Torino, Bollati Boringhieri, 2012, pp. 133, euro 9, ISBN 978-88-339-2305-5.
La verità è fragile, unica e invisibile. Essa richiede completezza, giustizia epistemica e un utilizzo costante e accorto della ragione. La menzogna invece ha mille volti e seduce perché ci offre un mondo semplificato e credibile. A rendere il tutto più difficile, una vasta zona grigia di vaghezza di cui i mentitori si servono per ottenere i loro scopi e fare leva sulle debolezze della ragione.
Così, in estrema sintesi, si potrebbe riassumere il quadro concettuale in cui si muove Menzogna di Franca D'Agostini.
Non ci si faccia ingannare dalle ridotte dimensioni né dal titolo: il volume non è una semplice introduzione panoramica sul tema della menzogna. L'autrice, nonostante il carattere divulgativo del testo, adotta una posizione filosofica forte: “quel che propongo in queste pagine è un'analisi nella prospettiva del concetto di verità” (p. 14).
L'itinerario teorico a difesa di questa posizione si articola in quattro fasi: il primo capitolo tratta la nozione di verità e le diverse teorie (coerentismo, pragmatismo) elaborate principalmente in ambito analitico, confrontandole con la definizione realista, che risulta vincente.
A queste tesi, come alla posizione del nichilismo aletico, l'autrice risponde proponendo l'argomento di indispensabilità: qualsiasi affermazione implica “un inespresso e inaggirabile legame con la nozione classica di verità” (p. 31).
Il rapporto tra epistemologia e teoria della menzogna diventa centrale nella zona delle credenze “non designate”, “su cui non abbiamo le idee chiarissime, e dunque non possiamo assegnare V, ma neppure possiamo assegnare F (falso)” (p. 39).
Completa il capitolo la classica distinzione tra veridicità, sincerità e trasparenza.
Il secondo capitolo offre una fisionomia della menzogna “distinguendola dai suoi affini e correlati: falso, errore, finzione, simulazione” (p. 50). L'atto di mentire è composto da tre elementi: credenze, intenzioni e coscienza del mentitore. L'intenzione è indipendente dal contenuto concettuale di cui ci serviamo per rendere efficace la menzogna: possiamo ingannare qualcuno anche dicendo la verità, se il destinatario ci ritiene epistemicamente inaffidabili. L'intenzione ci permette di distinguere la menzogna dall'errore: la prima è compiuta con l'intenzione di “fare credere che non-p”, mentre la seconda è data semplicemente da ignoranza.
D'Agostini affronta anche il tema della gradualità della coscienza riferendosi, nello specifico, al noto caso di Amanda Knox e della sua testimonianza ritrattata (p. 58). Completa il capitolo la disamina delle quasi-menzogne: una banconota falsa non è proposizionale e quindi non è una menzogna: rientra nella categoria del falso.
Il terzo capitolo si sofferma sulla valutazione morale del mentire, analizzando anche pratiche affini come sviamento, manipolazione e spinning. D'Agostini conclude che la menzogna non può essere mai buona ma solo legittima. Essa è frutto di un conflitto normativo (dilemma) in cui “due norme che dovrebbero valere congiuntamente (e di regola valgono così) per sfortunata sorte si rivelano in contrasto” (p. 75). Tra A) “non mentire” e B) “non procurare danno a te stesso o agli altri” dobbiamo fare una scelta e spesso il contesto ci obbliga a scegliere il male minore, rappresentato in questo caso dall'asserzione mendace.
Merita una nota a parte il trattamento riservato dall'autrice al tema dello sviamento: di fronte ad un proferimento vago, si lascia al destinatario il compito di dedurre il significato. Questo espediente viene giudicato negativamente da D'Agostini, in netta controtendenza rispetto alla tradizione, in quanto scarica la responsabilità dell'interpretazione a carico del destinatario. Oltre ad essere ingannato, il destinatario si sentirà in colpa per essersi danneggiato “con le sue stesse mani”.
L'etica cristiana (Agostino ma anche Kant) tendeva a privilegiare l'integrità morale del mittente, ammettendo il ricorso a simili tattiche.
Il quarto capitolo approfondisce le modalità attraverso cui la menzogna prospera: strategie retoriche, tracce e una particolare riflessione sul tema del nichilismo nell'era dei social network.
La pratica della menzogna si articola a vari livelli crescenti: dalla menzogna semplice passiamo per gradi alla costruzione di realtà fittizie (premenzogne), che arrivano anche a identificare una cultura.
L'era dei social network sembra caratterizzata da un nichilismo che si articola in indifferenza verso la verità, delega del vero, una spiccata tendenza anti intellettualistica e declino del valore e prestigio della cultura. Le nuove tecnologie informatiche polarizzano in modo esasperato le opinioni e aumentano a dismisura il quantitativo di informazioni a cui abbiamo accesso (information overload). Nonostante il quadro complessivo non sia confortante, D'Agostini risponde con un argomento già caro ad Hannah Arendt: “è vero che ci sono molti modi di mentire, mentre la verità è una sola. Ma ciascuno di quei modi deve contenere in sé il vero che può distruggerlo dall'interno” (p. 130). Attraverso la Rete, siamo potenzialmente più informati e quindi, un ipotetico mentitore dovrà rendere più accurate le proprie tecniche decettive, alimentando e raffinando l'eterna lotta tra verità e menzogna, compito principale dell'attività filosofica.
Indice
Introduzione
Dalla verità alla menzogna
La fragilità della verità
La soluzione
1. Che cosa significa «vero» ?
1.1 Teorie della verità
1.2 I due problemi e il primato della teoria realistica
1.3 Sgarbati con Kant
1.4 Né vero né falso
1.5 A che cosa serve la verità?
2. Che cosa è la menzogna?
2.1 Falsità e menzogna
2.2 Farti credere quel che io non credo
2.3 L'intenzione di mentire
1. Il ruolo del falso
3. Le buone menzogne non sono menzogne o non sono buone
3.1 Menzogne dannose o benevole
3.2 Le buone menzogne non sono buone
1. Fuorviare e manipolare
4. Modi di mentire
4.1 Dalla menzogna semplice alla menzogna senza menzogna e senza traccia
4.2 La premenzogna e la menzogna al potere
4.3 Menzogne che distruggono la conoscenza
4.4 La menzogna nella Rete
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