martedì 22 ottobre 2013

Leghissa, Giovanni, Neoliberalismo. Un'introduzione critica

Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 160, euro 14, ISBN 978-88-5751-406-2.

Recensione di Alessandro Baccarin - 13/06/2013

Il carattere strutturale della crisi economica occidentale ha generato, sul piano del dibattito, sia una letteratura volta al recupero e all'attualizzazione delle teorie marxiane (si vedano gli ultimi lavori di Gambino, Bevilacqua, ecc.), che una nuova discussione sull'attuale modello economico fondato su di una iperfinanziarizzazione del capitale. Il libro di Leghissa offre un nuovo importante contributo a questo piano discorsivo. Grazie ad un'analisi critica del modello neoliberale, condotta attraverso il sapiente utilizzo delle griglie ermeneutiche 

offerte dalla sempre lucida boite à outils foucaultiana, i meccanismi teorici neoliberali sono messi a nudo e decostruiti.
Per questo lavoro decostruttivo l'autore fa ampio utilizzo di concetti foucaultiani come governamentalità, biopolitica, condotta, ecc., concetti che nel loro insieme forniscono nuovi paradigmi di intellegibilità e di resistenzialità per l'attuale condizione neoliberale.  Attualità che, è necessario precisare, è stata da sempre l'obiettivo ontologico del lavoro filosofico di Michel Foucault. In particolare, con la svolta della metà degli anni '70, ovvero con il corso al Collège de France 1977/78 Sicurezza, territorio e popolazione, e quello del 1978/79 Nascita della biopolitica, nonché con la pubblicazione nel 1976 de La volontà di sapere, storia della sessualità 1, il neoliberalismo e la biopolitica diventano i poli di un lavoro finalizzato alla descrizione genealogica dei nuovi modelli di governamentalità e di soggettivazione operanti in occidente nel recente passato e nel presente, modelli che costituiscono i meccanismi intimi dell'attuale biopotere.
Non è un caso quindi che Leghissa inizi la sua analisi proprio da questi lavori seminali, sui quali predispone in via propedeutica la definizione di modelli e campi di applicazione. I primi due capitoli del lavoro sono dedicati, infatti, alla specificazione programmatica dell'oggetto d'indagine e degli strumenti di analisi. Rifiutando di fare una “storia delle idee neoliberali” (p. 9), secondo il noto rifiuto foucaultiano per la storia delle idee, il neoliberalismo viene definito come condizione piuttosto che come mero modello economico, condizione resa possibile dalla compenetrazione profonda fra vita e economia, fra gestione del vivente e condotte: «[...] nella condizione neoliberale che stiamo vivendo, si attua un legame indissolubile tra l'innesto della razionalità economica nel terreno da cui scaturisce il vivente e la sparizione del conflitto politico, per far posto a un ordine, definito “economico”, che si offre come naturale e quindi come non negoziabile» (p. 23).
Emerge allora la natura ibrida del neoliberalismo: vivente ed economico, politica ed economia si innestano ibridandosi. È erroneo, come ha sostenuto Habermas, ritenere che il neoliberalismo abbia privilegiato l'economico a detrimento del politico, che lo stato sia stato occupato dall'interesse economico in conseguenza di un processo erosivo a tutto vantaggio del mercato. In realtà il politico si è diluito nell'economico, dando vita ad un ibrido incapace di mediare il conflitto. Il Leviatano non è scomparso, si è semplicemente trasformato ibridandosi. Lo stesso bisogno primigenio di sicurezza, che è alla base della teorizzazione hobbesiana, si trasforma in calcolo del rischio, in calcolo economico. L'individuo alle prese con la condizione neoliberale si trova allora di fronte ad un desolato orizzonte, dove la sua vita diventa oggetto di calcolo economico, dove lui stesso è indotto ad utilizzare una tecnica del sé, un'antropotecnica (concetto questo che l'autore riprende esplicitamente da Sloterdjik) volta a definire ogni azione sul piano di un calcolo di rischio. Questa dimensione, dove l'incorporazione del vivente all'economico è divenuta parte di un senso comune (di un sapere implicito avrebbe forse detto Foucault), conduce dalla consapevolezza alla malinconia, alimentata giorno dopo giorno dalle innumerevoli vittorie del neoliberalismo, su tutti i fronti (non ultima la stessa gestione della crisi dei flussi finanziari iniziata nel 2008), e dalla malinconia al suicidio, coronamento di una trasformazione della vita a entità indistinguibile dal mercato, e da questi esigibile.
Se allora l'oggetto dell'analisi prende la forma di una condizione, ovvero diventa il risultato dell'iterazione continua fra le tecniche del sé e le soggettivazioni, i modelli utilizzati per l'indagine stessa devono essere capaci di mantenere quella diagonalità che manca, ad esempio, alle teorie marxiane del valore, che l'autore ritiene insufficienti per spiegare le attuali dinamiche di dominio. Gli effetti ermeneutici di questo atteggiamento sono immediati: indagare il neoliberalismo come un dispositivo, individuarne gli effetti di verità piuttosto che la natura, gli effetti di potere piuttosto che l'essenza, far emergere l'azione governamentale che ne è alla base, ovvero quella scaltra liquidazione di ogni separazione fra stato ed economia (in questo senso risulta inaccettabile per l'autore la prospettiva di una secolarizzazione neoliberale alla Blumenberg), in favore dell'actio in distans che è il vero centro del potere neoliberale.
La messa a fuoco tramite la lente foucaultiana permette allora di identificare il neoliberalismo come “quel luogo della trasparenza assoluta, una trasparenza che riposa nella piena intellegibilità del comportamento umano, inteso quale insieme di risposte fornite da un essere razionale che reagisce in modo economico a qualsiasi stimolo ambientale (p. 51)”. Punto di svolta e di trasparenza che porta in sé l'inconciliabilità fra interesse economico ed interesse per la sociabilità. Tuttavia, il paradosso vuole che il neoliberalismo, in quanto fondato sulla libertà del desiderio, sia un produttore insuperato di libertà. Come sottolineava Foucault, il liberalismo “consuma” la libertà da lui stesso prodotta, dimostrando la qualità produttiva del suo potere (lo spazio dei diritti ha registrato un incremento esponenziale proprio in concomitanza con il trionfo del modello neoliberale).
Una volta identificati gli oggetti e gli strumenti, nella seconda metà del lavoro (ovvero dal terzo capitolo in poi) l'autore apre un cantiere ermeneutico volto a decostruire la governamentalità neoliberale. L'azione decostruttiva è condotta direttamente sui meccanismi teorici del neoliberalismo, meccanismi sui quali viene svolta un'indagine di tipo genealogico. Grazie a questo approccio emerge la continuità fra liberalismo e neoliberalismo, evidente in quei campi di sapere individuati dalla psicologia sociale, dalle politiche della famiglia, ecc., grazie ai quali agli individui vengono attribuite condotte volte a trasformare gli stessi in imprenditori di sé, soggettivizzati come portatori di desiderio. Emerge inoltre un'immagine della globalizzazione quale specifica forma di governamentalità, produttrice di un'osmosi continua fra globale (mercati, competitività internazionale, ecc.) e locale (stati nazione, élite globali, ecc.), fra inclusione (l'élite transnazionale, le Business Schools, le metropoli globali modello Singapore, ecc.) ed esclusione (le masse produttrici, i centri per clandestini, ecc.), osmosi che crea allo stesso tempo la premessa per uno stato d'eccezione spaziale e comportamentale (l'autore richiama in proposito i lavori della socioantropologa statunitense Aiwa Ong).
Anche la Rational Choice Theory e la teoria delle organizzazioni, fondamenti teorici della scuola economica di Chicago e di ogni scuola di management, vengono sottoposte ad analisi genealogica. La prima viene definita da un'assenza e da una tecnica: l'assenza dell'idea di bene comune e la tecnica del sé che costruisce sull'individuo una condotta volta alla continua comparazione fra costi e benefici, il tutto in vista della realizzazione di desideri di natura unicamente egoistica. E se è la contingenza storica (la guerra fredda) a produrre la formulazione della Rational Choice Theory, è la comparsa di una nuova figura, l'homo administrativus, a determinare quel meccanismo di potere/sapere che è la teoria delle organizzazioni, modalità governamentale che presiede all'estensiva aziendalizzazione del sociale ed alla formulazione di un discorso, per dirla sempre con Foucault, che comprende studi di management, business schools statunitensi, cultura d'impresa, ecc.
Individuare, o semplicemente ipotizzare, la soluzione resistenziale per questa condizione è compito titanico, considerando anche la capacità di recupero manifestata dal neoliberalismo nel corso della sua storia. È in virtù di questa consapevolezza che l'autore indica solo alcune possibili direzioni di marcia. Direzioni che, coerentemente con la generale impostazione foucaultiana, vengono identificate all'interno delle stesse dinamiche di potere innescate dalla governamentalità neoliberale. Se il neoliberalismo è una paradossale fabbrica di diritti, allora le controcondotte sono possibili proprio su questo terreno: ripartire dall'universalizzazione dei diritti umani, secondo le linee tracciate da Thomas Pogge, e affidare il compito non certo all'élite transnazionale, incapace di autoriformarsi, come ha mostrato da tempo Stiglitz, ma ad un individuo desiderante. È infatti il desiderio, lo stesso che è al centro del neoliberalismo, il punto d'appoggio per il recupero. 
Desiderio di giustizia, sulla scia derridiana, capace di creare controcondotte che facciano fronte all'imperante assenza del limite che il frenetico e fantasmatico movimento finanziario globale induce nel soggetto etico. Desiderio che sia in grado di condurre alla costituzione di un soggetto desiderante dimentico dell'accountability e consapevole, secondo quelle priorità di giustizia tratteggiate da Martha Nussbaum e Amartya Sen, della posta in gioco politica della resistenza,. L'obiettivo è quindi decostruire il neoliberalismo nelle sue radici di governamentalità. Obiettivo che si sdoppia quando si tratta di intervenire sulle microfisiche: da una parte le microfisiche del mondo aziendale, laddove è proprio l'aziendalizzazione del vivente a porre le basi dell'attuale modello governamentale; dall'altra le microfisiche della vita sociale, dove ogni individuo è indotto a farsi imprenditore di se stesso, interiorizzando i conflitti e dissociandosi dalle responsabilità.
Contro il sotterraneo totalitarismo della governamentalità neoliberale forse è proprio un'agenda delle micropratiche e delle controcondotte che può condurre un'azione decostruttiva di quel sistema perverso, e tanto più perverso quanto più implicito, che ci vuole tutti imprenditori assoggettati ad un mero calcolo di costi/benefici.


Indice

Prefazione
Capitolo 1: L'oggetto perduto e il sogno di una cosa
Capitolo 2: Foucault, la governamentalità biopolitica e la genealogia del neoliberalismo
Capitolo 3: Il neoliberalismo come gestione di spazi locali e creazione di un nuovo ordine mondiale
Capitolo 4: Il discorso economico del neoliberalismo
Capitolo 5: Il mondo come organizzazione, ovvero come mettere al lavoro gli individui e trasformarli in imprese
Capitolo 6: Una conclusione provvisoria: la scommessa dei diritti globali

4 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Entro le nuove attuali condizioni liberali non totalitarie il tentativo di sfruttare il liberismo per antiliberalismo è sostenuto da ragioni antifilosofiche e subculturali, primariamente nella ignoranza della distinzione teorica, pratica, effettiva, originaria, tra etica liberale ed amoralità liberista, tra morale libertaria ed antieticismo libertino.
Queste confusioni però operano, attraverso le ideologie di massa e con la violenza generica delle masse, condizionamenti alla cultura e coinvolgono i discorsi filosofici stessi, perché la stessa nuova ostilità dal Meridione del mondo sostiene etnofobicamente la subculturalità in Occidente profittando di abbandoni politici-etnici, che sono stati assai frequenti nelle sinistre politiche europee e che ancora adesso accadono.
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)
La filosofia politica che voglia continuare proprio corso deve tener conto dei fatti anche nel valutare il solo neoliberalismo, perché senza sufficiente valutazione storica non si possono intendere neppure le ragioni e le facoltà delle relative organizzazioni economiche politiche, che sono strutture in divenire non divenire di strutture, perché le scelte economiche e la decisione politica restano cose distinte.

La fondamentale matrice liberale dell'Occidente politico istituzionale escogitò il liberalismo quale difesa istituzionale ed ha escogitato il neoliberalismo quale difesa delle proprie istituzioni politiche. La prima difesa fu esposta alle critiche del socialismo reale ed alle ostilità del comunismo totalitarista, fino alla dissoluzione della Unione Sovietica con la vittoria politico-economica-militare del blocco occidentale. Con la disintegrazione dei due grandi blocchi della Guerra Fredda, è restata una corrispondente divisione politico-economica basata su antagonismo economico-politico, che ha per poli fondamentali gli Stati Uniti d'America e la Repubblica Popolare Cinese. Ma tale polarità, pur attuandosi per coinvolgimenti diretti ed indiretti su scala mondiale, non ebbe, sin da suo inizio, il sostegno fondamentale della nuova Russia ed è sottoposta alle azioni della politica globale che accade secondo certa ideologica imprevedibilità e sicura schematica impossibilità. In tale quadro la lotta tra antiglobalismo e globalismo è marginale ma non necessariamente inessenziale ed a sua volta questo ultimo più ampio quadro è esente da pericoli totalitari ed esenta suo quadro interno dal rischio di una distruttiva omologazione. I poteri locali si assicurano forza ed i poteri globali ne sono secondari, conferendo stabilità al sistema politico mondiale. In questa situazione generale non c'è spazio per nuovi totalitarismi comunisti ed il pensiero marxiano è politicamente del tutto vano e socialmente costituisce un oggetto per conquiste e per ditruzioni politiche-culturali senza alcuna concessione oramai (siamo in anno 2019 d.C.) alle decostruzioni filosofiche-politiche.
In queste vicende di umanità politica si era inserito il liberismo, questo certamente decostruibile ancora oggi ma solo per ciò che resta dopo la fine del "grande sogno americano" col finire stesso, diverso, della Geurra Fredda, accaduto con una concomitante ed indipendente costruzione politica, non ex-sovietica-post-sovietica né extra-sovietica, perché del potere politico-economico dei Soviet non fu dato sèguito determinante economico-politico ma altra autonoma successione solo economica. Per quanto l'avvicendamento si compisse solo intorno ad anno 2012 per tutte le sterminate zone della Ex Unione Sovietica, esso era politicamente determinato già in anno 1989. Venute meno le occasioni di espansioni politiche americane nel mondo della ex Guerra Fredda, il liberismo da pericolo estremo o nemico peggiore interno del Blocco Occidentale capitalista (pericolo in America Settentrionale e nemico in Europa Ovest), regrediva a rischio persistente ma non maggiore in stesso Occidente, mentre nuovi conflitti su scala mondiale si rivelavano indirizzati dal Sud del mondo verso il Nord dell'Orbe terraqueo, già da prima del termine della guerra tra comunismo e capitalismo.
...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE:
...

Il cumunismo aveva tentato invano di usare il liberismo per provocare paralizzanti od autodistruttivi eccessi di potere nel nemico e sconfiggerlo, quindi ugualmente il restante velleitario postcomunismo marxiano o marxista tenta di usare l'attuale rischio del liberismo per destabilizzare le istituzioni liberali dell'Occidente. Nonostante non vi sia alcuna forza propria e distruttiva in questo tentativo, tuttavia ad esso ne fornisce la nuova ostilità che dal Meridione del mondo viene mossa verso il Nord del mondo; eppure i sistemi di politica globale impediscono il degenerare di tali ostilità e quindi pregiudicano fatalmente gli stessi tentativi totalitari postcomunisti.
Dopo la fine del comunismo politico sovietico la dissidenza liberalcomunista cubana si trasformò in regime di garanzia statale e la estrema sinistra europea, che approdando a radicalismo ed antagonismo aveva costruito neocumunismi non totalitari né rivoluzionari, abbandonò del tutto l'antiliberalismo. In Polonia, Francia ed Italia ed in Germania il totalitarismo comunista fu variamente estromesso dal contrasto politico, e cioè: divieto di formazioni partitiche perché contrarie a poteri già statali in Polonia; divieto di propaganda politica perché già note le condizioni passate e conseguenze future totalitarie di esso in Francia; divieto di coinvolgimenti istituzionali (si ricordi della vicenda politico-militare-giudiziaria detta GLADIO) perché contrari alle facoltà comunali molteplici già dello Stato in Italia; divieto di manifestazioni politiche di protesta perché eccessive cioè non corrispondenti alle limitatezze dei poteri statali, in Germania. Tali divieti accaddero per riassetti statali e nei luoghi della ultima più grave rimostranza totalitaria comunista, ma anche altrove in Europa meno duramente accadde lo stesso.

MAURO PASTORE

Ludovico ha detto...

Non so chi è più segaiolo: l'autore del libro o il recensore!!!