Roma, Carocci, 2010, pp. 360, euro 34, ISBN 978-88-430-5348-3.
“Spesso si dice che con Frege comincia la filosofia analitica. Questo non spiega una tale attenzione verso la matematica; ne è piuttosto la conseguenza” (p. 65). È evidente già dal titolo come il volume di Panza e Sereni non si occupi di storia della filosofia analitica; ma la citazione con cui abbiamo deciso di aprire questa recensione può difficilmente essere contestata. Sono molte le ricostruzioni della natura della filosofia analitica che si tentano oggi di fare: alcune proposte s’imperniano sulla cosiddetta
svolta linguistica che caratterizzerebbe questo stile di riflessione filosofica, altre letture ne vedono l’atto di nascita nella rivolta contro l’idealismo inglese d’inizio Novecento. Molte altre possono essere avanzate. Trattandosi di un movimento vasto e disomogeneo, è difficile trovare delle caratteristiche che lo identifichino univocamente. Citando Wittgenstein potremmo dire che tra i vari modi di fare filosofia analitica sussista solo una somiglianza di famiglia: per rimanere in metafora possiamo aggiungere però che, nonostante queste difficoltà, l’attenzione per la matematica rimane un antenato imprescindibile della filosofia analitica. È evidente come nel corso del Novecento i filosofi siano tornati a occuparsi (se mai abbiano smesso) della matematica. Eppure non si può dire che questo interesse per la matematica sia distribuito in maniera omogenea nel panorama filosofico contemporaneo: se confrontiamo il peso che la filosofia della matematica riveste nella filosofia analitica con quello che riveste nelle correnti accorpate convenzionalmente sotto la dicitura di “continentali” non possiamo non notare una discrepanza. Ci sarebbero da fare molti distinguo su questo punto, per esempio occorrerebbe notare come nella fenomenologia, senza dubbio la corrente continentale con più punti di contatto con la filosofia analitica, sia presente in maniera notevole una riflessione sulla natura della matematica; ciò non toglie che solo nella filosofia analitica la filosofia della matematica sia diventata una disciplina centralissima. Michael Dummett ha espresso bene la natura di questo legame, osservando come solo la filosofia e la matematica abbiano in comune il fatto di non avere bisogno d’input dall’esperienza: ha osservato anche come l’esempio della matematica possa confortare la filosofia mostrando modi in cui la conoscenza possa progredire in direzioni inaspettate anche senza basarsi sull’esperienza. Difficile non pensare alla prefazione alla seconda edizione della prima critica kantiana e alle conclusioni opposte a quelle di Dummett che sono tratte nella Dialettica Trascendentale.
svolta linguistica che caratterizzerebbe questo stile di riflessione filosofica, altre letture ne vedono l’atto di nascita nella rivolta contro l’idealismo inglese d’inizio Novecento. Molte altre possono essere avanzate. Trattandosi di un movimento vasto e disomogeneo, è difficile trovare delle caratteristiche che lo identifichino univocamente. Citando Wittgenstein potremmo dire che tra i vari modi di fare filosofia analitica sussista solo una somiglianza di famiglia: per rimanere in metafora possiamo aggiungere però che, nonostante queste difficoltà, l’attenzione per la matematica rimane un antenato imprescindibile della filosofia analitica. È evidente come nel corso del Novecento i filosofi siano tornati a occuparsi (se mai abbiano smesso) della matematica. Eppure non si può dire che questo interesse per la matematica sia distribuito in maniera omogenea nel panorama filosofico contemporaneo: se confrontiamo il peso che la filosofia della matematica riveste nella filosofia analitica con quello che riveste nelle correnti accorpate convenzionalmente sotto la dicitura di “continentali” non possiamo non notare una discrepanza. Ci sarebbero da fare molti distinguo su questo punto, per esempio occorrerebbe notare come nella fenomenologia, senza dubbio la corrente continentale con più punti di contatto con la filosofia analitica, sia presente in maniera notevole una riflessione sulla natura della matematica; ciò non toglie che solo nella filosofia analitica la filosofia della matematica sia diventata una disciplina centralissima. Michael Dummett ha espresso bene la natura di questo legame, osservando come solo la filosofia e la matematica abbiano in comune il fatto di non avere bisogno d’input dall’esperienza: ha osservato anche come l’esempio della matematica possa confortare la filosofia mostrando modi in cui la conoscenza possa progredire in direzioni inaspettate anche senza basarsi sull’esperienza. Difficile non pensare alla prefazione alla seconda edizione della prima critica kantiana e alle conclusioni opposte a quelle di Dummett che sono tratte nella Dialettica Trascendentale.
Nella prefazione gli autori de Il problema di Platone forniscono una rapida mappa dei problemi principali che si affrontano generalmente in filosofia della matematica: vi sono problemi fondazionali, legati alla migliore strategia di giustificazione dell’edificio della matematica, problemi legati alla natura della matematica stessa (fra i quali v’è precisamente il summenzionato problema di Platone). Vi sono inoltre problemi interpretativi più specifici, legati ad esempio alla visualizzazione in matematica o al ragionamento diagrammatico, e vi sono infine problemi legati all’applicabilità della matematica, soprattutto del suo ruolo nelle scienze empiriche. Ovviamente, come puntualizzano gli autori, questi problemi non sono tra loro indipendenti: solo per fare un esempio, l’argomento d’indispensabilità, che riguarda il secondo tipo di problemi (natura della matematica) mostra l’irrinunciabilità di alcuni aspetti della concezione platonista proprio facendo riferimento al ruolo svolto dalle teorie matematiche nelle scienze empiriche (applicabilità della matematica).
Il volume si occupa di quello che gli autori chiamano “Problema di Platone”, ovverosia uno dei problemi principali legati alla natura della matematica, che può essere formulato con le domande: di cosa parlano gli asserti matematici? E se non parlano di nessun tipo di oggetti, a cosa devono la propria intelligibilità? Pur valutando differenti strategie di risposta a questo problema, il volume si concentra su quell’ampia classe di risposte raccolte sotto il nome di platonismo, ovverosia la tesi secondo cui gli asserti matematici si riferiscono a oggetti astratti, in qualche modo da qualificare. Non mancano esposizioni di risposte di diversa natura, come il finzionalismo (la tesi secondo cui gli asserti matematici vadano intesi in analogia con asserti del discorso di finzione) oppure il nominalismo di Field. Tuttavia il testo è pervaso da un continuo confronto con i vantaggi che offre l’impostazione platonista e anche quando sono presentate risposte radicalmente diverse gli autori mantengono il platonismo come interlocutore principale. Ci permettiamo di osservare che il sottotitolo del volume, Un’introduzione storica alla filosofia della matematica, non appare perfettamente esplicativo del contenuto: è vero che sono presenti riferimenti a Platone, Proclo, Kant, ma è dalla riflessione di Frege in avanti che il problema è sviscerato facendo riferimento soprattutto alla riflessione odierna. Questo è in parte giustificato dagli autori sostenendo che “il modo di fare filosofia della matematica di Frege differisce da quello di Kant molto di più di quanto questo differisca da quelli di Platone, Aristotele, Proclo” (p. 65), nonostante Frege nasca neanche cinquant’anni dopo la morte di Kant. Ma chi fosse alla ricerca di una completa presentazione della storia della riflessione filosofica sulla matematica potrebbe rimanerne deluso. Questo perché gli autori dedicano più della metà del volume a presentare il dibattito attorno a due degli argomenti più frequentati nella filosofia della matematica dagli anni ’60 in avanti: il dilemma di Benacerraf e l’argomento dell’indispensabilità, che può essere fatto risalire a Quine e Putnam. Di Benacerraf è presentato anche il suo cosiddetto “primo argomento”, esposto in What numbers could not be del 1965, ma è al suo dilemma che sono dedicati ben tre capitoli del volume, se si contano le varie risposte da parte di altri autori. Una volta appurato come il volume si concentri soprattutto sulla riflessione dagli anni ’60 in poi, si può far tesoro della perizia degli autori nel presentare le più autorevoli posizioni della filosofia della matematica contemporanea. Detto questo presentiamo brevemente gli argomenti che la fanno da padroni nel volume di Panza e Sereni.
Il dilemma di Benacerraf è stato presentato dall’autore nell’articolo Mathematical Truth del 1973. Il dilemma mostra delle incompatibilità tra una plausibile semantica per gli asserti matematici e una plausibile epistemologia per gli stessi. La richiesta semantica consiste nel porre come condizione d’adeguatezza il fatto che una semantica per gli asserti matematici debba essere analoga a quella di altri asserti di diversa provenienza. La richiesta epistemologica consiste nel sostenere che una plausibile teoria della conoscenza dovrebbe fondarsi su una nozione causale di conoscenza, in base alla quale un soggetto conosce che p solo se vi è una qualche relazione causale tra il soggetto e ciò che rende vero p; ma se seguiamo l’ipotesi platonista, i numeri naturali (solo per fare un esempio) sono oggetti astratti indipendenti da noi. Quale relazione causale potremmo intrattenere con essi? Se rispondiamo sostenendo che dimostrando asserti matematici riconosciamo come veri tali asserti e se teniamo comunque distinte verità e dimostrabilità, la nostra giustificazione di un asserto matematico non si fonderebbe su una relazione causale con ciò che rende vero tale asserto. In pratica il dilemma cerca di mostrare come una buona semantica sia incompatibile con una buona epistemologia (che secondo Benacerraf è una forma di teoria causale). “Due richieste separatamente plausibili relativamente alla verità degli asserti matematici e alla conoscenza matematica non possono essere soddisfatte insieme” (p. 127). L’argomento originale dell’autore presenta delle caratteristiche che possono essere eliminate, con la conseguenza di generalizzare il problema. In particolare è stato notato come il dilemma non dipenda dall’assunzione di una teoria causale della conoscenza: il core dell’argomento sta nel problema dell’accesso, ovvero, com’è possibile che il riferimento dei termini matematici siano oggetti astratti e indipendenti ma cui noi possiamo accedere? Si tratta di riconciliare semantica ed epistemologia della matematica e a questo livello il dilemma coinvolge qualunque filosofia della matematica, non solo il platonismo.
Panza e Sereni propongono di suddividere le risposte al dilemma di Benacerraf in conservative e non-conservative, seguendo l’analoga classificazione di Bale e Wright nel loro Nominalism and the contingency of abstract objects: le risposte conservative accettano entrambe le richieste del dilemma e cercano di conciliarle, le risposte non-conservative rigettano almeno una delle due richieste. Il quarto capitolo è dedicato a quest’ultimo tipo di risposte e sono prese in considerazione le seguenti posizioni: il nominalismo di Field, il funzionalismo di Yablo (in parte difeso anche da Field), lo strutturalismo eliminativo modale di Hellman e il realismo empirista e cognitivo di Maddy. Il quinto capitolo passa in rassegne le risposte conservative che s’inquadrano nella tradizione del platonismo: il neologicismo di Wright e Hale, la teoria degli oggetti astratti di Linsky e Zalta, lo strutturalismo non-eliminativo di Shapiro e la versione di Parsons.
Il resto del volume è dedicato alla presentazione dell’argomento d’indispensabilità, alle sue differenti versioni e al dibattito scaturito in ambito analitico. L’argomento in questione viene spesso considerato un “asso nella manica” del platonista, perché si basa su assunzioni perfettamente legittime per il nominalista (la posizione eternamente ostile al platonismo secondo cui non vi sono oggetti astratti che siano il riferimento dei termini matematici e la realtà è composta solamente da oggetti concreti). L’assunzione principale riguarda il ruolo che le teorie matematiche svolgono nelle teorie scientifiche, in primis fisiche. Tali teorie fisiche non potrebbero fare a meno degli strumenti matematici che utilizzano (ecco l’indispensabilità). Se riteniamo vere (o comunque valide in un qualche senso da specificare) le nostre teorie scientifiche non possiamo non garantire lo stesso grado di verità (o validità) alle teorie matematiche utilizzate, che sono perciò condizioni necessarie delle teorie scientifiche. Di conseguenza, e questo è l’ultimo passo dell’argomento, non possiamo fare a meno di ammettere nella nostra ontologia gli oggetti matematici, come ammettiamo gli oggetti concreti descritti dalla fisica. Questa non è altro che una presentazione molto parziale dell’argomento e ogni dettaglio di ciascuna premessa può essere criticato e rigettato, come in molti hanno fatto. Ciononostante resta un argomento importante e l’interesse verso di esso non accenna a diminuire. Ciò è dovuto alla sua relativa “economia”, giacché coinvolge solamente il ruolo della matematica nella scienza e non fa assunzioni sulla natura che gli oggetti matematici presenti nella conclusione debbano avere. Il volume sviscera completamente tutte le caratteristiche dell’argomento e ogni termine impiegato: è evidente come sotto l’apparente ingenuità delle sue premesse si nascondano una serie di forti assunzioni filosofiche. Che cosa significa che qualcosa è indispensabile per qualcos’altro, soprattutto per una teoria scientifica? Quand’è che ci impegniamo nelle nostre teorie nei confronti dell’esistenza di certe entità? È presupposto dall’argomento un certo grado di naturalismo? Quest’argomento è davvero risolutivo della disputa tra platonisti e nominalisti? Dopo aver chiarito tutti i dettagli delle diverse formulazioni e dei differenti modi in cui si può sostenere o rifiutare l’argomento, l’ultimo capitolo è dedicato al dibattito e alle risposte che sono state proposte: rifiutando l’indispensabilità della matematica, oppure proponendo un diverso criterio d’impegno ontologico o rifacendosi al finzionalismo e molte altre proposte di soluzione.
In conclusione, possiamo osservare che il testo non lesina completezza teorica in nessun argomento trattato: soprattutto dal terzo capitolo alla conclusione (ovverosia alla parte dedicata alla presentazione e discussione degli argomenti di Benacerraf e d’indispensabilità), che rappresenta la stragrande parte del volume, gli autori hanno chiaramente optato per la massima esaustività che fosse loro concessa. Ripetiamo che, con buona pace del sottotitolo, il testo non è una storia della filosofia della matematica o almeno non sono quelle le pagine che meritano più attenzione. Un’altra osservazione che ci permettiamo di fare è che Il problema di Platone non è un’introduzione di assoluta semplicità: questo perché gli autori non risparmiano in dettagli e ci forniscono così uno strumento molto utile per chi già non sia digiuno di logica e filosofia del linguaggio. L’utilizzo migliore che se ne può fare consiste nell’accompagnare la lettura di una buona antologia di filosofia della matematica (come l’ottima Benacerraf – Putnam, Philosophy of Mathematics. Selected Readings) con il volume di Panza e Sereni: per un simile scopo sono effettivamente fornite molte sollecitazioni che possono consentire al lettore volenteroso di districarsi in questo vivace ambito della riflessione filosofica contemporanea.
Indice
Introduzione
Prefazione
1. Il platonismo in filosofia della matematica 1.1. Esistenza di oggetti astratti
1.2. Che cos’è un oggetto astratto? 1.3. Che cos’è un oggetto matematico? 1.4. Il platonismo aritmetico 1.5. Che cos’è un oggetto ? 1.6. Le virtù del platonismo 1.7. Platonismo, realismo, oggettività 1.8. Alcune difficoltà del platonismo
2. Il nominalismo in filosofia della matematica 2.1. Parafrasi
2.2. Asserti senza contenuto 2.3. Empirismo in filosofia della matematica 2.4. Gli asserti matematici sono veri solo se lo sono vacuamente 2.5. Finzionalismo
3. L’argomento di indispensabilità
I. Il problema di Platone
1. Il problema di Platone 2. Aristotele fra platonismo e anti-platonismo 3. Proclo: l’interpretazione neo-platonista della geometria di Euclide 4. Kant: la reinterpretazione trascendentale dell’aritmetica e della geometria classiche
II. Da Frege a Gödel (passando per Hilbert)
1. Il platonismo logicista di Frege 1.1.L’evoluzione dell’analisi fra sette e ottocento: il contesto storico del
programma di Frege 1.2. Il sistema formale di Frege
1.3. Le definizioni dei numeri naturali 1.4. Le linee guida per una definizione dei numeri reali 1.5. La contraddizione del sistema formale di Frege
2. Russell e la scissione fra logicismo e platonismo.
3. La teoria degli insiemi
4. Il problema dei fondamenti 4.1. Carnap fra logicismo e empirismo logico 4.2. Hilbert e la fondazione assiomatica delle geometria 4.3 Hilbert, il programma formalista e l’emergenza della metamatematica 4.4 I teoremi di Gödel
4.5 La strategia intuizionista 5. Il platonismo di Gödel e l’avvento dell’intuizione matematica
III. Il dilemma di Benacerraf
1. Ciò che i numeri naturali non possono essere (secondo Benacerraf) 2. Il dilemma di Benacerraf
3. Una mappa delle risposte al dilemma di Benacerraf: le soluzioni contemporanee del problema di Platone
IV. Risposte non conservative al dilemma di Benacerraf
1. Il nominalismo di Field: matematica senza verità e scienza senza numeri 2. Matematica come finzione: Field e Yablo 3. Lo strutturalismo eliminativo e la sua versione modale 4. Maddy e le origini cognitive della teoria degli insiemi
V. Risposte conservative al dilemma di Benacerraf
1. Il neologicismo: una versione aggiornata del programma di Frege
2. Linsky e Zalta: matematica e logica (o metafisica) degli oggetti astratti
3.Una prima versione dello strutturalismo non-eliminativo: lo strutturalismo ante rem
4.Una seconda versione dello strutturalismo non-eliminativo: Parsons e il ruolo dell’intuizione
VI. L’argomento di indispensabilità: struttura e nozioni fondamentali
1. La struttura dell’argomento e le sue diverse versioni possibili
2. L’argomento Quine-Putnam e quello di Colyvan 2.1. L’argomento Quine-Putnam
2.2 L’argomento di Colyvan
3. (In)dispensabilità 3.1 Che cosa è indispensabile e per che cosa ? 3.2 Che cosa significa essere (in)dispensabile?
3.2.1. Il metodo delle parafrasi 3.2.2. Equivalenza osservativa 3.2.3. (In)dispensabilità e spiegazione 3.2.4. Una chiarificazione generale della nozione di (in)dispensabilità
4. Il criterio di impegno ontologico di Quine 4.1 Il criterio di Quine
4.2 Una generalizzazione del criterio di Quine 5. Naturalismo
7. Olismo della conferma
VII. L’argomento di indispensabilità: il dibattito
1. Contro l’indispensabilità
2. Contro il criterio di impegno ontologico 2.1 Esistenza e ontologia: la critica di Carnap 2.2 Oggettività senza oggetti: Putnam sulle descrizioni equivalenti 2.3 La “strada facile” per rigettare AI 2.4 Il finzionalismo come risposta a AI
3. Contro il naturalismo e contro il realismo scientifico 3.1 Il naturalismo di Maddy
3.2 Contro il realismo scientifico
4. Contro l’olismo della conferma 4.1 Le critiche al modello ipotetico-deduttivo della conferma 4.2 L’empirismo contrastivo di Sober 4.3 Maddy e l’obiezione della pratica scientifica 4.4 Resnik e AI pragmatico
1 commento:
Introdurre alla storia di filosofia e matematica col "dilemma suscitato da Platone" permette considerazioni storiche particolarmente interessanti data nuova condizione culturale attuale di culture e filosofia.
La svolta linguistica della filosofia analitica reincluse nelle proprie ricerche le infinità matematiche (dagli infinitesimi delle funzioni agli insiemi infiniti), queste dapprima escluse con l'inizio logico-filosofico, quindi pervenne a ridefinirsi quale procedimento filosofico non conchiuso, cui seguirono le analisi filosofiche delimitate le quali resero obsoleto l'uso primario della linguistica e iniziarono impiego di glottologia, questo verificabile rigorosamente da studio glottologico distinto, essendo tale esternità uno degli scopi dell'impiego che serviva ai filosofi analisti a non separarsi dalla datità scientifica senza omologarsene.
La non apertura logica e l'impiego glottologico non consentivano numerologie e cifrari di enti ed entità assoluti ma includevano i riferimenti linguistici alle infinità. Per tale via razionale nuove analisi riformularono gli asserti analitici della validità operativa dei termini linguistici non oggettivi né oggettuali quali: essere, oltre, aldilà, eternità, infinitezza, nulla, nullità. Le riformulazioni ottennero il risultato di rovesciare lo schema analitico-ontologico-epistemologico in schema analitico-epistemologico-ontologico ed agli elenchi dei puri nessi linguistici non fondamentali furono aggiunti gli elenchi delle sintesi semplici fondamentali glottologiche che non sono l'essere e il nulla ma l'eternità e la infinitezza. Allo schema ed elenco nuovi si aggiunse una analisi terminologica corrispondente, che poneva fine al relativismo analitico aggiungendone assolutismo analitico anche. La polemica atea-relativista si ritrovò senza disponibilità di asserti filosofici analitici e la reazione religiosa-oscurantista senza opportunità di negazioni antirelativiste antianalitiche.
Questa nuova condizione culturale di unione di destini filosofici continentali con non continentali consente di restituire al cosiddetto problema matematico posto da Platone tutto il proprio senso di affermazione/negazione ed il significato suo intero di distinzione/identificazione, nella dualità metafisica antica di conteggio/calcolo, corrispondente alla contemporanea di cifra/numero, secondo evoluzioni scientifico-matematiche da antichità a modernità.
Nei termini filosofici entro cui posto prima della reunificazione analitica-continentale esso non comprendeva il cosiddetto "problema dello zero" filosoficamente corrispondente alle fondamentali 'analisi dello zero' delle scienze matematiche attuali. A causa di tale non-comprensione le teorie culturali circa la ingenuità del pensiero antico e sua presunta inadeguatezza odierna erano già state analiticamente - filosoficamente smentite.
MAURO PASTORE
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