Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 542, euro 39, ISBN 9788815245144.
La raccolta di saggi curata da Carlo Altini, può essere considerata una “grammatica dell'utopia”, in quanto offre al lettore una panoramica dei “molti modi” in cui può essere declinata questa categoria della riflessione sulla vita associata. L'opera si snoda in un duplice percorso sincronico e diacronico, come lo stesso sottotitolo Storia e teoria di un'esperienza filosofica e politica suggerisce, attraverso 17 contributi diversi per estensione e prospettiva, ma accomunati tutti dall'alto profilo scientifico.
Nell'introduzione al volume, il curatore Carlo Altini offre una panoramica ampia del problema “utopia”, ripercorrendo la genesi storica e le vicissitudini di un termine che a più di cinquecento anni dalla sua invenzione da parte di Thomas More, continua a presentarsi nel lessico filosofico-politico come un neologismo, per la sua stessa carica di significati sempre nuovi che, di volta in volta, gli sono attribuiti. Se però l'utopia come concetto viene coniata nel Rinascimento, già in età antica vi sono visioni del mondo che, retrospettivamente possiamo definire “utopiche”. Ed è appunto il compito che Lucio Bertelli e Silvia Gastaldi si assumono ovvero, quello di trovare, all'interno del panorama culturale greco, i germi del pensiero utopico. Scopriamo così che, oltre alla celebre teorizzazione platonica della “repubblica ideale” vi è una vera e propria tradizione di pensiero utopistico che affonda le sue radici nell'esperienza dell'espansione coloniale e nella progettazione di nuove costituzioni. Nomi come Teopompo, Giambulo, Ecateo, Evemero hanno lasciato attestazioni di un modo di pensare che può già essere definito “utopia sociale”; su questo filone va poi a innestarsi il contributo del teatro comico e della sua carica sarcastica nei confronti dell'ordine vigente. Un discorso a parte è riservato ad Aristotele, il quale nell'analizzare le dinamiche costituzionali della polis individua le cause, i processi e gli esiti delle possibili modificazioni degli assetti di potere, nonché le condizioni di possibilità di una relativamente duratura stabilità. Rispetto ai progetti radicali di Platone, Aristotele opta per una serie di strategie di ingegneria costituzionale, le quali anziché sconvolgere l'assetto della città tentano di difenderlo e di regolarlo al meglio.
Il saggio di Luca Baraldi approfondisce il tema del messianismo, ossia di quella particolare disposizione filosofica, affine al pensiero utopico, che scaturisce dal pensiero ebraico e che trova l'apogeo della sua fortuna fra Medioevo e Rinascimento. È possibile parlare del messianismo come utopia ebraica in più di un senso: in primis,in quanto prospettiva escatologica di un “mondo a venire”; in secondo luogo, come riferimento intramondano ad una realtà futura, accezione quest'ultima che avrà le sue ultime propaggini nel marxismo. Anche qui non mancano nomi più o meno celebri, tanto del periodo medievale (Sa'adiah ben Yosef Ga'on, Yehudahha-Lewy, Maimonide) che di quello rinascimentale, soprattutto nell'ambiente italiano (YtzhaqAbravanel, Samuel Usque, Mordekhay ben Yehudah Dato, Azariah De Rossi, YehudahLoew ben Betzalel), esponenti di una posizione per la quale l'utopia messianica “non è un non-luogo irraggiungibile ma un non-luogo in attesa del proprio tempo, un tempo a venire promesso e sognato.
Altra accezione estremamente interessante dell'utopia è il concetto di “potenza”, che Altini analizza nel duplice significato di “possibilità” e di “potere”, due versioni che trovano la loro massima espressione rispettivamente in Aristotele e in Hobbes. Il primo, artefice della famosa distinzione della potenza dall'atto, come essere incompiuto, o non-essere relativo, il secondo strenuo difensore del determinismo metafisico, per il quale potentia è sinonimo di potestas, capacità di agire in vista dell'efficacia del meccanismo, sia esso la macchina umana o l'apparato statale. Ciò che in Aristotele si traduce nella libertà come facoltà di sviluppo di ciò che è possibile, contingente, in Hobbes assume il peso della necessità, secondo il nesso naturalisticamente predeterminato di causa-effetto. Principale esito moderno di tale visione della potenza è stata la deriva tecnicistica che ha identificato la disponibilità di mezzi e strumenti sempre nuovi con la loro assoluta e inoppugnabile validità a tutti i livelli; si tratta di una deriva materialistica che l'autore avverte come grave ma dalla quale suggerisce anche possibili vie d'uscita, praticabili perché già individuabili nell'attualità.
Una visione alternativa a quella classica, che vede nell'utopico solo ciò che si proietta in senso temporale, è quella di Pier Paolo Portinaro, che invece studia l'utopia in una dimensione spaziale, partendo da alcuni presupposti storici, ossia la nascita del pensiero utopico proprio nell'età dei grandi viaggi esplorativi (caratteristica questa già riscontrata per le prime forme di utopia greca). Il riferimento alla modernità richiama immediatamente l'idea di progresso, concetto centrale del saggio di Alberto Burgio. La crisi del progressismo e delle utopie che caratterizza la post-modernità si basa su un fraintendimento proprio dell'idea di progresso da parte della cultura moderna, la quale ha operato una scissione della razionalità tra la disponibilità degli strumenti tecnici e la domanda morale sulle finalità della stessa ragione strumentale. Si è così dato il caso che quelle che per autori quali Condorcet e i grandi pensatori illuministi del Settecento dovevano essere conquiste universali, si sono rivelate essere funzionali al solo sviluppo delle società occidentali a impostazione industriale, ben lungi dall'apportare quel miglioramento delle coscienze teorizzato come automatico.
Luciano Canfora sviscera invece i legami fra utopia e rivoluzione, mostrando-da grande studioso del mondo antico qual è - come i greci avessero una considerazione tutt'altro che positiva di tale concetto, dal momento che per tutta l'età classica, nonché durante il Medioevo e fino all'età moderna “l'ordinamento legittimo è quello avito, tradizionale, da difendere perché in esso si identifica la comunità” (p. 267). Il cambiamento di prospettiva avviene solo con la Rivoluzione francese, che rivaluta positivamente il concetto di rivoluzione. Il ritorno ad una posizione critica si avrà con il fallimento della Rivoluzione russa e con la considerazione che l'intrinseca violenza del processo rivoluzionario, in quanto sospensione delle norme di garanzia costituzionali, sia tutto sommato da lasciare da parte preferendo la via del riformismo.
Applicata all'antropologia, la visione utopistica ha dato vita, tra Otto e Novecento all'eugenetica, ossia al sogno di migliorare l'umanità incoraggiando artificialmente l'appena nata teoria evoluzionistica darwiniana. Come mostrano efficacemente Giovanni Cerro e Antonello La Vergata, in realtà l'eugenetica si manifestò per lo più come forma di intervento che nasceva già da un iniziale disincanto nei confronti delle entusiastiche prospettive dell'evoluzionismo, per il quale l'umanità era in rapida corsa verso un sempre crescente miglioramento del genere. Ne erano prova i disperati accanimenti verso tutte le forme di “degenerazione”, che andavano dalle più gravi patologie fisiche e mentali fino a più comuni forme di epilessia, alcolismo, sifilide eccetera. In Italia troviamo nomi come Giuseppe Sergi, Angelo Zuccarelli, Enrico Morselli, tutti esponenti di quel dogma positivista per il quale il potenziamento delle facoltà tecniche e la rimozione di ogni ostacolo all'operare avrebbe portato inevitabilmente ad un miglioramento del genere umano senza precedenti.
La letteratura è un terreno privilegiato su cui il pensiero utopico si è confrontato con le nuove sfide della contemporaneità. Ne sono prova i romanzi di Philip K. Dick, che secondo Stefano Suozzi mostrano in tutta la loro evidenza il nesso che c'è tra il racconto di fantascienza e il progetto utopico. Nel caso di Dick ovviamente più che di utopia bisogna parlare del suo opposto, ovvero la distopia, dal momento che il filo conduttore dell'intera produzione dell'autore è l'assunto che semmai il genere umano dovesse cambiare radicalmente, come i genetisti tanto auspicavano, questo cambiamento non avverrà certamente in meglio. Il perenne scontro tra gli uomini e le macchine nei romanzi di Dick è finalizzato non tanto a mostrare il livello di sviluppo raggiunto dalle macchine, quanto piuttosto la condizione di svilimento raggiunta dallo stesso essere umano, che perdendo ciò che lo contraddistingue in quanto tale, ossia la capacità di empatia, ha finito col ridursi anch'egli al livello di un automa.
Le società distopiche immaginate da Philip Dick non sono altro che il riflesso di una situazione che di fatto esiste già e che è rappresentata dall'uso strumentale e controllato dell'informazione pubblica e del sapere. Se nell'antichità il sapere “vero” e “autentico” era per sua stessa natura “esoterico”, fra Cinque e Seicento compare la figura dell'intellettuale che piuttosto che affidarsi all'autorità dei grandi maestri del passato fonda la sua credibilità su un metodo rigoroso e applicabile da chiunque abbia gli strumenti adatti. Alla segretezza del sapere subentra così la pubblicità, la diffusione dei risultati acquisiti. Eppure Paolo Rossi mette in luce la persistenza, anche al giorno d'oggi, di teorie pseudoscientifiche che fanno leva proprio sul loro essere “alternative” alla scienza ufficiale, considerata menzognera; si tratta di un ritorno alla segretezza che l'autore valuta doversi tenere a distanza in nome di un sapere scientifico collettivo e verificabile.
Gli ultimi saggi sono dedicati alle sfide più attuali del mondo contemporaneo: i diritti umani, la cosiddetta economia della “Terza via”, il dominio della finanza, l'emergenza urbanistica. Si tratta di altrettante utopie, che rivelano la loro tragicità nell'essere al tempo stesso impossibili e necessarie. Ha senso parlare di diritti umani universali, che non siano solo il risvolto culturale di un'egemonia dell'Occidente che, oltre ad averli plasmati, ha anche preteso e pretende di esportarli e proporli come validi per tutti i popoli? Esiste davvero in quanto praticabile una “terza via” alternativa al neoliberalismo e al socialismo, in grado di coniugare l'economia di mercato con il collettivismo, il neoconservatorismo con le istanze comunitariste? Quanto ed in che modo influiscono le dinamiche finanziarie sull'economia reale e soprattutto sui processi democratici a livello sia nazionale che internazionale? Sono solo i dissesti della finanza ad avere ripercussioni negative a livello politico, o forse è nella stessa natura della finanza che si annida il pericolo per la sopravvivenza di un ordine democratico? Ed infine, l'attuale situazione di allarme ecologico, ma anche di disagio sociale provocato dal vertiginoso e caotico sviluppo delle aree urbane (città Idroponiche) richiede una revisione dell'attuale modalità, o meglio, dell'attuale mancanza di progettazione dei nuovi spazi abitativi. La Biopoli del futuro dovrà rappresentare un nostalgico quanto impossibile tentativo di ritornare alle città Albero del passato, oppure è possibile individuare delle invarianti di cui sia necessario tenere conto per uno sviluppo rispettoso delle nuove esigenze abitative e della salvaguardia del territorio?
Sono interrogativi troppo recenti per potervi rispondere in maniera puntuale ed esaustiva, ma merito degli autori è aver formulato le domande in maniera precisa e soprattutto coinvolgente. Ciò che emerge dal testo è una lettura dell'utopia molto più estesa di quella tradizionalmente legata a generiche chimere politiche, fino a comprendere la stessa natura della filosofia, che in quanto aspirazione a conoscere i fondamenti ultimi della realtà è per sua stessa natura, utopia.
Indice
Introduzione. Appunti di storia e teoria dell'utopia, di Carlo Altini
L'utopia in Grecia tra progetto politico ed evasione,di Lucio Bertelli
Aristotele e la stasis. Realismo politico e ingegneria costituzionale contro l'utopia, di Silvia Gastaldi
Attendere l'inatteso. Utopia ebraica e fermento messianico tra Medioevo e Rinascimento, di Luca Baraldi
Utopia, o della possibilità. Il concetto di potenza tra Aristotele e Hobbes, di Carlo Altini
L'utopia tra geopolitica e biopolitica, di Pier Paolo Portinaro
Tra utopia e rimozione. Considerazioni sulla storia del progresso, di Alberto Burgio
Profilo del rivoluzionario, di Luciano Canfora
Migliorare l'umanità. Teorie dell'eugenetica italiana tra Ottocento e Novecento, di Giovanni Cerro
Il serpente nell'Eden. Utopie e distopie eugenetiche fra scienza e letteratura, di Antonello La Vergata
La volontà di fare la cosa giusta. Il futuro distopico di Philip K. Dick, di Stefano Suozzi
Utopie e distopie. La scienza come sapere pubblico, di Paolo Rossi
Il pensiero utopico tra acute diagnosi e nefaste terapie,di Dario Antiseri
Le utopie degli altri. I diritti umani nelle culture non occidentali, di Marcello Flores
Terza via. Rifiuto dell'utopia o realismo utopistico?,di Massimiliano Panarari
Intrecci e interazioni tra democrazia e finanza nel mondo globalizzato, di Eugenio Somaini
Un'utopia ben temperata. Ricostruire Biopoli,di Claudio Saragosa
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