Milano, Albo Versorio, 2012, pp. 195, euro 17, ISBN: 978-88-89130-98-8.
Il libro di Claudio Tarditi è, senza ombra di dubbio, una profonda, interessante ed originale analisi della fenomenologia francese degli ultimi anni.
Come afferma lo stesso autore, il testo in questione narra di un luogo; “un luogo dai confini incerti, mobili, sempre soggetti a essere rintracciati; un luogo di passaggio, talvolta oscuro ed insidioso, che si vorrebbe costantemente superare con la speranza di poter dimorare in una nuova terra da rivendicare come la propria terra, e che tuttavia sempre di nuovo ci avvolge,
ci fa indugiare nel rischio del non-proprio, ci costringe a muoverci come ospiti, con delicate attenzioni, per non disturbare”.(15)
ci fa indugiare nel rischio del non-proprio, ci costringe a muoverci come ospiti, con delicate attenzioni, per non disturbare”.(15)
Queste parole di Tarditi introducono molto bene il significato stesso del titolo: abitare la soglia.
La soglia indica “quel territorio mobile e non oggettivabile in cui accade l’incontro tra l’Io – un io de-trascendentalizzato e de-ontologizzato, cioè pensato come a-donato (Marion) o ad-venant (Romano) – e la fenomenalità secondo la propria autonoma e radicale evenemenzialità” (p. 141).
L’opera è suddivisa in quattro capitoli: Introduzione (Filosofia della /sulla soglia, p.15); capitolo primo (Tempo e soggettività, p. 35); capitolo secondo ( L’evento dell’altro, p. 77); capitolo terzo (Le strutture dell’evento, p. 115); capitolo quarto (Fenomenologia ermeneutica evenemenziale, p. 141); appunti per una conclusione (p. 167).
Nell’Introduzione Tarditi esplica brillantemente la scelta del titolo, soffermandosi in particolare sul concetto di soglia. Subito l’Autore si domanda se tale nozione potrebbe essere considerata equivalente al concetto di apertura e di confine, o ancora di limite, di barriera.
La risposta va ponderata bene. Afferma infatti Tarditi che nel concetto stesso di soglia vi è qualcosa di “eccedente, di sovrabbondante rispetto alle molteplici figure appena richiamate, qualcosa che potrebbe indurci a pensare addirittura che le seconde siano concepibili soltanto a partire dalla prima” (p. 17).
L’idea stessa di soglia implica, quindi, l’idea di un passaggio, di una comunicazione tra due spazi: la soglia, cioè, ci rimanda ad una tensione tra due spazi, tra il dentro e il fuori, tale che entrambi divengono pensabili solo in relazione a ciò che li mette in comunicazione, “a quel passaggio che non può non avvenire, a quell’attraversamento che permette l’accesso ad un orizzonte nuovo ed inaspettato” (p. 18).
La soglia, quindi, ci fa sperimentare la costitutiva finitezza dell’esistenza e del pensiero; la tensione del rapporto, per dirla alla Kierkegaard, tra finito e infinito, “ossia la necessità di mettere in relazione la ragione, il concetto finito, con il bisogno di gettare lo sguardo su quel territorio che trascende la mera conoscenza oggettuale e scientifica alla ricerca di un terreno più originario” (p. 19).
Riprendendo la riflessione kantiana intorno al limite (Grenze), in cui il filosofo di Königsberg affermava il limite essere qualcosa di positivo che appartiene a ciò che vi è incluso, Tarditi dichiara che proprio permanendo sul limite, inteso non come barriera ma come soglia, “la ragione si manifesta proprio come luogo del rapporto tra ciò che può dominare sinteticamente, dunque concettualmente, e ciò che la sommerge sottraendosi alle sue forme a priori e che può soltanto incontrare nell’ambito del pensiero” (p. 22).
L’intento di Claudio Tarditi, perciò, è quello di coniugare i temi fenomenologici classici con alcuni modelli di pensiero che ne hanno mostrato le zone d’ombra.
Il percorso si snoda, quindi, in due livelli, entrambi costitutivi della riflessione fenomenologica: in primo luogo perché la fenomenologia sembra rappresentare un fecondo accesso filosofico al problema della comprensione della soglia; in secondo luogo perché essa stessa si trova su un “terreno di soglia”. Fenomenologia della soglia, ma anche fenomenologia sulla soglia (p. 23).
Capitolo 1: Tempo e soggettività. In questo capitolo Tarditi prende spunto dalla Ricerca del tempo perduto di Proust che ruota attorno al tema del “tempo perduto e ritrovato”.
Tale tematica, a parere di Tarditi, richiama un rapporto fondamentale, quello tra la verità ed il tempo, tra il tempo e la soggettività appunto.
Richiamandosi a Ricoeur, Tarditi afferma che l’interpretazione proustiana della soggettività risulta essere “presa tra due fuochi”: da un lato la costante ricerca di sé – l’errare dell’intenzionalità – dall’altro lato l’imporsi di una manifestazione sovrabbondante e assoluta che si offre nella forma di una vocazione, ossia di un appello, capace di suscitare nell’Io la più potente gioia” (pp. 39-40).
Ecco allora che l’Autore si sofferma, in maniera profonda, sul concetto di soggettività, in particolare nella storia della fenomenologia, partendo dal suo padre fondatore Husserl.
Riguardo alla genesi della nozione di soggettività – probabilmente il più complesso dell’intero pensiero di Husserl – Tarditi analizza il rapporto tra “fenomenologia statica, “con al suo centro l’Io nella sua funzione costituente attiva”, e la fenomenologia genetica, riguardante le dinamiche di emersione della soggettività trascendentale attiva a partire dalla sua origine passiva non-intenzionale” (p. 51).
Per quanto riguarda la questione della temporalità, il punto di partenza rimane sempre Husserl: infatti la costituzione della temporalità e lo statuto dell’intersoggettività trascendentale rappresentano due banchi di prova con i quali Husserl non ha mai smesso di confrontarsi.
Sicuramente, prosegue l’Autore, la questione della temporalità ha un influsso enorme per la stessa soggettività trascendentale (in particolare occorre rileggere il paragrafo 4 del primo capitolo di Lezioni sulla sintesi passiva, intitolato Pluralità degli strati dell’io).
Nella seconda parte di questo primo capitolo, Tarditi inserisce un paragrafo intitolato Una temporalità altra? in cui ripercorre i contributi di Henry, Marion e Romano: si tratta di un rovesciamento della prospettiva husserliana, o per lo meno “un suo radicale ampliamento, volto a liberare la soggettività dalla spirale della temporalità pensata secondo il modello percettivo per restituirla alla soglia in cui ogni oggetto, liberamente, può manifestarsi come evento” (p. 69).
Afferma a riguardo Marion: “i fenomeni non devono essere definiti solo come oggetti, ma la loro oggettivazione risulta da una restrizione fenomenale e questa diminutio phenomenalitatis non assicura certezza se non mascherando, addirittura sopprimendo, il loro carattere originario di evento: l’oggettivazione non produce quindi che un’apparenza di manifestazione, un fenomeno per difetto, una penuria di evento” (p. 71).
Prosegue Romano: “L’evento non è altro da questa riconfigurazione impersonale dei miei possibili e del mondo che adviene nella mia propria avventura. Trasformazione di me stesso e del mondo indissociabile, di conseguenza, dell’esperienza che ne faccio […] Soltanto nel contraccolpo, nell’a posteriori essenziale di una necessaria retrospezione posso far prova dell’evento. Questo ritardo non è affatto accidentale, ma è consustanziale all’evento: se non posso mai essergli contemporaneo, viverlo o sperimentarlo è perché il suo senso stesso si dà solo in un a-posteriori essenziale, «trascendentale»” (p. 72).
Come si può ben vedere, il rovesciamento della fenomenologia husserliana è completo: come sottolinea bene Tarditi “trascendentale non è più l’a priori della correlazione tra l’apparire e ciò che appare, laddove l’Io intenziona e costituisce di volta in volta i fenomeni che gli si manifestano, ma l’a posteriori in cui si manifesta l’evenemenzialità radicale di ogni esperienza, anche e proprio laddove questa si cela dietro il volto rassicurante delle cose”(p. 73)
È proprio in tale capovolgimento completo del modello trascendentale della soggettività che si cela la novità e l’originalità della fenomenologia, in particolare di quella francese, di questi ultimi anni.
Capitolo 2: L’evento dell’altro. In questo secondo capitolo, Claudio Tarditi affronta una questione molto importante, che ha da sempre interessato ed affascinato la filosofia: l’alterità.
Tale questione costituisce uno degli aspetti più problematici e dibattuti anche per la stessa fenomenologia, in particolare il pensiero di Husserl (basti pensare all’enorme quantità di manoscritti sul tema dell’intersoggettività).
Un concetto chiave, all’interno della questione sull’alterità, è sicuramente quello di empatia, che ha visto un particolare interesse soprattutto nella fenomenologia.
Proprio l’empatia impedisce alla fenomenologia di trasformarsi in un solipsismo.
Infatti, ogni volta che riflettiamo sulla nostra esperienza dell’alterità, ci accorgiamo che “l’altro è dinanzi a noi in persona, in carne ed ossa, offrendosi a noi in modo profondamente diverso rispetto ad una semplice cosa” (p. 82). Più precisamente, prosegue Tarditi, “l’altro ci si dà in primo luogo come corpo fisico, sottoponendosi al processo costitutivo da parte dell’ego trascendentale che lo intenziona” (p. 82).
Proprio mediante l’empatia “l’altro è altro hic et nunc, un altro “egologico” (p. 87).
L’empatia diviene quindi una chiave fondamentale per entrare in comunione tra le persone, nella misura in cui l’io e l’altro “non si fronteggiano come due soggettività rivendicanti entrambe la propria supremazia sull’intero ambito della fenomenalità, ma scoprendo il loro comune radicamento in quell’appello che li provoca e li interpella, esponendoli al loro reciproco rapporto affettivo” (p. 89).
In questo capitolo, in modo particolare, l’Autore sottolinea la posizione di Nancy e di Henry.
L’obiettivo di Nancy è di rovesciare le prospettive teoretiche che non hanno considerato la pluralità dell’Io sin dalla sua genesi, affermando prevalentemente la sua costituzione solipsistica: l’espressione celebre di Nancy è “l’essere singolare-plurale”.
L’esperienza dell’alterità, quindi, per Nancy si da innanzitutto come “esperienza dell’estraneità dell’Io a se stesso, ossia come ferita sanguinante che lacera ogni certezza autofondativa del soggetto cartesiano” (p. 97).
Michel Henry, dal canto suo, mostra alcuni sospetti nei confronti della tradizione fenomenologica francese.
Per Henry occorre pensare la vita “come rivelazione dell’invisibilità e nell’invisibilità” (p. 101), cioè, occorre “ricondurre la fenomenologia alla sua radice non intenzionale, o meglio, alla sua origine pre-intenzionale, in cui l’Io – non l’Ego trascendentale, ma il vivant – scopre se stesso nel movimento di manifestazione della vita” (p. 101).
Vivere, per Henry, significa “provare se stessi”.
La posizione di Henry differisce da quella di Husserl. Quest’ultimo, infatti, concepisce l’alterità nell’orizzonte della coscienza intenzionale; Henry, invece, “muovendo dalla distinzione tra il piano dell’apparire mondano e quello della manifestazione della vita, concepisce il rapporto con l’alterità come originariamente coinvolto nell’autoaffezione della vita, nel cui movimento di manifestazione sorgono i differenti Sé” (p. 103).
La posizione di Tarditi, tuttavia, è ancora differente: per lui il rapporto con l’alterità “si presenta sempre come uno spazio – un territorio di soglia – che va mantenuto aperto e capace di prendere su di sé le difficoltà e i rischi della comunione con l’altro, sempre esposta a tramutarsi in conflitto” (p. 108).
L’altro, cioè, “ci ad-viene secondo la più pura evenemenzialità, ossia senza potergli assegnare una causa o poterne rendere ragione, secondo il più metafisico degli schemi” (p. 109).
In questa soglia, conclude Tarditi, “entro cui l’ego cogito scopre per via riduttiva la vanità di ogni certezza metafisica o trascendentale, e riconosce il proprio essere-consegnato-all’altro, il mondo non può fenomenalizzarsi se non dandosi a me e rendendomi il suo a-donato” (p. 112).
Capitolo 3: Le strutture dell’evento. Dopo aver approfondito le tematiche principali degli autori che hanno “rovesciato” la fenomenologia husserliana, Tarditi ci offre un prezioso capitolo riguardante la struttura stessa dell’evento.
Sulla scia del pensiero di Heidegger, l’Autore afferma che l’Ereignis, ossia l’evento donatore originario, “è allo stesso tempo Enteignis, esproprio, cioè dono della stessa capacità di donare” (p. 123).
Tuttavia, prosegue, “affinchè l’esproprio si realizzi come donazione della capacità di donare, il donatario deve essere all’altezza della purezza di un simile dono, ossia deve lasciarsi coinvolgere nel gioco libero a cui lo invita il tempo quadrimensionale, il dono dell’Ereignis” (p. 123).
Penso non ci sia bisogno di commentare: ciò che vuole comunicarci Tarditi è che questo lasciarsi coinvolgere nel dono è allo stesso tempo “un ricevere il dono di poter a propria volta donare” (p. 123): il dono “è non solo necessariamente libero, ma è a sua volta dono di libertà”.
Queste tematica, in particolar modo, verrà sviluppata e approfondita, in maniera originale, da Marion. L’elaborazione teorica di Marion, afferma Tarditi, “conduce la donazione, incondizionata ed illimitata, unico principio libero della risalita dei fenomeni alla visibilità, sino alla soglia dell’impossibile, della donazione assoluta del fenomeno en personne” (p. 130).
Capitolo 4: Fenomenologia ermeneutica evenemenziale.
Nel quarto e ultimo capitolo, Claudio Tarditi cerca di giungere ad una conclusione riguardo il concetto di soglia: questa si configura come “quel territorio mobile e non oggettivabile in cui accade l’incontro tra l’Io – un io de-trascendentalizzato e de-ontologizzato , cioè pensato come a-donato (Marion) o ad-venant (Romano) – e la fenomenalità secondo la propria autonoma e radicale evenemenzialità” (p. 141).
Solamente se l’Io rinuncia alla propria priorità trascendentale e ontico-ontologica, lo spazio che sembra apparentemente angusto si fa più accogliente e ampio “ e permette ai fenomeni che vi accadono di mostrarsi nella loro più profonda evenemenzialità” (p. 142).
Abitare la soglia, prosegue Tarditi, “significa mantenersi nell’apertura entro cui l’evento possibilizza le nostre possibilità, facendoci incontrare comunemente oggetti da utilizzare ma anche riservando loro la possibilità di rimandarci ad un’esperienza del tutto differente in cui essi si mostrano nella loro struttura evenemenziale” (p. 143).
Abitare la soglia, quindi, significa abitare l’incontro; ossia farsi spazio verso l’Altro, verso il volto dell’Altro che sempre mi pro-voca e mi interpella: il tutto nello spazio della libertà.
Un altro passaggio importante su cui si sofferma Tarditi è il rapporto tra fenomenologia ed ermeneutica, rapporto che non è nuovo, ma che ha dato luogo ad un vasto dibattito sul possibile tournant della prima nei confronti della seconda.
Fenomenologia ed ermeneutica, afferma l’Autore, “esplicitano la propria cooriginarietà proprio nel reciproco radicamento evenemenziale: non vi è fenomenologia se non nell’assunzione (interpretativa) dell’evenemenzialità, così come non vi è interpretazione se non dell’evento nel suo possibilizzarsi e nel suo manifestarsi fenomenale” (p. 158).
Conclusione. In conclusione, l’originalità della ripresa fenomenologica nel suo versante francese consiste proprio nel rapporto tra visibilità ed invisibilità: si tratta questo di un tema cruciale per l’intera fenomenologia francese contemporanea, “in quanto segna il netto confine tra le due possibilità fondamentali per l’esperienza fenomenologica” (p. 171).
Abitando la soglia senza mai poterla dominare intenzionalmente, conclude Tarditi, l’Io (in quanto a-donato o ad-venant) “riceve la fenomenalità, nella sua dinamica evenemenziale, come un essere esposto a che rivendica una risposta” (p. 185): tuttavia, prosegue, “poiché tale rivendicazione gli accade in forma di evento, l’Io potrà rispondervi soltanto a posteriori, in contraccolpo, senza alcuna possibilità di coglierne l’origine donante, la causa o la ragion sufficiente” (p. 185).
L’unica forma di discorso in grado di tematizzare tale dinamica senza oggettivarla è sicuramente l’interpretazione.
La conclusione di Claudio Tarditi è molto interessante: “misurandosi con l’evenemenzialità della donazione, la fenomenologia si fa originariamente ermeneutica dell’evento nel suo costante possibilizzarsi e nel suo irrompere nell’orizzonte dell’Io”(p. 185).
Ma c’è anche un processo di riconoscimento. Poiché, infatti, l’Io ha a che fare con l’evento sempre e solo dopo che tale evento sia accaduto, “l’evenemenzialità richiede di essere riconosciuta” (p. 185).
Solo abitando la soglia “l’evento irrompe, ci coinvolge, ci sconvolge e scardina le nostre fragili categorie: permanendo nella soglia, l’evento ci libera dai pluricentenari miti del Soggetto e ci restituisce a noi stessi; noi, i più effimeri” (p. 187).
Indice
Presentazione, 13
Introduzione. Filosofia della/sulla soglia
1. Un luogo misterioso, 15
2. Limite o barriera?, 20
3. Quale fenomenologia?, 25
Capitolo primo. Tempo e soggettività
1. Il tempo perduto e il tempo ritrovato, 35
2. Alla ricerca della soggettività, 42
3. Fenomenologia sulla soglia: costituzione e genesi, 47
4. La costituzione della temporalità, 56
5. Una temporalità altra?, 67
Capitolo secondo. L’evento dell’altro
1. L’enigma dell’altro, 77
2. J. L. Nancy e l’essere singolare-plurale, 90
3. M. Henry: il pathos-con, 97
4. Una tensione irriducibile, 103
5. L’evento dell’altro, 106
Capitolo terzo. Le strutture dell’evento
1. Fenomenologia al bivio, 115
2. Dalla Gabe all’Ereignis, 119
3. L’evento secondo l’evenemenzialità, 131
Capitolo quarto. Fenomenologia ermeneutica evenemenziale
1. Dalla costituzione all’interpretazione, 141
2. Un altro tournant?, 148
3. L’ermeneutica evenemenziale, 153
4. Interpretare la soglia, 158
Appunti per una conclusione
1. Ancora sul tournant thèologique de la phènomènologie francaise.., 167
2. La spirale dell’ideologia, 176
3. Abitare la soglia, 181
Bibliografia, 189
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