Traduzione di F. Gagliardi, Perugia, Aguaplano, 2012, pp. 41, euro 13, ISBN 978-88-97738-16-9
È noto come l’interesse maturato da Martin Heidegger nei confronti della letteratura poetica tedesca debba intendersi a partire dallo “scacco metafisico” di fronte al quale il pensatore di Freiburg ebbe a trovarsi durante la stesura del suo epocale capolavoro del 1923, Sein und Zeit. Heidegger parlò di una carenza linguistica che lo condusse all’impossibilità di proseguire lo scritto. Ma ciò che ha impedito a Heidegger di scrivere la seconda parte di Essere e Tempo non è da intendersi alla stregua di una mera penuria verborum;
ben diversamente, è come se si imponesse al suo ragionamento, nel tentativo di pensare l’Essere, l’ineffabile primato ontologico del Linguaggio – concepito non più come strumento utilizzato dall’uomo, bensì come parola dell’Essere, nei confronti della quale la creatura umana non può che essere hörig, “in ascolto”. Se Essere e Tempo si arresta nell’istante in cui si mostra la necessità, affinché possa darsi il superamento del primato ontologico del soggetto, di pensare il Linguaggio non come strumento umano, bensì come “voce dell’Essere” che attraverso l’uomo risuona; e il verbo poetico realizza, per Heidegger, tale necessità – ne risulta che la poesia, nell’ottica heideggeriana, si pone esattamente come ciò che mostra il Linguaggio quale ricezione, nell’esserci, dell’Essere.
ben diversamente, è come se si imponesse al suo ragionamento, nel tentativo di pensare l’Essere, l’ineffabile primato ontologico del Linguaggio – concepito non più come strumento utilizzato dall’uomo, bensì come parola dell’Essere, nei confronti della quale la creatura umana non può che essere hörig, “in ascolto”. Se Essere e Tempo si arresta nell’istante in cui si mostra la necessità, affinché possa darsi il superamento del primato ontologico del soggetto, di pensare il Linguaggio non come strumento umano, bensì come “voce dell’Essere” che attraverso l’uomo risuona; e il verbo poetico realizza, per Heidegger, tale necessità – ne risulta che la poesia, nell’ottica heideggeriana, si pone esattamente come ciò che mostra il Linguaggio quale ricezione, nell’esserci, dell’Essere.
In questa Kehre (svolta) da cui, possiamo ben dire, prende le mosse l’ermeneutica contemporanea, va collocato l’interesse fortissimo che Heidegger riservò a un non celeberrimo poeta vernacolare svevo, pastore protestante, insegnante e prelato di campagna: Johann Peter Hebel (1760-1826). Tra tutti i poeti della cui parola Heidegger si mise in ascolto, Hebel è, da un lato, il meno celebrato, apparentemente il più modesto; dall’altro lato, quello che più profondamente tocca le corde dello spirito filosofico heideggeriano per quanto concerne alcuni temi fondamentali: una ben precisa concezione del rapporto tra l’essere umano e la sua terra di appartenenza (che Heidegger ebbe a definire nel concetto di Bodenständigkeit); la relazione strutturale tra popolo, tradizione rurale ed elemento geografico naturale; l’ideale del Lavoratore-contadino; l’abitare come dato non-contigente, bensì fondante, dell’esserci; il principio del “sentirsi a casa” in un piccolo orizzonte di riferimento, opposto al mondialismo post-moderno; e, ovviamente, il già citato primato ontologico del Linguaggio che presuppone un rifiuto del soggetto cartesiano inteso come semplice-presenza.
Ecco che allora il breve testo che il grande filosofo europeo dedica al poco noto poeta di provincia assume un’importanza preziosa per comprendere il sistema heideggeriano nei suoi aspetti metafisici, antropologici e politici. Hebel – Der Hausfreund vide la luce come testo a stampa nel 1957; ora i tipi della casa editrice Aguaplano di Perugia ne propongono, per la prima volta, una versione anastatica italiana dal titolo Hebel – L’amico di casa, per la traduzione di Federico Gagliardi.
Il concetto lirico di “amico di casa” (Hausfreund) venne coniato da Hebel allorquando, tra il 1807 e il 1819, pubblicò, su incarico del governo del Baden, Der Rehinische Hausfreund, una sorta di “almanacco letterario” a uso dei contadini del luogo, i quali, oltre al calendario, ogni giorno dell’anno potevano così fruire di semplici componimenti poetici e storie fiabesche da leggere attorno focolare. Il progetto e la sua ispirazione suscitarono l’ammirazione, nel tempo, di uomini come Brecht e Tolstoj, che vi riconobbero la volontà di elevare, al di là delle classi sociali, i ceti subalterni verso l’istruzione. Martin Heidegger scorse, invce, tutt’altro nell’opera di Hebel.
Si impone subito all’attenzione un dato piuttosto singolare: ossia il perché Heidegger – data la sua concezione della poesia intesa non come produzione del singolo individuo, ma come voce universale dell’Essere – abbia scelto di svolgere il suo colloquio proprio con Hebel, senza dubbio uno dei più particolari, isolati, “meno universali”, in apparenza, dei poeti tedeschi. In effetti, l’opera di Hebel, fino a tempi assai recenti, conobbe una risonanza assai limitata fuori dal suo ambiente di provenienza, e pressoché nulla al di fuori della Germania. Non a caso Heidegger, nel brillante saggio che gli dedica, premette al suo Gespräch alcune notazioni relative alla vita e alla personalità dell’autore. Heidegger prende in esame quello che appare il meno universale dei poeti germanici, legato a una cultura popolare e vernacolare, proprio per svolgere il suo colloquio sulla universalità – sulla portata “ontologica” e non “ontica” – del verbo poetico. Per comprendere quest’apparente paradosso, occorre anzitutto ricordare come in Heidegger la dimensione della Heimat, del “luogo natale”, sia un concetto essenziale. Questo dato traspare in vari saggi, tra cui Schöpferische Landschaft: Warum bleiben wir in der Provinz?; Bauen Wohnen Denken; e Sprache und Heimat, nel quale non a caso il nome di Hebel ricorre a più riprese.
Hebel è per Heidegger lo Hausfreund, “l’amico di casa”, colui con il quale si condivide il destino “pellegrinante” dell’essere-uomo in una comune dimensione esistenziale. È il compagno sul sentiero dell’Essere, anche in quanto compagno nel medesimo luogo natale: la terra del Baden. Nell’ermeneutica intessuta da Heidegger, la cifra dell’opera Johann Peter Hebel parrebbe essere propriamente la nostalgia essenziale nei confronti della Heimat. Come in molti poeti suoi contemporanei (Hebel visse in pieno fervore romantico), in questo autore di versi è fortissima una nostalgia nei confronti di una patria perduta; tuttavia, in Hebel tale richiamo a una Heimat originaria non ha, come accade invece per molti suoi contemporanei, una valenza di ordine metafisico, escatologico o mistico. La Heimat per il cui struggimento si costituisce la poesia di Hebel è non altro che la sua terra natale, la zona del Baden: la medesima in cui Heidegger si sarebbe ritratto dal mondo, nella ben nota “Denkhütte”, la baita del pensiero di Todtnauberg, tra i sentieri della Foresta Nera. La scelta del vernacolo per comporre i suoi versi è in Hebel un richiamo a quel luogo di differenza e di distacco dal mondo.
Pur vivendo a una manciata di chilometri dai suoi amati territori nativi, Hebel è per eccellenza il poeta dello Heimweh, concetto che potrebbe tradursi come “nostalgia inarginabile per il luogo natio”. Tale Heimweh è la modalità attraverso cui il poeta interpreta e declina la Sehnsucht (struggimento) tipica della temperie culturale romantica. Gli Allemannische Gedichte di Hebel, nota Heidegger, «sgorgano direttamente dal suo Heimweh per i luoghi perduti» (p. 19).
Parlando di Hebel, il filosofo definisce il vernacolo «la fonte, sgorgante di misteri, di ogni ulteriorità del Linguaggio»(p. 29). Possiamo ricordare, in questo senso, la preziosa distinzione che Heidegger svolge nel già citato saggio Sprache und Heimat. Vi sono per il filosofo due modalità di poesia vernacolare. La prima modalità si serve del dialetto per esprimere semplicemente emozioni e dati folklorici legati a un determinato luogo; la seconda, attraverso il dialetto, dispiega l’essenza della poesia, così da far risuonare nel vernacolo una “eco” del Linguaggio originario. Hebel, per Heidegger, fa senza dubbio parte di questa seconda categoria di poesia vernacolare. Quella di Hebel, dice Heidegger, è una “poesia sublime” proprio a causa del suo uso del vernacolo: in quanto esso è richiamo dell’origine attraverso il Linguaggio. «È per questo» – spiega il filosofo – «che Hebel non è un mero poeta dialettale, un poeta provinciale (Heimatdichter). Hebel è un poeta universale»(p. 31). Il “colloquio” con Hebel svolto da Heidegger ruota attorno a una preziosissima considerazione: «Nel dialetto si radica l’essenza del Linguaggio», poiché «Il dialetto non è meramente il linguaggio della madre (Muttersprache); ma altresì la madre del Linguaggio» (p.25). La grandezza di Hebel – la sua “universalità” – risiede precisamente nell’uso del vernacolo come Linguaggio dell’origine. Il ruolo fondativo che il vernacolo assume in Hebel, unitamente alla nozione di nostalgia quale cifra di questa poesia, conducono Heidegger, dopo aver svolto la lettura ermeneutica di Hebel, a una considerazione finale: «Propriamente, è il Linguaggio a parlare, non l’uomo. L’uomo parla soltanto in quanto corrisponde al Linguaggio» (p.39)
Nonostante la distanza stilistica e tematica che distingue nettamene Hebel dagli altri poeti “ascoltati” da Martin Heidegger – Reiner Maria Rilke, Friedrich Hölderlin, Stefan George, Georg Trakl – la natura di ciò che lega questo poeta all’autore di Essere e Tempo è la medesima: lo Hausfreund indica lo status stesso di poeta, «Hausfreund sembra una parola semplice; ma nasconde un vasto e importante significato» (p.17). Lo stesso Heidegger ci suggerisce come il concetto di Hausfreund utilizzato a proposito di Hebel possa valere per definire in termini generali l’essenza del poeta: «Hausfreund è il nome di colui che noi definiamo un poeta. Lo Hausfreund non vuole né istruire né educare, egli consegna a chi legge la libertà, affinché pervenga egli stesso alla apertura dell’Essere» (p.19). Lo Hausfreund, potremmo dire utilizzando altri termini, è colui che mostra che dichterisch wohnet das Mensch auf dieser Erde: “poeticamente abita l’uomo su questa terra” – come scrisse Hölderlin affascinando Heidegger con risvolti decisivi. Il poeta è colui che mostra l’Essere quale reale Heimat dell’uomo. Heimat che si manifesta nel legame fondamentale dell’uomo con la propria Terra Natale. È su questo fondamento che il dialetto del Baden può divenire il Linguaggio che dischiude l’Essere. In questo modo, il cammino terrestre e peregrinante dell’umano, il suo tempo – quello che Hebel chiama der Kalender e Heidegger Dasein – si connette all’Essere. Il percorso dell’uomo non è meramente terreno, ma si riallaccia a un’ulteriorità trascendente, “ontologica”. Il richiamo a Hebel significa per Heidegger anche il mostrare come questa dimensione umana sia possibile soltanto “in provincia” (nel chiuso di una dimensione che apra), in un luogo circoscritto cui si appartiene, ovvero quello che altrove il filosofo chiama la Schöpferische Landschaft, la “Contea creatrice”. Qui Hölderlin e Hebel si incontrano, nell’alchimia ermeneutica heideggeriana: “l’uomo abita poeticamente sulla terra”, poiché il suo sentiero si connette al destino dell’Essere. Lo Hausfreund è colui che mostra, nel dettato del canto lirico, tale verità, restituendo con ciò un modello antropologico concernente un ben preciso apparato ontologico e valoriale: un uomo legato all’Essere e alle proprie tradizioni inscindibilmente, come le due facce di una stessa medaglia. Un uomo che, nella semplicità della sua esistenza contadina, conosce e riconosce tale esistenza come l’abitazione dell’orizzonte celeste.
Letto nella prospettiva heideggeriana, Hebel appare come uno scrittore accostabile ai maestri letterari che, nella tradizione europea, hanno fatto del “chiuso” di un mondo di riferimento l’orizzonte ideale per una definizione universale del’uomo: come Jane Austen nello Hampshire, Yeats nell’Irlanda occidentale, Guareschi nel “piccolo mondo” della Bassa reggio-emiliana.
Inoltre, e correlatamente, questo scritto di Heidegger illumina icasticamente anche la vexata quaestio del suo problematico rapporto con il Nazionalsocialismo; il quale – a ben vedere, fuori da ogni visione ideologica di tale rapporto – possiede precisamente il suo fondamento nella concezione “rurale”, contadina, in cui l’uomo e la terra sono ontologicamente connessi, che l’interpretazione heideggeriana di Hebel restituisce; non a caso, molti passi di questo scritto di Heidegger richiamano direttamente dei temi del testo del 1929 Neuadel aus Blut und Boden (La Nuova Nobiltà del Sangue e del Suolo), in cui il Reichminister Walter Darré espone la dottrina della “Terra e del Sangue”, una delle basi fondamentali (sebbene tra le politicamente meno rilevanti, de facto) della dottrina nazionalsocialista. Nel testo che Heidegger dedica a Hebel è, dunque, chiaramente suggerita la natura della tanto discussa natura della connessione ideale tra il regime hitleriano e l’analitica esistenziale.
In Hebel, in altre parole, Heidegger poté riconoscere un’alternativa al moderno nichilismo della Tecnica, in un intatto rapporto con la natura; poté riconoscere un senso del poetare come superamento dell’esserci quale semplice-presenza.
In una celebre lettera indirizzata al Paul Celan, poeta con il quale egli intrattenne un complesso, doloroso e profondo rapporto, Heidegger scriveva: “Spero che un giorno possa rivelarsi a Voi cosa debba essere la poesia”: nel verbo celaniano Heidegger riconosceva non più di una tragica testimonianza del singolo soggetto. Per questo i due non si compresero mai, né Celan avrebbe mai potuto essere visto da Heidegger come un Hausfreund: non per motivi razziali, come troppo spesso si è suggerito; bensì perché Heidegger era squisitamente interessato a un senso del poetare che trascendesse la singola esperienza (Erlebnis) per spalancarsi a un’esperienza ontologica (Erfharung). Celan, il poeta errante per antonomasia, per il quale il significato stesso del poetare risiedeva nel realizzare una "non scalfibile testimonianza" del dolore del singolo soggetto, non avrebbe mai potuto dar vita a un'opera poetica nella quale il rapporto con il suolo mostra l’essenza oltre-umana dell’esserci. Al contrario, è esattamente questo specifico senso dell’abitare, del pensare, del vivere, ciò che Heidegger riconobbe bei versi “semplici ed eterni” di Hebel.
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