. Nondimeno, se dicessi che “Socrate è possibilmente seduto”, attribuirei la possibilità non già alla proposizione “Socrate è seduto”, ma a Socrate stesso: affermerei, secondo Abelardo, che non vi è alcunché nella natura di Socrate che impedisca il suo essere seduto (possibilità de re), cioè determinerei il modo (“possibilmente”) in cui l’essere seduto è attribuito a Socrate (v. p. 66). Per Abelardo, la possibilità de re è più rilevante della possibilità de sensu, poiché afferma qualcosa del mondo. La distinzione tra possibilità de sensu e de re è storicamente importante, poiché sembra anticipare quella tra possibilità (e necessità) de dicto e possibilità (e necessità) de re, che è comunemente accettata nella logica modale contemporanea. Nello stesso capitolo, l’autore tratta anche delle posizioni di Guglielmo da Ockham, di Giovanni Buridano e dello Pseudo-Tommaso del trattato De modalibus.
Dopo un breve capitolo sulle categorie modali in alcuni autori della prima modernità (ad esempio, Lorenzo Valla e gli Scolastici moderni Domingo de Soto e Pedro da Fonseca), Mugnai analizza la nozione di possibilità logica introdotta da Duns Scoto e la relativa svolta nell’intendimento della modalità. La possibilità logica è intesa come non-ripugnanza tra idee e è svincolata da ogni riferimento al tempo. Essa precede la possibilità che un certo evento avvenga o non avvenga, che un certo ente diverso da Dio sia creato oppure no: è vero piuttosto il contrario, cioè che un evento può avvenire solo se è possibile logicamente che avvenga, che un ente non-divino possa essere creato, solo se è possibile logicamente che sia creato. Neppure Dio può modificare la possibilità logica di qualcosa. Il fatto che la possibilità logica scotista sia autonoma dalla temporalità ha importanti ripercussioni metafisiche e etiche: vi sono (benché non esistano) modalità non attuate, cioè il presente non è necessario, e si può fondare adeguatamente la contingenza e la libertà dell’agire umano distinguendo tra priorità temporale e priorità di natura (v. pp. 105-108).
Il quinto capitolo del volume è dedicato ai mondi possibili leibniziani, in particolare nelle loro connessioni con i concetti individuali, le monadi, e la distinzione tra tipi di necessità (logica e ipotetica) e tra analiticità e sinteticità. Si tratta di una pagina ben conosciuta della storia della filosofia, sulla quale non è il caso di soffermarsi qui, senza nulla togliere alla sua importanza. Nei due capitoli successivi, invece, Mugnai si volge soprattutto alla logica modale, allorché discute della distinzione tra condizionale materiale e forme più strette di implicazione (cap. 6) e la semantica dei mondi possibili (cap. 7). L’autore individua anzitutto, come precursore del condizionale materiale, il condizionale filoniano, che è vero se non si dà il caso che l’antecedente sia vero e il conseguente falso. In opposizione (o in aggiunta) al condizionale filoniano, già nell’antichità Diodoro Crono e Crisippo hanno proposto regole più strette di implicazione: il condizionale di Diodoro Crono, ad esempio, è vero se e solo se, per ogni istante temporale, non si dà il caso che l’antecedente sia vero e il conseguente falso, mentre il condizionale di Crisippo è falso se e solo se vi è un rapporto di incompatibilità tra antecedente e conseguente (v. pp. 129-130). In definitiva, il riferimento alle categorie modali consente di restringere il rapporto di implicazione. Così, per C. I. Lewis, l’implicazione stretta si dà allorché è impossibile che l’antecedente sia vero e il conseguente falso (v. p. 140).
I problemi connessi all’ontologia dei mondi possibili (cap. 8 e 9) sorgono allorché diviene legittimo quantificare sui mondi possibili: se dicessi, ad esempio, che è possibile che Mario diventi un atleta se e solo se vi è almeno un mondo possibile nel quale Mario è un atleta, dovrei interrogarmi sull’impegno ontologico comportato da quel “vi è”. Cosa è, dunque, un mondo possibile? Mugnai esamina brevemente alcune risposte a tale interrogativo, muovendo da un (imprescindibile) riferimento al pensiero di Saul Kripke. I mondi possibili possono dunque essere intesi come stipulazioni, rispetto alle quali l’appello alle proprietà essenziali ha funzione limitante (Kripke); come somme mereologiche di tutti gli individui che li compongono e come somme dotate di pari “dignità” ontologica (Lewis); come insiemi massimali e consistenti di proposizioni o come stati di cose massimali (Plantinga); come proprietà (Stalnaker); come ricombinazioni di elementi del mondo attuale (Armstrong); come finzioni.
Dopo aver presentato sinteticamente i contenuti del volume, desidero ora soffermarmi su tre temi trattati nel lavoro: il problema del meramente possibile, la distinzione tra possibilità de dicto e possibilità de re, la fondazione della possibilità de re nella natura degli oggetti. Come si è già scritto, non vi sono, propriamente, mere possibilità per Aristotele e per i filosofi antichi. Se, prima di un qualsiasi evento e che potrebbe verificarsi ad un istante t1, è possibile che quell’evento avvenga e è possibile che esso non avvenga, nell’istante t1, quando l’evento avviene o non avviene, la possibilità non attualizzata decade come possibilità, mentre la possibilità attualizzata diventa necessità. Ammettiamo ora che l’evento e avvenga a t1: diviene allora necessario a t1 che e avvenga a t1, mentre diviene impossibile a t1 che e non avvenga a t1. D’altro canto, assumendo un istante t0 che viene prima di t1, è possibile a t0 che e avvenga a t1, così come è possibile a t0 che e non avvenga a t1. Ora, data la definizione aristotelica di contingenza, e è contingente a t1, giacché vi è un istante temporale che precede t1 (l’istante t0) nel quale è possibile che e avvenga e nel quale è possibile che e non avvenga. Il problema è che, in questo modo, non è vero che tutto ciò che è contingente non è necessario: e è contingente a t1 e, parimenti, esso è necessario a t1. Se volessimo mantenere l’opposizione tra contingente e necessario, dovremmo affermare, semmai, che e è contingente a t0, ma che esso è necessario a t1. Si tratta di un evento contingente a t0, giacché è possibile a t0 che e avvenga a t1 e è possibile a t0 che e non avvenga a t1. Pertanto, per qualsiasi evento non dotato di necessità assoluta e per qualsiasi istante temporale, o non si dà il caso che, a quell’istante, quell’evento sia assieme contingente e necessario (sicché la definizione aristotelica di contingenza deve essere rivista), oppure si dà il caso che, a quell’istante, quell’evento sia assieme contingente e necessario (sicché bisogna ridefinire il rapporto tra necessità e contingenza). Rispetto a quest’ultimo punto, la contingenza si oppone allora alla necessità assoluta, ma non si oppone alla necessità condizionata. Cos’è però la necessità assoluta? Una proposizione è vera con necessità assoluta se e solo se è vera in ogni tempo. Un evento, per analogia, è dotato di necessità assoluta se e solo se è vero in ogni tempo che esso avviene (mentre è dotato di impossibilità assoluta se è vero in ogni tempo che esso non avviene). Riconsideriamo il nostro evento e. Dato che e è contingente, non è vero a t0 che e avviene a t1, ma non è neppure vero a t0 che e non avviene a t1 (e da qui sembra sorgere il problema dei futuri contingenti), mentre è vero a t1 (e ad ogni istante che segue t1) che e avviene a t1 e è falso a t1 (e ad ogni istante che segue t1) che e non avviene a t1.
Come si può concepire questo acquisizione a t1 del valore di verità “vero a t1” da parte della proposizione “e avviene a t1”? In primo luogo, tale proposizione non deve essere intesa come un’entità temporale: essa è situata nel tempo e, soprattutto, muta nel tempo rispetto alle sue proprietà. In secondo luogo, deve esistere anche prima del verificarsi di e, ché altrimenti non sarebbe concepibile l’acquisizione della nuova proprietà (non sarebbe possibile, cioè, affermare che essa prima non ha la proprietà di essere vera a t1 e poi ha questa proprietà). Se tale proposizione esiste, tuttavia, deve esistere anche l’evento e che ne fonda le condizioni di identità (e a cui si riferisce il costituente “e” nella proposizione “l’evento e avviene a t1”) e devono esistere tutti i costituenti dell’evento e. Ammettiamo ora che l’evento e sia la nascita di Socrate. Socrate non esiste prima di essere nato ma, perché si possa concepire il quadro appena descritto, occorre ammettere che Socrate esiste prima di essere nato! Come si può uscire da questa contraddizione? Sommariamente, si può ammettere che il costituente “e” nella proposizione “e avviene a t1” non si riferisce all’evento e, ma a qualcos’altro, oppure si può ammettere che alcuni costituenti di queste proposizioni si riferiscono a oggetti inesistenti.
Lo stesso problema si pone da un’altra prospettiva: quella della distinzione tra possibilità de dicto e possibilità de re. Canonicamente, non si può inferire dalla verità di “è possibile che Socrate sia un uomo” la verità di “Socrate è possibilmente un uomo”: se Socrate non esistesse, infatti, la prima proposizione potrebbe essere nondimeno vera, mentre la seconda risulterebbe falsa o insensata (giacché non esisterebbe Socrate, del quale dovrebbe essere veridicamente predicata la possibilità de re di essere un uomo). La possibilità de dicto espressa dalla prima proposizione sembra essere niente più che una proprietà della proposizione “Socrate è un uomo” (o dello stato di cose dell’essere uomo da parte di Socrate), e non è una proprietà di Socrate. Tuttavia, se Socrate non esistesse, a cosa si riferirebbe il costituente “Socrate” nella proposizione “Socrate è un uomo” e come sarebbero fondate le condizioni di identità di tale proposizione? Si possono riproporre, approssimativamente, le due strategie precedentemente analizzate. Ad ogni modo, rispetto alla distinzione tra possibilità de dicto e possibilità de re, vi è un interrogativo ancora più radicale: se si segue una delle due strategie, è ancora sensato mantenere tale distinzione o possiamo riconoscere, sulla scia di Abelardo, che la più autentica espressione della modalità consiste nell’ascrizione della modalità de re? Consideriamo ancora la proposizione “Socrate è un uomo”, cui ascriviamo una possibilità de dicto, e assumiamo che Socrate non esista. Se, seguendo la prima strategia e sfruttando la teoria delle descrizioni definite di Russell, il nome proprio grammaticale “Socrate” non si riferisce direttamente a Socrate, ma abbrevia una descrizione definita (“il filosofo Ateniese che fu maestro di Platone”, ad esempio) che, a sua volta, si riferisce ad una proprietà congiuntiva o ad una congiunzione di proprietà, si può validamente ritenere che l’ascrizione della possibilità de dicto alla proposizione “Socrate è un uomo” equivalga all’ascrizione di una possibilità de re alla suddetta proprietà congiuntiva o congiunzione di proprietà: quella proprietà congiuntiva o congiunzione di proprietà è possibilmente istanziata. Seguire la seconda strategia è ancora più immediato: Socrate, pur non esistendo, è comunque un oggetto, che può essere un uomo (possibilità de re), e ciò equivale all’ascrizione della possibilità de dicto alla proposizione “Socrate è un uomo”. Più precisamente: è vero che Socrate è possibilmente un uomo se e solo se è vero che è possibile (de dicto) la proposizione “Socrate è un uomo” - anche se Socrate non esiste.
Da ultimo, risulta particolarmente suggestiva la proposta di Abelardo di fondare possibilità e necessità (de re) sulla natura degli oggetti: “ciò che è possibile e ciò che è necessario viene definito in rapporto alla natura specifica (alla specie) dei singoli oggetti presi in considerazione” (p. 67). Se si tratta di essenze invece che di nature specifiche (laddove certamente le due nozioni non sono intercambiabili), si può scorgere un’anticipazione del tentativo di Kit Fine e di altri filosofi contemporanei di fondare possibilità e necessità, appunto, sulle essenze degli oggetti, piuttosto che fondare l’essenzialità o l’accidentalità di alcune proprietà per certi oggetti sul loro essere necessariamente o contingentemente istanziate da quegli oggetti.
In definitiva, come ho cercato di mostrare con alcuni esempi, mi sembra che il libro di Mugnai possa fornire una solida e accessibile base storiografica per l’approfondimento delle nozioni di possibilità e necessità e per la comprensione del loro utilizzo nella logica e nella metafisica contemporanea.
Indice
Introduzione
I. Le modalità nell’antichità: Aristotele e gli stoici
1. Aristotele
2. I futuri contingenti
3. Gli stoici
II. I concetti modali nel medioevo
1. Dall’antichità al medioevo
2. Il secolo XII e Abelardo
3. Gli sviluppi successivi
4. Guglielmo di Ockham e Giovanni Buridano
III. I concetti modali in epoca moderna
1. Contro i “barbari britanni”
IV. Il possibile logico
1. Il Dio architetto e la creazione del mondo
2. Duns Scoto e il possibile logico
V. Mondi possibili
1. “Analitico” e “necessario”: il problema della contingenza
2. Mondi possibili e “controfattuali”
VI. Condizionale e modalità
1. La disputa sui condizionali nella scuola stoica
2. Il “De hypotheticis syllogismis” di Boezio e la tradizione medievale
3. Dalla fine del medioevo agli inizi del secolo XX
VII. La semantica a “mondi possibili”
1. Calcolo degli enunciati e calcolo dei predicati
2. “Frames” e modelli
VIII. Ontologia dei mondi possibili
1. I mondi tra storie e stipulazioni
2. Il realismo modale
3. Il realismo moderato
4. I mondi come insiemi di “stati di cose”
IX. Deflazionisti, agnostici e modalisti
Conclusioni
Letture consigliate
Indice dei nomi
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