mercoledì 26 marzo 2014

Montanari, Marcello, Studi su Vico. Idea della storia e forme della politica

Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, 2013, pp. 135, euro 14, ISBN 978-88-6760-077-9.

Recensione di Antonio Pesce - 29/01/2014

Nel primo libro del Capitale Marx cita Giambattista Vico. Lo fa nel capitolo dedicato al rapporto tra le macchine e la grande industria (XIII), dove, criticando quanto scritto da Mill nei suoi Principi di economia politica, definisce il «macchinismo … un mezzo alla produzione del plusvalore». E, in nota, scrive: «Darwin ha richiamato l’interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione

 degli organi della pianta e dell’animale come strumenti di produzione della loro vita: non merita forse uguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell’uomo sociale, che costituiscono la base materiale di qualunque organizzazione della società? E non sarebbe più facile ricostruirla, dal momento che, come dice Vico, la storia umana si distingue dalla storia naturale perché noi non abbiamo fatto la seconda e abbiamo fatta la prima?» (ed. Utet). Da questo tributo a Vico, non comune nel pensiero tedesco nonostante i tanti debiti verso quello italiano (anche se la lezione di Spaventa può sembrare troppo marcata da interessi politici e pedagogici inerenti alla situazione sociale della sua epoca), si può capire anche quanto unilaterale fosse l’esempio che Engels fece sulla tomba dell’amico, paragonandolo al solo Darwin e dando vita ad una querelle interminabile sul vero senso del materialismo storico. 
L’uomo ‘fattore’ non più solo del proprio destino ma della Storia tutta, al fine di costruire «una ‘dimora’ che renda tutti gli uomini liberi e sicuri» (p. 10). Questo il fil rouge che Marcello Montanari segue in questa raccolta di scritti dedicati al filosofo della Scienza nuova. La politica - qui si riconosce l’eco di Marx - «non è solo tecnica, ma è quell’attività, quella specifica “tecnica” – se si vuole continuare ad usare questo termine – che va utilizzata per unire gli uomini entro le mura della città. Mura che devono assicurare a tutti i cittadini la vita, la tutela degli interessi e la libertà. Politica è dare un comune principio di cittadinanza alle differenze; è costruire un sistema unitario di relazioni, di obblighi reciproci tra interessi, volontà e culture diverse» (p. 38). 
Vico, per Montanari, si colloca in quella linea di pensiero che, da Bruno a Hegel fino a Gramsci, pur non nutrendo alcun rimpianto per quel mondo in cui il sacro della religione e il profano della politica andavano a braccetto, tuttavia non auspica un mondo disgregato, privo della sua forma. È questo un modo originale di risolvere una questione che ha impegnato gli studiosi per molto tempo, quella cioè se Vico fosse o no un antimoderno. In Italia, tutti i maggiori studiosi se ne sono occupati, e il «Bollettino del Centro di Studi vichiani» ne segnala gli echi (si legga quanto scrive Fabrizio Lomonaco alle pp. 364-365 del suo saggio nell’opera La cultura filosofica italiana attraverso le riviste, 1945-2000, vol. 1), rinnovati soprattutto all’indomani della pubblicazione del libro di Mark Lilla, G.B.Vico. The making of an anti-modern.  Nuove obbligazioni sono necessarie, nuovi legami, grazie anche ad una «nuova arte critica» che ridoni un sistema di segni, questa volta costruito dalla prassi umana, e tuttavia non mera convenzione, ma forma con una propria storia. Non metafisica né nichilismo, ma retorica, che da Cicerone a Petrarca all’umanesimo, si fa «ragione comunicativa». La verità non è più corrispondenza della parola alla cosa, ma è opera, «risultato del fare umano». Sono i bestioni a dare un senso ai segni che provengono dal cielo, vedendo questo come un grande corpo. In ciò l’umanesimo, ma disincantato, senza utopismo: Vico comprende l’emergere di un «uomo dissociato» e, dunque, anche il comparire di una politica come potenza. Perché lì dove l’uomo fa conto per sé, senza altro vincolo con l’altro che non la sua forza (fosse pure la forza della ragione - la barbarie della riflessione), cos’altro può portarlo alla societas? Una lezione ancora oggi attuale. «Ma umanesimo in questo senso specifico – ci tiene a sottolineare Montanari – che in quella tradizione, che nell’arte retorica vide la potenza della politica, si fonda la prima consapevolezza del destino dell’uomo (e del Dio che vive nel finito) è nell’accettare e nel comprendere la vita civile come il luogo “naturale” della propria esistenza; che l’uomo fuori dalla polis può esistere solo come “bestione”» (p. 43). 
Nell’Autobiografia Vico considera suo autore Ugo Grozio. Nell’etimo, autore non è semplice lettura, pensiero studiato a fondo, bensì guida salda e fondamento del proprio percorso speculativo. Nella stessa opera, però, pare prenderne le distanze. Come si coniugano le due cose? Grozio è l’autore che gli permette di «vedere come la molteplicità di fatti empirici, accertati dalla indagine filologica, si strutturino secondo un organico ordine storico, che la filosofia riesca a cogliere come la verità stessa del procedere fattuale» (p. 52). Tuttavia, il rimprovero che il Napoletano muove a Grozio (ed anche a Selden e Pufendorf) è di aver confuso il diritto naturale delle genti con quello dei filosofi. Nel De costantia iurisprudentis Vico distingue tra un ius naturalis prius e un ius naturalis posterius, dove il primo è il riconoscimento di un agire umano che, seppur non riducibile ai moti fisici del corpo come negli animali, tuttavia non è ancora soggetto alla ragione. Ed è per questo che il secondo deve tenerne conto: la ragione, nell’uomo come nell’ente collettivo, non è mai completamente dispiegata. Questa critica vichiana, con gli altri sviluppi che Montanari mette bene in evidenza, ci permette di capire limiti e pregi del giusnaturalismo. Innanzi tutto, la natura umana non è mai riconducibile all’animalità e alla razionalità astrattamente concepite, e siccome il diritto naturale è di diverse specie, questo va tenuto conto. Non siamo animali né angeli: non siamo mai completamenti legati alla sfera corporea, ma non siamo mai soltanto spirito. Inoltre, se è vero che l’uomo non può essere mai completamente legato alla comunità, tuttavia non se n’è mai visto uno che si sia dato i natali da solo e che da solo, ancora, abbia vissuto. Il concreto uomo non è mai la bestia solitaria che, d’un tratto, diventa uomo, e addirittura fine intellettuale, di quegli intellettuali con ricette sempre pronte sul mondo nuovo che ha da venire. Né è mai la marionetta nelle mani della Storia o del potere costituito, che lo intruppano svuotandogli l’anima e facendolo agire a loro piacimento. Ad unire gli uomini c’è un fas commune, un fare costituito da incontri (i più casuali e per le ragioni più banali) e di scontri, di lingue comuni e di abitudini. Può sembrare paradossale, ma i popoli non sono opera di ingegneria sociale. Per fare un solo esempio, nella discussione pubblica, con relative polemiche, per i centocinquant’anni d’unità nazionale i problemi sono sorti proprio dal non tenere conto di questo, che l’Italia non era nata nella Storia ancor prima dell’unità statale, perché vi fosse una ben precisa razza italica o un’unità politica, ma perché nei millenni un determinato territorio ha vissuto alcune vicende, è stato crocevia di alcuni incontri, ha sviluppato delle tendenze e ha sentito dei bisogni. Se la Storia fosse stata altra, ciò che oggi denominiamo come Francia, Italia, Austria e Germania avrebbero potuto essere un solo territorio, con una sola lingua. Ma non è dei ‘se’ che la Storia si nutre. 
«Vico vede, allora – scrive Montanari – che il diritto si genera dalla stessa vita materiale dei popoli e delle nazioni. Le forme giuridiche e l’ordine politico si radicano nei mondi vitali, nascono dal sentire degli uomini: non sono prodotti della “ragion pratica”, ma della “fantasia”, della creatività umana» (p. 65). 
Sentimento è quello della paura: i bestioni temono i segni che vengono dal cielo, e chi li sa interpretare assume un ruolo guida nella comunità. La paura è discriminante nelle forme di governo, il cui assetto solo apparentemente, secondo Montanari, è triadico. In realtà, i ‘governi divini’ e quelli ‘eroici’ si basano su questa paura e quelli ‘umani’ sulla libertà da questa. La paura divide, mentre unisce l’uguaglianza degli uomini davanti alla legge, perché questa, finalmente scritta, sarà leggibile da tutti: «Il nesso, che Vico instaura tra paura e sapienza dei segni celesti e tra questa sapienza (=scienza della interpretazione dei linguaggi) e la struttura del potere è l’elemento fondamentale della sua “teorica dei governi”» (p. 71). Questo passaggio avviene nell’antica Roma sotto i Gracchi e le lotte tra patrizi e plebei che porteranno alle leggi agrarie. Di rilievo è, però, l’interpretazione che Montanari ne dà: è un salto qualitativo, poiché «le forme di governo non sorgono geneticamente l’una dall’altra, ma sono nella loro essenza (o nei loro principi) originariamente diverse e autonome … stanno idealmente l’una accanto all’altra, senza che si possa in alcun modo affermare che le più recenti siano anche le più progredite e perfette o, quanto meno, più perfettibili» (p. 77). Nel concetto di ricorso c’è la chiave, anche se spesso è stata usata male perché non ne è stato capito il senso. Vico non pensò mai che la storia potesse tornare identica a se stessa, così come non credette che il punto da cui egli poteva guardarla, fosse quello in cui una profonda razionalità viene dispiegata. Si dispiega non solo la ragione, ma anche la barbarie, e se si può essere bestioni per eccesso di passioni, si può ridiventarlo anche per eccesso di ragioni: è questo il profondo attacco che egli muove a Cartesio. «Il carattere monastico della filosofia cartesiana induca alla costruzione di un tipo di società in cui ogni legame si spezza di fronte alla potenza del cogito» (p. 79). È una nota di rilievo questa, anche perché l’autore, nel resto dell’opera, non dimostra alcuna acrimonia verso lo storicismo (anzi), e tuttavia ci invita a liberarci da uno schema che egli definisce «vetero-storicistico e/o giusnaturalistico» (p. 78). Infatti, egli riprende la lezione di Croce che, negli Elementi di politica, definisce Vico il vero erede di Machiavelli. Entrambi, mutatis mutandis, figli di quell’umanesimo civile nato per gestire i conflitti della res-publica e garantire «a tutti la libertà e la sicurezza individuale» (p. 115). E qui si ritorna alla questione della retorica, arte della discussione pubblica. Per Vico, la retorica non era manipolazione sofistica della verità, bensì arte del «bene dicere», del dir bene la verità. Perché anche le buone ragioni hanno bisogno di forza per affermarsi. Soprattutto in un tempo che – nota Montanari – vede la crisi dell’assolutismo barocco, e «la politica sembra ritornare a farsi discorso, dialogo». Lezione quanto mai disattesa oggi, dove le uniche ragioni portate sul tavolo della discussione pubblica sono quelle legate ad una egoicità che si vuole senza ‘legami’, senza religio. 


Indice

Prefazione
Nota bibliografica
1. Dell’interpretazione dei segni. Ovvero: storia e politica
Nota su Vico e Dostoevskij
1. Vico e Grozio
2. La teoria delle forma di governo nella “scienza nuova” di Vico
3. L’immagine della città in Vico e in Hegel
4. Il machiavellismo di Vico 

6 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Scienza Nuova fu, da parte di G. Vico, anche fondazione, filosofica, delle scienze empiriche, ovvero scienze dell'esperire non dell'esperimento, fondazione resa possibile attraverso un diverso non differente rapporto tra la eventualità e la mentalità, questa esente dal mutare le cose nel tempo dell'esperimento e soggetta al mutamento delle cose nei tempi della esperienza, empiria manifestata in un esempio (ovviamente) non tipico ma opportunamente generale, in quanto suo esperire concerneva sfera emotiva, razionale, collettiva, singolare, politica, impolitica; Vico affermava il principio dell'esperire scientifico mostrandolo in una sua determinazione, la quale era un principio di etnologia, definita scientificamente non generalmente ma non tale attuata, datoché le descrizioni vichiane sono filosofiche e non scientifiche quali invece i principi formulati senza dipendenze da esse eppur con esse. La attuazione scientifica accadde assai dopo, in Germania attraverso le "teorie culturali" dell'Impero Asburgico non estraneo per breve periodo a stessa Germania; nel frattempo fu proprio in questo luogo che J. W. Goethe elaborava, sull'esempio immediato fornitogli dallo storicismo vichiano, un altro analogo non ugual principio, definizione scientifica della morfologia, con successiva scientifica attuazione pure, ad opera dello stesso Goethe. Dunque in realtà non va attribuito a stessa filosofia del Vico questo successivo evento, pur sempre ad essa relazionat; e con tale osservazione risulta impossibile l'errore di chi tratta materia di studio inoltrato da Vico per "materia delle materie"; errore che antioccidentalismo ed antiplatonismo unendosi indebitamente hanno fatto e reiterato fino ad oggi, con la conseguenza di screditare le nuove scienze moderne, morfologia, biologia, etnologia! , sociologia, psicologia, neurologia... Di questo discredito piacque e piace profittare dalle forze oscurantiste nella religione, non della religione né delle religioni, cui stessi erranti poi criticano le azioni, ma inanemente e distruttivamente; ed il marxismo tra questi erranti va considerato: Marx non seppe capire che era in stessa Opera di Vico, altrimenti riferito ma non altrimenti formulato, il principio operativo da lui altrimenti auspicato e ricercato e vanamente perché scartando nuove scienze empiriche ne restava negata sociologia scientifica, tanto che Marx basava sue riflessioni economiche su fisica dinamica e su principi aritmetici a questa utili e di fatto recava linguaggio di sociologia scientifica ma privandolo di oggetto proprio...
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...) Poiché tanta fu la influenza del marxismo nella politica delle masse, esso costituiva un riferimento, prima di 1989 quale ostile giudizio, dopo 1989 quale aliena presenza, dopo 2012 quale disastrosa rovina; e tal periodo non ancora del tutto estinto è! Dunque estrinsecare i rapporti tra pensiero di Marx e pensiero di Vico senza dubbio costituisce resa dei conti; tuttavia autore recensito Marcello Montanari con sua pubblicazione, "Studi su Vico Idea della storia e forme della politica", resta a metà del lavoro, perché lo fa secondo unica prospettiva razionalistica; ed in ciò anche si può rilevare il disastro della eredità intellettuale marxista non postmarxista, un lascito non post-illuminista ma ex-illuministico dato da chi aveva assolutizzato e protratto alcune riflessioni illumininistiche, non illuministe, su rivoluzione industriale, macchine e politica. Secondo riduzione scientista — che non assumeva cultura scientifica più ampia, ovvero anche di chimica, acustica, ottica... non solo fisica, rifiutando pure nuove scienze della Modernità, confuse con dottrine logiche medioevali — la macchina era un puro meccanismo non disponibile ad utilizzo solo ad uso, secondo compiuta correlazione ad azione umana; e tal convenzione, pregiudizievole, era asseverata non accertata da abitudini e consuetudini macchinesche, in verità diffuse in vasti contadi europei-euroasiatici, ove per sottrarsi ai ritmi naturali abbrutenti si usavano col corpo gesti, movenze, posture schematiche ed aritmetiche. Tale tattica, fisica umana, era senza consapevolezza protratta anche in altri contesti lavorativi: operai, industriali, anche nuovi; per cui molti inetti eran ritenuti disadattati e molti disadattamenti per inettitudine erano imputati a inesistente disumanità ambientale; nel frattempo le evenienze peggiori, condizioni veramente inumane, erano ignorate da Marx e da il marxismo, che di fatto richiedendo sotto mentite spoglie agi per tutti non distinguevano caso da caso e obliteravano casi, proprio quelli tragici, creando disagi per molti poi tantissimi ed infine proprio per troppi e interferendo disastrosamente nella azioni di chi, socialista o non socialista che fosse, era realmente impegnato a risolver tragedie. Era una razionalità estrema, eurasiatica non europea, non cosmopolita, internazionale non multinazionale, ma riformulata da ambienti sociali subculturali e per questo reietti da religiosità euroasiatiche anche da giudaismo (ed anche da saggezze del Tao), ad esser aliena da attenzione al sentimento semplice, primordiale ("greco"), perché esso era di ostacolo ad ormai decadenti e sempre meno utili affari nonostante ancora un poco proficui ma sempre meno. Anche parte dell'Italia fu coinvolta in tali affari, poi spacciati per cause umanitarie; ed in tal senso libro recensito da Antonio Pesce in anno 2014 e recensione stessa sono un effetto non positivo del mondo coinvolto in essi, spesso biecamente o peggio — a tal mondo non appartengono queste mie riflessioni che io ho inviato (né altre di non diverso ordine di idee).
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)
Giambattista Vico adottò anche prospettiva etnica-filosofica, in tal senso non significato suo operato fu analogo a quello di Machiavelli, che muoveva sua azione filosofico-politica da ricerche di tipo filologico, a scopo di instaurare principato o principati italiani moderni che non fossero esclusivo retaggio italico e medioevale. Vico agiva in riferimento a nuovo Stato Nazionale, che fosse unitario se non uno e se uno anche molteplice; di fatto N. Machiavelli agiva secondo suo medesimo potere, aristocratico; ugualmente G. Vico entro suo stesso potere democratico, da particolare facoltà di etnarchia... Però a questo riguardo va precisato che egli, nonostante anagraficamente risulti nato a Napoli, non fu mai più che residente napoletano, ma in periodo cittadino di ufficialità politica esigua, per questo ufficialmente autorizzato a rappresentarne senza che i limiti dovuti alla sua altra e fondamentale per lui appartenenza ne fossero limitazioni in stessa città di Napoli. In questa sua azione Vico fu al pari di Rousseau anche un preromantico non solo un illuminista; in altro non era figura culturale ascrivibile a tempi secolarizzati né riferibile ad età culturali della moderna secolarizzazione; ma ciò non è occasione per dimenticare di suo pensiero gli aspetti irrazionialistici. Vico infatti non si limitò a mostrare secondo i casi i benefici della consapevolezza che rivela il passato puramente emotivo della ragione; egli mostrò pure la necessità naturale della fine delle ragioni in rinnovate emotività semplici, secondi altri casi palesandone anche i benefici, ovvero i vantaggi...: dell'abbrutimento... variamente seguito e non solo per brevità di inciviltà!... Risulta storicamente alquanto evidente che stesso Parmenide, stesso Socrate... stesso Giuliano l'Apostata erano stati in loro vita reale dei semplici, dei bruti cioè, prima di diventar filosofi e che Giambattista Vico ne era entusiasta; e ugualmente ne sarebbe stato, se avesse potuto saperne biografia, di Giordano Bruno, anche costui e di più in medesima vicenda di codesti antichi; infatti del Bruno, Vico criticò con definitività soltanto falsa biografia intellettuale perché non ne aveva a disposizione vera ma non ne criticò autentica e vera filosofia, anzi di fatto si ritrovò a destare nuova attenzione per essa e ad evidenziare di fatto, per i veri intenditori, qualcosa di artefatto dalla violenza inquisitoria, riguardo a solamente presunta biografia di stesso Giordano Bruno...
La filologia machiavellica, che definiva verbalmente principio politico in quanto tale, non era stata senza altrui conferme; perché la filologia italiana, quale rigoroso pensiero, scaturiva dagli appositi e consapevoli lavori filologici di Torquato Tasso che, durante stessa stabilizzazione di lingua italiana dovuta specialmente a stessa sua opera poetica, proprio una filologia applicava, a medesima sua opera in evoluzione alternativa, da sé; sua riduzione filologica del Poema instaurava rapporto circolare tra termini, offrendo àmbito non solo dando esempio di filologia anche futura; ma tal filosofica fondazione da T. Tasso realizzata non era rivolta alla scienza piuttosto era vòlta a relazioni tra spiritualità espressioni e filosofia stessa; quale filosofo essendo egli un esteta, che conosceva l'estetica antica al pari conosciuta da Aristotele (in tal senso non aristotelica!)... Dunque questi accadimenti, da Machiavelli a Tasso ed oltre, che han premesse culturali-filosofiche non rigorosamente gnoseologiche nella antica filologia latina-italica, non sono del tutto comparabili a quelli di cui protagonista Vico ed altri; né bisogna sottovalutarli, infatti avvalorandone ancora si evita di restar prigionieri di giuste polemiche, antiscientiste ed antioscurantiste, ma che non devon impegnar troppo. (...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

...
Purtroppo molti in Italia profittano della violenza inquisitoria — questa oramai da mondo ex cattolico, cattolicista e senza vero cattolicesimo — per tentare una riconduzione culturale ad antichità e cercando di fare della "Scienza Nuova" di Vico una vecchia ragion metafisica, cercando assurdamente di mostrar superiorità di enciclopedismo medioevale-moderno su catalogazioni intellettuali moderne e di fatto così essi stessi od altri ad essi stessi soggetti dissuadendo a nuove scienze e negandone fondazione filosofica; e questo evidentemente è tradimento intellettuale, che io denuncio perché ho potuto notarne attentamente, anche di ingiusta rabbia di esso contro i retaggi neolitici in Italia da cui medesimo Giordano Bruno era stato proveniente; questi ultimi non sono primordialità né semplicità naturale, eppure a causa di queste ultime essi non sono alienazioni cui porre rimedio; e se ve ne fosse stato in Italia retto intendimento, tra maggioranza o stragrande maggioranza di intellettuali, non sarebbe stato possibile — ne scrivo per fare esempio ma non senza importanza di esempio stesso — coinvolger finanche ruoli di sindaci in richieste di trattamenti sanitari obbligatori sempre e del tutto insensati e peraltro da malasanità non solo notificati anche assurdamente e illecitamente tentati di essere imposti, perché la sanità essendo servizio mai potrebbe esser obbligo impartito, solo notificato e peraltro mai alcuna medicina potendosi imporre od obbligare né avendo senso il persuadere a sanità e neanche a medicina, potendo aver un senso soltanto informazione a reali bisognosi richiedenti; ma purtroppo da troppi che non han voluto vivere in intuizione neppur futura di queste verità c'è stato scellerato timore per manifestazioni naturali semplici, timore che ugualmente a suscitar razionalismi intellettualistici in pari distratti ha suscitato, con tanto di firme di sindaci, rappresaglie etnofobiche, che non solo tentando di ridurre grecità italiana a retaggio di passato ellenico da terminare hanno avuto ed hanno purtroppo scopo di istituire con violenza una civiltà o peggio una civilizzazione distaccata da natura dei luoghi, destinata a penurie e morti a causa di criminale senso di sorta di scandalo e rifiuto da parte di stessi autori di rappresaglie che confondono nudità con volontà di offender oscenamente e negando valore insostituibile di intuizioni naturali e semplici. Criminali che si sollazzano coi timori, ai danni della esistenza ferina di una umanità che può esser anche qualsiasi umanità perché il cosmopolitismo greco non è mai, mai fu dunque, una missione dai luoghi greci bensì è rapportarsi spontaneo a luoghi, vari, indeterminabili, da essi stessi; e gli stessi criminali fomentano intontimenti ipercivili e li convertono in inopportuna primitività, accusando ingiustamente le autentiche circostanze primitive umane ed impedendo comprensione degli "altri" (dei quali anche io che scrivo sono), coloro che invece vivono anche la forza primigenia, che essendo tale e non primitiva a niente nuoce e nulla impedisce, neppur civiltà e restanti àmbiti ad essa soggetti, neppure evoluzione da vita primitiva a non primitiva.
Per tal motivo e per altri motivi non diversi l'unico modo possibile, anche giusto, di relazionarsi alla filosofia del Vico è quello aperto, o perlomeno non chiuso, alla spontaneità primigenia; invece non è accettabile l'ossessione, per giunta anche vuota, per le vicende, romanesche neppure romane, di irriflessivi "macisti" di estenuati intellettuali e di politici in importuna stasi di veri eventi. Infatti divinità ed eroismo ed umanità sono da intendersi nella concezione storica transpersonalmente-personalmente, quali: vita-umana-vita; e solo considerandone fondamentalità naturale mai alienata se ne può identificare eventuale esternità di imitazioni alienate; e ciò non è nel confrontarsi a pensiero hegeliano.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In mio primo testo in frase 'pur sempre ad essa relazionat', 'relazionat' sta per: relazionato.
Per agio di lettura accludo intero testo corretto:

Scienza Nuova fu, da parte di G. Vico, anche fondazione, filosofica, delle scienze empiriche, ovvero scienze dell'esperire non dell'esperimento, fondazione resa possibile attraverso un diverso non differente rapporto tra la eventualità e la mentalità, questa esente dal mutare le cose nel tempo dell'esperimento e soggetta al mutamento delle cose nei tempi della esperienza, empiria manifestata in un esempio (ovviamente) non tipico ma opportunamente generale, in quanto suo esperire concerneva sfera emotiva, razionale, collettiva, singolare, politica, impolitica; Vico affermava il principio dell'esperire scientifico mostrandolo in una sua determinazione, la quale era un principio di etnologia, definita scientificamente non generalmente ma non tale attuata, datoché le descrizioni vichiane sono filosofiche e non scientifiche quali invece i principi formulati senza dipendenze da esse eppur con esse. La attuazione scientifica accadde assai dopo, in Germania attraverso le "teorie culturali" dell'Impero Asburgico non estraneo per breve periodo a stessa Germania; nel frattempo fu proprio in questo luogo che J. W. Goethe elaborava, sull'esempio immediato fornitogli dallo storicismo vichiano, un altro analogo non ugual principio, definizione scientifica della morfologia, con successiva scientifica attuazione pure, ad opera dello stesso Goethe. Dunque in realtà non va attribuito a stessa filosofia del Vico questo successivo evento, pur sempre ad essa relazionato; e con tale osservazione risulta impossibile l'errore di chi tratta materia di studio inoltrato da Vico per "materia delle materie"; errore che antioccidentalismo ed antiplatonismo unendosi indebitamente hanno fatto e reiterato fino ad oggi, con la conseguenza di screditare le nuove scienze moderne, morfologia, biologia, etnologia! , sociologia, psicologia, neurologia... Di questo discredito piacque e piace profittare dalle forze oscurantiste nella religione, non della religione né delle religioni, cui stessi erranti poi criticano le azioni, ma inanemente e distruttivamente; ed il marxismo tra questi erranti va considerato: Marx non seppe capire che era in stessa Opera di Vico, altrimenti riferito ma non altrimenti formulato, il principio operativo da lui altrimenti auspicato e ricercato e vanamente perché scartando nuove scienze empiriche ne restava negata sociologia scientifica, tanto che Marx basava sue riflessioni economiche su fisica dinamica e su principi aritmetici a questa utili e di fatto recava linguaggio di sociologia scientifica ma privandolo di oggetto proprio...
[...]

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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Forse sarà utile a chi legge la seguente mia precisazione circa mio invio, sicuramente potrebbe essere adatta a contrastare intimidazioni e discrediti ai miei e non solo miei danni:

Sono dispiaciuto dell'inconveniente di scrittura occorso, sia pur minimo e trascurabile e che dipende da noie non solo a me arrecate delittuosamente da altri e durate tanto e tanto tempo (ancora) e necessitantimi altre urgenti attenzioni alternative e cui non ho voluto opporre maggior impegno per mio filosofico senso del limite ed istintiva mia saggezza.

Poiché Internet non è una libreria, allora basti pure ultimo invio che ho fatto con correzione inclusa.

MAURO PASTORE