Torino, Einaudi 2013, pp. 233, Euro 21, ISBN: 978-88-06-21111-0.
Roberto Esposito fa parte di quel piccolo gruppo di filosofi italiani che possono vantare un riconoscimento internazionale sia dal punto di vista della diffusione a stampa delle opere sia da quello dell'influsso teoretico esercitato. In particolare all'interno della riflessione dedicata alla filosofia politica, Esposito rappresenta un caso più unico che raro, essendosi fatto strada nel dibattito contemporaneo con opere di caratura indiscussa, in cui all'estrema padronanza della storia del pensiero e del diritto
si associano la profondità e la novità delle idee sviluppate. In questo senso, Due non fa eccezione. In un percorso breve ma densissimo Esposito ricostruisce con chiarezza d'intenti dapprima le difficoltà teoriche legate a qualsiasi discorso sul tema della teologia politica, per poi addentrarsi nell'intricato dedalo di strade e direzioni che, nella storia del pensiero occidentale, hanno portato alla teorizzazione della teologia politica così come questa emerge dal dibattito novecentesco. Un ruolo centrale è affidato però anche a quelle viuzze che, a volte insabbiate e criticate nel corso della storia, sono tornate in auge negli ultimi anni della filosofia contemporanea proprio per la loro funzione di contestazione della “macchina” teologico-politica. A partire da queste viuzze Esposito traccia la propria posizione, che tuttavia in quest'opera rimane più legata allo sguardo genealogico e storico che non all'effettiva edificazione di nuove strutture politiche o filosofiche, cosa che del resto l'Autore ha già ampiamente svolto sotto i nomi di “biopolitica” e “pensiero dell'impersonale”.
si associano la profondità e la novità delle idee sviluppate. In questo senso, Due non fa eccezione. In un percorso breve ma densissimo Esposito ricostruisce con chiarezza d'intenti dapprima le difficoltà teoriche legate a qualsiasi discorso sul tema della teologia politica, per poi addentrarsi nell'intricato dedalo di strade e direzioni che, nella storia del pensiero occidentale, hanno portato alla teorizzazione della teologia politica così come questa emerge dal dibattito novecentesco. Un ruolo centrale è affidato però anche a quelle viuzze che, a volte insabbiate e criticate nel corso della storia, sono tornate in auge negli ultimi anni della filosofia contemporanea proprio per la loro funzione di contestazione della “macchina” teologico-politica. A partire da queste viuzze Esposito traccia la propria posizione, che tuttavia in quest'opera rimane più legata allo sguardo genealogico e storico che non all'effettiva edificazione di nuove strutture politiche o filosofiche, cosa che del resto l'Autore ha già ampiamente svolto sotto i nomi di “biopolitica” e “pensiero dell'impersonale”.
Qual è dunque la difficoltà teoretica che sottostà ad ogni discorso che voglia affacciarsi sulla teologia politica? Ogni tentativo di fare di essa un “oggetto” di discorso sbaglia in partenza, poiché qualsiasi discorso moderno in quanto tale è già preso nel lessico e nell'orizzonte stesso di quell'oggetto di cui vorrebbe trattare: la nostra «inerenza al fenomeno che vorremmo interpretare» (p. 3) impedisce qualunque scarto teorico che permetta di parlarne in modo oggettivo. La teologia politica è insomma l'orizzonte stesso all'interno del quale ogni discorso della modernità deve necessariamente avere luogo. In questo senso la teologia politica ben si associa all'idea heideggeriana di Gestell, o macchinazione, secondo cui l'essenza della tecnica coincide con l'orizzonte del discorso all'interno del quale si cercherebbe di coglierla (p. 20). Simile ad un dispositivo nel modo in cui lo teorizza Foucault dunque, la teologia politica tende ad assorbire al proprio interno qualsiasi istanza. La sua struttura può essere descritta al meglio come un'istanza di «assimilazione escludente»: «essa funziona precisamente separando ciò che dichiara di unire e unificando ciò che divide mediante la sottomissione di una parte al dominio dell'altra» (p. 5). Nella macchina della teologia politica v'è allora «presenza del Due all'interno dell'Uno, la prepotenza di una parte che si vuole tutto cancellando l'altra» (p. 5).
Questo «paradigma antinomico» (p. 30) è discusso dall'Autore prendendo in considerazione alcuni snodi centrali della riflessione politica. La questione della dualità unificante della macchina teologico-politica è snocciolata attraverso le opere di Hegel, Weber, Schmitt, Bataille, Kantorowicz, Peterson, Taubes e Assmann: indicando la sua presenza attiva, seppur con accenti diversi e con diversi gradi di consapevolezza, in tutti questi autori, Esposito mostra con efficacia le difficoltà legate ad ogni tentativo di uscire dalla dualità teologico-politica, in quanto ogni discorso che pretenderebbe di rovesciarlo (come l'idea di “secolarizzazione”) non fa che servirsi, seppure per contrasto, di quello stesso vocabolario e di quegli stessi concetti di cui cerca di disfarsi. Accostata provocatoriamente alla figura del katechon paolino (p. 85), cioè a quell'elemento che rallenta o differisce l'apocalisse e dunque il crollo della società, la macchina della teologia politica si configura precisamente come l'istanza precipua contro cui il pensiero di Esposito vuole fare «resistenza» (p. 89). Una tale resistenza passa allora per prima cosa attraverso la decostruzione del suo «dispositivo prevalente» (p. 89), la categoria di persona, che di fatto sostiene e legittima il discorso teologico-politico.
Proprio la necessità di una indagine decostruttiva e genealogica del termine “persona” conduce dunque il lettore nelle vicinanze di alcuni momenti fondamentali del suo sviluppo, dalla nascita (rinvenuto nell'Adversus Praxeam di Tertulliano) fino alle posizioni della moderna bioetica liberale (come sono sviluppate e difese in Singer e Engelhardt) passando per il diritto romano, Agostino, Hobbes, Locke, Kant e Hegel. Il rinvenimento più notevole di questa disamina è che il concetto di persona sottostà alla stessa dualità escludente-includente propria della teologia politica: a diversi livelli e in modi diversi, il concetto di persona finisce per declassare e dunque impadronirsi (includendolo con ciò al suo interno) di ciò che persona non è, ad esempio di quanto è escluso dal diritto in quanto sub-persona o non-persona. Proprio sul «punto di sovrapposizione» (p. 150) tra persona e non-persona, cioè in questo caso tra la persone e la “cosa”, va situato il concetto di “nexus”, che rende più sfumati i confini di corpo e patrimonio in una dialettica creditizia che mostra il ruolo economico della teologia politica. Se la persona è considerata come quel “corpo” particolare che è dotato di pensiero, cioè di una parte sovrasensibile, la macchina teologico-politica funziona proprio manipolando la divisione tra chi pensa e chi no a favore di una maggiore o minore inclusività o esclusività.
È in questo senso allora che la pars construens del saggio cerca un confronto diretto con la tradizione del pensiero occidentale proprio sul tema del posto del pensiero, andando a rintracciare i tentativi di sfondare il monopolio (che è in sé anche un duopolio) teologico-politico. Solo l'estrinsecazione – o meglio: l'impersonalità – del pensiero rende possibile, secondo Esposito, resistere al lessico teologico-politico, disarcionando la categoria di persona come unione di un corpo animale e mens dotata di imputabilità giurico-politica. Dunque è in Averroè che Esposito ritrova un primo tentativo di rendere impersonale il pensiero: un tentativo di opposizione e resistenza al carattere assoggettante della macchina che, proprio in quanto tale, non poteva non condannare l'autore ad un destino duro, il rogo pubblico delle sue opere e la feroce campagna denigratoria cui è stato sottoposto (cfr. p. 156). Punto centrale di questa riflessione in una certa misura “eretica” rispetto alla tradizione soggettivistica occidentale è che, a partire da un commento al De Anima di Aristotele, il pensiero non viene situato all'interno della persona, ma al suo esterno, come intelletto comune cui ogni individuo può accedere nello stesso modo in cui si acquisisce una capacità o un'abilità. L'uomo non è allora più tanto una persona in quanto soggetto di pensiero, ma piuttosto in quanto soggetto al pensiero, di un pensiero che sta fuori di noi (p. 163). La serie degli “eretici” che hanno a più riprese bollato la categoria di persona risale dunque attraverso Giordano Bruno, Spinoza, Schelling, Nietzsche e Bergson arrivando a Deleuze, alcune posizioni del quale sono dichiaratamente apprezzate dall'Autore come un'autentica breccia nella macchina che potrebbe permettere di ritrovare un lessico diverso per pensare l'attuale situazione politico-economica. Salta agli occhi in questi passaggi l'assoluta mancanza di qualsiasi confronto con il pensiero di Derrida, che pure soprattutto negli ultimi anni ha sempre più virato verso tematiche etiche e politiche che non sarebbero estranee alla riflessione di Esposito, tanto più che l'idea stessa di decostruzione è centrale, dal punto di vista metodologico, in molti passaggi di Due.
È invece proprio Deleuze, così ci sembra di poter leggere le ultime pagine del testo, ad aprire una nuova prospettiva teorizzando «l'infinita proliferazione» della macchina in continue «macchine di macchine» (p. 211) cui non è possibile sottrarsi. Al centro del tentativo di opposizione, comune, seppur con accenti diversi, a Esposito e Deleuze, non sta dunque la necessità di ribaltare la macchina, poiché ogni rovesciamento (come per il platonismo di Nietzsche) rimane sempre platonismo, ma piuttosto il tentativo di «penetrare criticamente» (p. 212) nei suoi meccanismi, non lasciando che la politica si faccia assoggettare, nel panorama contemporaneo, dall'economia, così come in passato lo era stata dalla teologia. Non però imponendo il primato politico, appunto, ma per mezzo di una «decostruzione interna» (p. 213) liberandone «il potenziale energetico» (p. 213), oppure invertendo gli ingranaggi della macchina pur stando al suo interno (p. 214). Il piano d'immanenza deleuziano, cui non corrisponde alcuna trascendenza, «smonta il meccanismo teologico» (p. 215) e apre all'impersonale in quanto «mobilità eterogenea della differenza» (p. 215). L'impersonale è allora l'autentico posto del pensiero, facendo implodere il soggetto dall'interno e decostruendo così le basi del diritto e della politica: «se il soggetto non è lo stesso di quello che era, perché solcato e moltiplicato da un'ininterrotta alterazione, vuol dire che non è interamente sussumibile nell'ordine della legge» (p. 216).
Qui, in un soggetto incapace di imputabilità giuridica e in un pensiero fuori dal soggetto («ma anche fuori di se stesso», p. 218), si trova la conclusione che è anche un esordio, poiché rimane senz'altro un «compito a venire». Questo consiste nell'esplicitare a fondo la tematica di una comunità impersonale costruita attorno ad un pensiero decentrato e di una economia politica che trasformi il debito (pubblico o sovrano che dir si voglia), cioè il nexum, in un munus che solo renderebbe il «servus compiutamente liber» (p. 228).
Indice
Introduzione
Passaggio: Gestell
I. La macchinazione
Passaggio: Katechon
II. Il dispositivo della persona
Passaggio: Nexum (teologia economica I)
III. Il posto del pensiero
Passaggio: Debito sovrano (teologia economica II)
Indice dei nomi
3 commenti:
Senza dubbio il caso inquadrato da recensione di Diego D'Angelo e da opera recensita di R. Esposito deriva sua ragion d'essere non da medesimo trattato teologico-politico di B. Spinoza anzi per rifiuto ne sussiste.
Tuttavia tal caso a differenza di tempo addietro si avvale di concetto filosofico contemporaneo di recente esigua comprensione e recentissima ignara non esigua diffusione, l'heideggeriano riferimento a "la Macchinazione", attraverso cui Heidegger stesso esponeva sorprendenti rapporti remoti tra facoltà religiose e poteri tecnologici.
In particolare nella continuità ' ecclesio - tecno - teo - logica ' l'isolamento di religiosità e spiritualità da socializzazione ed acculturazione che da Epoca Barocca fino a Età del Romanticismo aveva caratterizzato anche appartenenze e partecipazioni politiche era solo virtuale infine pressoché nullo, mentre ateismo od agnosticismo si contendevano le restanti relazioni poi assieme ne facevano mezzo di alternativa opposizione a politica religiosa occidentale, senza che nuove premesse ne avvalorassero e con l'altre possibili estranee finanche nemiche di convivenze politiche extra-occidentali.
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MAURO PASTORE
A fondamento della immane opposizione antireligiosa, in periodo eversivo di collaborazione politica nonché filosofica tra Marx ed Engels in maggior intraprendenza ed influenza culturali ed intellettuali, v'era una interpretazione soggettiva e senza oggettivazione realmente possibile della Etica spinoziana, soggettività filosoficamente insostenibile ma non politicamente in filosofia introdotta per antifilosofia latente, nulla in atto ed in potenza eventualità reale non in effetto però, proposta decostruttiva-distruttiva di codificazione culturale perché immanenza del Mistero oggetto di culto monoteista fosse non ulteriormente formulabile né altrimenti, per considerazione determinista di causalità etica ed assoluta ma senza che dal considerare si avvalorasse alcunché evitando le critiche altrimenti annichilenti ed anzi con altre: affermazioni di concezione cosmologica meccanicista e di cosmica indifferenza e di occultatezza di stesso Mistero in meccaniche cosmiche presente; tal critica neanche filosofica se non a sua volta considerata-interpretata a ritroso e ad esterno di Occidente culturale fino ad apporne premesse forti ed attive ma oppositive.
Da tali polemiche, inconciliabili premesse, risultava inaccettabile che l'Infinito etico-conoscitivo spinoziano fosse identità del Dio di monoteismi occidentali; e la giustezza delle corrispondenze tra leggi naturali e ciclicità cosmiche assolutamente imposta ad attenzione da stesse premesse era relativamente riespressa-affermata da premesse medesime! Queste eran fatte di intuizioni panteiste senza dubbio più significative di occidentali e prive di veti politeisti o monoteisti ma secondo convivenze religiose parzialmente possibili in ambienti eurasiatici ed impossibili in europei datoché nette distinzioni necessarie per utilità religiose europee. Ma queste sostenute da entusiasmi di provenienza e non originaria più occidentale, da America, da ove peraltro culture ultraorientali, non fu possibile che necessità di distinzioni si affermasse in continuità; sicché da idea atea su immanentismo spinoziano, questo insostituibile filosofema per intero Occidente, si diffondeva concetto determinista-causalista, cui difformità da cotal idea non ne disintegrava dualità ne riformulava e relativizzando e potenziando medesima opposizione, esterna:
allora il medesimo trattato teologico politico di Spinoza ne era oppositivamente accantonato da vasta parte di acculturati.
Nonostante ciò da altre “correnti culturali" ed occidentali a tal Trattato era premessa decifrazione sufficiente dei contenuti della Etica ad esso connessa-annessa, entro cui si mostrava chiaramente la Causa qual infinita scaturigine od origine e non determinante nemmeno un determinare neppure viceversa e solo in corrispondenza a ineluttabilità e necessità per determinazione Essa sussistendo per ciascuna decisione valida od ogni accettabile.
Le geometriche mirabilie dell'opera "Etica" di Spinoza erano ancora concomitanze mentre il marxismo si componeva e diffondeva in Europa ed Occidente nonostante abbandono di Marx stesso ed a costui pure avverso, opponendo aritmetiche progressioni di relazioni di studi, fantasmagorie nemiche a politica filosofia occidentale indi globale: inversi, mondialisti assoluti (post-hegelisti) contro scopi occidentali - globali! Il portoghese, neocristiano, cittadino olandese Spinoza non ne era stato ignaro, giacché dagli universalismi postcolombiani e da nuove ed antiche culture arabe aveva da far coincidenza di Reunione di umanità (attraverso le nuove vie dei possibili contatti) con Reunificazione dell'umana cultura (secondo attese di Navigazioni): rispetto a sua attività di orologiaio i meccanismi linguistici di sue dimostrazioni 'geometriche' sovraordinati e di cui terrestrità, oltre che originarietà storica di condizioni stesse, era motivazione corrispondente ad altre ignote pur uguali.
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MAURO PASTORE
Già prima della azione filosofica-intellettuale di Heidegger, in Germania si discuteva di origine cristiana-calvinista del Capitalismo quale s'era configurato in opposizione a Comunismo, ma ciò autenticamente serviva per mostrare non universalita eppur coerenza di autentico regime capitalista, che vigeva legittimamente per relazioni economiche-politiche - economiche tra Paesi caratterizzati da forza politica ed organizzazioni economiche di matrice o ascendenza calvinista ed altri a questi in relazioni; purtroppo però inautenticamente intolleranza comunista nonché irreligiosa ne volle fare affermazione per riduzione, secondo scientismo e positivismi antisociologici ed antiscientifici... Nel frattempo in Italia tal contenzioso rappresentava occasione per riaffermazioni di cultura filosofica aristotelica, stessa refutata durante sua precedente manifestazione in Evo Di Mezzo da Impero d'Occidente federiciano, interessato a saperne dunque a contrastarne perché tal cultura consistendo in latineggiante riduzione ed in latinismi - nozionismi a far da omologhi ed impedendo così le sintesi latine di veri aristotelismi filosofici, codesti volti a superare l'averroismo rifiutando espressività non affermatività averroista, invece gli omologhi contrastando forza d'evidenza di averroismo, ma potendolo fino a che quel superamento non disintegrava le omologie fattesi linguisticamente vane o nulle quindi non da antiaverroismo né da averroismo nascendo potenzialità filosofiche della nuova lingua italiana allora in formazione... Di ciò molti non interessati a esistenza culturale italiana avversando presente e futuri epperò l'avversione ridotta a indebita confusione sempre più subculturale... fino a che appunto, durante Modernità, la fine di codesta stessa subcultura ripresentava nuova possibilità di antagonismo, tra studi aristotelici non specificamente italiani e studi post-rinascimentali... possibilità di cui quei contrasti culturali in Germania, indebolendo unità futura occidentale, appunto davano evenienza impensata!
Ma le cosmologie latine-aristoteliche descrivendo energia motrice totiagente-onnipresente non ne affermavano meccanicità solo effettivi meccanismi diffusi né scaturigini di effetti che meccanismi diversamente fosser, né originale pensiero greco postulando alcunché di ciò perché ipostaticamente procedendo non sostanzialmente indicando, quest'ultimo invece essendo dei latinismi restati senza destino in Medio Evo ed ai tempi della sociologia di Max Weber in Germania con destinazione eventuale ed ulteriore!
Si attuava in Secolo Ventesimo dopo Cristo una "macchinazione" anche culturale, avversa a lingue nazionali moderne europee sorte da eventi anche religiosi medioevali, costituita da unirsi di molteplici fattori, accadimenti in realtà disparati ed altrimenti disperati se non per coincidenze sussistenti, senza vera greca origine ma illudendone.
Questa macchinazione, quando autenticamente teologica-politica, era relativa ad evento coincidenziale, unificazione di determinismo-causalismo moderno con causalismo-determinismo post medioevale; in quanto tale mantenuta vitale servendo ad annullar peggiori coincidenze e se stessa, data forza di impatto spropositata delle ideologie di massa comuniste-marxiste - totalitarie... — Ma non era volta ad impedir ciò la inibizione decostruttiva postmoderna, neanche quella nota francese, bensì a sottrarre pretese economiche su persone stesse e sottraendo non inibendo politiche religiose anzi mostrando che, vinte quelle economiche pretese, non aveva più senso valutare i veti marxisti alla religione ed aveva senso annullarne.
MAURO PASTORE
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