mercoledì 22 gennaio 2014

Menin, Marco, Il libro mai scritto. La morale sensitiva di Rousseau

Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 374, euro 30, ISBN 978-88-15-24145-0.

Recensione di Debora Sicco – 08/11/2013

Il libro mai scritto a cui allude il titolo del volume di Marco Menin è La Morale sensitive ou le Matérialisme du sage, opera progettata e mai compiuta, in cui Jean-Jacques Rousseau si era proposto - come egli stesso riferisce nel IX libro delle Confessions - di approfondire la complessa questione del rapporto tra physique e moral dell’uomo, al fine di scoprire come mettere al servizio dell’ordine morale ciò che talvolta lo perturba. Nel suo saggio Menin, prendendo spunto dalla sfida lanciata da Étienne Gilson in una conferenza del 1932 e mai davvero raccolta,

tenta una ricostruzione della teoria della morale sensitiva, basandosi su un’attenta rilettura degli scritti – compresi quelli minori e solitamente trascurati – di Rousseau, e confrontandosi con i temi fondamentali della sua antropologia. L’aspirazione di Jean-Jacques a chiarire modalità e possibilità del rapporto fra sensibilità e morale, per quanto non realizzata in uno scritto specifico, permea infatti l’intera sua opera ed è – come già Gilson aveva notato -  una chiave per interpretarne il pensiero.
Dopo Gilson, che ha individuato nella Nouvelle Héloïse una sorta di applicazione della teoria della morale sensitiva (il metodo di Wolmar altro non è che un tentativo di agire sulle passioni attraverso le passioni stesse),  il primo a soffermarsi in maniera degna di nota sul problema della morale sensitiva è stato, vent’anni dopo, Pierre Burgelin, in un capitolo della sua monografia La philosophie de l’existence de Jean-Jacques Rousseau. La tesi sostenuta da questi due studiosi, secondo cui il progetto della morale sensitiva si troverebbe realizzato in opere più o meno coeve, è stata generalmente accettata, così come è stata generalmente riconosciuta la sua importanza, benché ciò non abbia ispirato ricerche particolarmente significative. La maggior parte degli interpreti, infatti, si è limitata a mostrare l’applicazione del disegno rousseauiano in altri scritti, nonché a cercarne una legittimazione riconducendolo a una determinata tradizione filosofica (alcuni hanno ritenuto che a prevalere fosse l’influenza empirista o sensista, altri quella cartesiana o addirittura materialista). Fanno eccezione alcuni studiosi (Starobinski, Besse, O’Hagan), che hanno cercato di dimostrare come la mancata stesura dell’opera costituisca una prova dell’impossibilità di realizzarla. 
In ogni caso, nemmeno la pretesa irrealizzabilità del libro sul materialismo del saggio costituisce una valida giustificazione per liquidare la questione: come appare chiaramente dalla monografia di Menin, si tratta di un’esigenza sempre presente alla mente del Ginevrino, a tal punto che sembra più che legittimo considerarla una linea-guida della sua riflessione. Negli scritti rousseauiani, infatti, si trovano molte tracce dei suoi tentativi di realizzare il progetto concepito, nonché del persistere del suo interesse per la morale sensitiva: ancora in uno degli ultimi di essi, precisamente nella ventisettesima carta da gioco, l’espressione ricorre per ben due volte in poche righe. La filosofia, insomma, non può fare a meno di occuparsi del rapporto tra sensibilità e morale, ma per farlo adeguatamente deve evitare sia di impantanarsi nell’insoddisfacente dualismo cartesiano sia nel pericoloso riduzionismo materialistico, a Rousseau decisamente inviso. 
La prima delle tre parti in cui il volume di Menin si articola è dedicata all’inquadramento del progetto rousseauiano nella cultura del suo tempo, nonché all’individuazione degli autori e delle correnti di pensiero che lo hanno influenzato. La riflessione e la discussione sui rapporti esistenti tra la componente fisica e quella morale dell’uomo era all’epoca assai diffusa, non solo in ambito filosofico (basti pensare a Condillac, Diderot, Helvétius, autori tanto importanti per la formazione di Jean-Jacques), ma anche in ambito medico (si può citare ad esempio Bonnet) e letterario (compare, fra le altre, nell’opera di Louvet de Couvray). Oltre all’idea che le circostanze esteriori esercitino sugli individui un’influenza non trascurabile - talvolta positiva talaltra negativa - nel Settecento era comune la fiducia - di ascendenza rinascimentale - nella possibilità di modificare la natura umana, in particolare attraverso l’educazione, di cui Locke aveva già sottolineato le potenzialità e l’importanza nei suoi Some Thoughts concerning Education (1693). 
L’indagine sulla morale sensitiva risponde pertanto a un’esigenza propria non solo di Rousseau, ma anche di gran parte dei suoi contemporanei. Egli la affronta però in modo peculiare, facendo propri due approcci solitamente ritenuti incompatibili, quello sensista o «psicologico» e quello fisiologico, e cercando di superare i limiti di entrambi. Il primo si richiama al pensiero di Locke e Condillac, il secondo a quello di Descartes e alle letture che ne sono state date, in particolare da parte degli iatromeccanicisti, da Malebranche e da Lamy. Mentre i due oratoriani, nonostante la diversità delle loro posizioni, si sono soffermati entrambi sulla problematica questione del rapporto tra anima e corpo, gli iatromeccanicisti hanno invece posto l’accento quasi esclusivamente sulla dimensione fisiologica, contribuendo al passaggio dalla bête machine di Descartes all’homme machine, modello dei materialisti. 
L’avversione per il materialismo riduzionistico e per l’ateismo che ad esso consegue induce Rousseau a polemizzare non solo con lo iatromeccanicismo, ma anche con quella filosofia che nel materialismo sfocia quasi impercettibilmente, ossia il sensismo dei suoi contemporanei. Il confronto con quest’ultimo rappresenta per Rousseau una sfida particolarmente ardua: egli, infatti, ne ha assimilato profondamente i presupposti, anche attraverso l’assidua frequentazione, a Parigi, di Condillac – che aveva conosciuto a Lione, quando lavorava a casa di suo fratello Mably come precettore – e di Diderot. A questo proposito, l’asserzione dell’equivalenza fra sentire ed esistere, nell’Émile, è emblematica. Date queste premesse, non si tratta di rinnegarle, bensì di trarne conclusioni diverse: l’approdo non dev’essere il materialismo tout court, bensì il suo superamento, il materialismo del saggio.  
Rousseau, infatti, pur opponendo un reciso rifiuto a ogni prospettiva riduzionistica, era perfettamente consapevole dell’influenza esercitata dalle circostanze esteriori sull’interiorità, nonché delle inevitabili ripercussioni della componente fisiologica su quella morale, sperimentate in prima persona attraverso le malattie che lo tormentarono nel corso della sua esistenza. Non è dunque la rilevanza dell’economia animale a essere messa in discussione, bensì l’atteggiamento assunto nei suoi confronti: anziché limitarsi a constatarla, occorre trovare il modo di porla al servizio dell’ordine morale. Questo è ciò che il saggio cerca di fare, avvalendosi dell’indispensabile conoscenza delle leggi di natura sia per riconoscere tale ordine sia per promuoverlo, attraverso un’opportuna pianificazione delle circostanze che influiscono su di esso. Insomma, «nulla vieta di utilizzare gli elementi fisici per il raggiungimento di uno scopo morale. A partire da questa convinzione, viene maturando l’ambizioso progetto della morale sensitiva, il quale non è altro che il tentativo di garantire la libertà morale attraverso la necessità fisica» (p. 93). 
La dialettica fra libertà e necessità è una delle questioni affrontate da Menin nella seconda parte del volume, dedicata alla teoria rousseauiana della sensibilità. Quest’ultima, per il Ginevrino, è duplice, in quanto ha una componente passiva (la sensazione) e una attiva (il sentimento), che interagiscono fra loro: da un lato, l’involontaria percezione degli oggetti esterni, ovvero la sensazione, condiziona il sentimento, dall’altro quest’ultimo è in grado di modificare, in una certa misura, le sensazioni che non può impedire. Quest’interrelazione fra sensazione e sentimento è resa possibile dalla memoria e dall’immaginazione, facoltà intermedie che, facendo da tramite fra i due aspetti in cui si articola la sensibilità, «garantiscono la continuità tra la dimensione fisica e quella morale» (p. 160). L’autore si sofferma ad analizzare lo sviluppo di tali facoltà, mostrando come la spontaneità che a un certo punto esse acquisiscono rappresenti per Jean-Jacques sia una positiva conquista di libertà, sia una temibile possibilità di degenerazione. Nel momento in cui bisogno e desiderio non coincidono più, infatti, il secondo eccede il primo e lo fa aumentare a sua volta, rendendolo artificiale e aprendo la strada alla corruzione.
«La conferma decisiva del ruolo intermedio della memoria è offerta dal suo venirsi a caratterizzare essenzialmente come una forma di memoria affettiva e involontaria, legata cioè sia al dato fisico ed esterno sia a quello sentimentale e interno» (p. 166). Il livello sentimentale della memoria – che è la facoltà alla base della coscienza – si dispiega a partire da quello sensibile: il passato riaffiora allorché ci si imbatte in un signe mémoratif, ovvero in un oggetto esterno capace di suscitare una concatenazione di ricordi. Anche l’immaginazione presenta diversi livelli: mentre l’immaginazione riproduttrice e la memoria immaginativa sono limitate rispettivamente dalla sensazione e dalla reminiscenza, l’immaginazione creatrice può disporre degli elementi tratti dall’esperienza con assoluta libertà. 
In quanto «facoltà in grado di dilatare più di ogni altra le potenzialità umane» (p. 173), l’immaginazione è più ambigua della memoria: è capace di fornire consolazioni incomparabili (il «paese delle chimere» a Rousseau tanto caro), ma è anche potenzialmente assai pericolosa; pertanto, per poter svolgere un ruolo morale, dev’essere adeguatamente educata. Nonostante l’indiscutibile rilievo del ruolo rivestito da questa facoltà all’interno della riflessione rousseauiana (soprattutto nell’ultima sua fase), Menin respinge l’ipotesi secondo cui una «morale immaginativa» (l’espressione non è di Rousseau), finalizzata a combattere gli aspetti negativi dell’immaginazione attraverso l’immaginazione stessa, avrebbe finito per soppiantare il progetto della morale sensitiva. Questa, infatti, non ha mai smesso di essere la vera aspirazione di Rousseau. Egli, del resto, ha avvertito l’esigenza di attribuire una radice sensibile persino alla facoltà razionale, introducendo la cosiddetta «ragione sensitiva», che di quella intellettuale costituisce non solo la premessa ma anche l’indispensabile completamento.
La terza e ultima parte della monografia è incentrata sull’importanza delle nozioni di rimedio e regime nel pensiero rousseauiano e, soprattutto, nell’ambito del progetto della morale sensitiva. Come Menin mostra efficacemente, a dispetto del diffuso pregiudizio di una radicata e radicale ostilità del Ginevrino nei confronti dell’arte medica, egli non ne nega l’utilità tout court, bensì ne riconosce un uso legittimo, facendosi promotore di un approccio etico alla medicina. Pertanto, nonostante l’aspra invettiva contro medici e medicina in cui prorompe nel primo libro dell’Émile, la sua condanna non è totale, come potrebbe apparire in seguito a una lettura parziale e frettolosa. D’altronde, il preteso disinteresse di Jean-Jacques per la medicina è smentito dalla sua conoscenza dei principali testi della letteratura medica, nonché di alcuni fra i più noti medici del suo tempo. 
A questo proposito, Menin mette in luce la compresenza di suggestioni diverse, addirittura opposte: senza trascurare la riflessione dei medici-filosofi parigini, Rousseau attinge infatti sia allo iatromeccanicismo di Boerhaave sia al vitalismo di Montpellier. Egli non può che apprezzare la nozione di organismo che si afferma nell’ambito di questa scuola, così come il superamento del modello meccanicistico dell’homme-machine a favore di quello di homme sensible. Per quanto invece riguarda il medico olandese, Jean-Jacques tende a privilegiare gli aspetti neo-ippocratici del suo pensiero, presenti soprattutto nella riflessione di alcuni suoi discepoli, come Haller e – soprattutto – Tronchin. Con quest’ultimo, con il quale – fino alla clamorosa rottura del 1759 - fu in rapporti amichevoli, Rousseau condivide la priorità attribuita alla medicina preventiva, ossia all’igiene, da lui identificata con il regime.
In particolare, nell’ottica della morale sensitiva, egli dedica molta attenzione allo studio del modo in cui il regime interiore (il temperamento) interagisce con quello esteriore. L’analisi degli strumenti che Rousseau reputa necessario tenere in considerazione, al fine di mettere l’economia animale al servizio dell’ordine morale, è esaurientemente esposta nel capitolo sul «potere degli oggetti». Emerge da queste pagine l’importanza attribuita dal Ginevrino all’alimentazione, nonché la sua fiducia nel possibile valore terapeutico dell’aria e la sua persuasione che si possa, attraverso la costruzione di ambienti adeguati,  dirigere la natura in modo da favorire buone disposizioni morali. Queste ultime due considerazioni trovano applicazione nella Nouvelle Héloïse, in cui Saint-Preux ha modo di sperimentare su di sé gli effetti benefici dell’aria di montagna e Julie dimostra, con la creazione del giardino dell’Eliso, che «la spontaneità dev’essere inserita all’interno di un ordine morale per potersi esprimere pienamente e non essere esposta al pericolo della degenerazione» (p. 284).
In quest’opera, attraverso la descrizione del piccolo mondo privilegiato di Clarens, la morale sensitiva viene messa in pratica anche a livello comunitario. L’essere umano, effettivamente, non può realizzare la propria libertà morale che all’interno della società, ambito in cui le ripercussioni dell’economia animale sono a tal punto significative che essa, in quanto individuo morale, è frutto delle impressioni suscitate negli animi dei suoi membri dagli oggetti.  Ciò implica la necessità, per il legislatore, di tener conto dell’ambiente, sia naturale sia sociale, per individuare i principi politici più adatti a una determinata realtà.  È assai interessante, a questo proposito, la proposta di stimolare e rafforzare l’amor di patria mediante feste e cerimonie pubbliche, che Rousseau avanza nelle Considérations sur le gouvernement de Pologne. Tali cerimonie, diversamente dal teatro – fallimentare tentativo di attuazione del materialismo del saggio – hanno un valore positivo: permettono, infatti, di indirizzare passioni potenzialmente pericolose nella giusta direzione, rendendole proficue. 
«Esse rendono manifesta la riproposizione a livello collettivo del medesimo rapporto tra necessità e libertà che vige nella psicologia individuale. Durante la festa, infatti, l’ordine morale si instaura spontaneamente e sentimentalmente, ma tale spontaneità è favorita da un’attenta pianificazione razionale del legislatore, il quale costruisce con scrupolo l’ambiente sociale servendosi della forza del linguaggio dei segni e dell’emulazione» (p. 311). L’efficacia del linguaggio dei segni è sottolineata a più riprese da Rousseau, per il quale rappresenta una dimostrazione della possibilità di suscitare sentimenti morali a partire da oggetti sensibili. Gli antichi ricorrevano frequentemente e con successo a tale linguaggio: lo testimonia il fatto che dagli abiti si potevano immediatamente ricavare informazioni in merito all’età e alla condizione di chi li indossava, così come lo attesta, in maniera più clamorosa, la scelta di Antonio di servirsi del cadavere martoriato di Cesare – e non di un discorso - per indurre alla commozione e all’indignazione il popolo romano.  
Nel linguaggio dei segni la connessione fra sensazione e sentimento è manifesta; questo prova che anche la prima istituzione sociale – la parola – ha alla sua origine tanto delle esigenze morali quanto dei bisogni fisici: l’uomo infatti è stato, è e sarà sempre un essere sensibile, «perennemente sospeso tra economia animale e ordine morale» (p. 333). Il saggio di Menin, che con queste parole si conclude, è il risultato di un’approfondita ed esaustiva ricerca su un argomento finora trattato solo parzialmente o marginalmente; va pertanto a colmare un vuoto importante, offrendo nel contempo una lettura globale del pensiero di Rousseau a partire dal fil rouge della morale sensitiva, rintracciabile nella sua opera, se non come costruzione sistematica, come esigenza variamente articolata e costantemente presente. Esso porta pertanto un significativo contributo agli studi sul Ginevrino, indirizzando l’attenzione del lettore su un aspetto a lungo trascurato, ma che certo non deve più essere tale.


Indice

Introduzione. Un’assenza ingombrante

PARTE PRIMA: IL FARDELLO DELLA TRADIZIONE
I. Modificare la natura umana?
II. L’apprendistato sensista

PARTE SECONDA: L’EMERGENZA DELLA SENSIBILITÀ
III. Libertà, necessità e casualità
IV. L’organizzazione della sensibilità
V. Genealogia delle facoltà intermedie
VI. La necessità della saggezza

PARTE TERZA: TRA LE COSE E L’ANIMA: RIMEDIO E REGIME
VII. Medicina e morale
VIII. Il potere degli oggetti
IX. La politica dei cuori

Bibliografia
Indice dei nomi

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