Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 218, euro 16, ISBN 978-88-5751-292-1.
Da alcuni anni un nuovo tipo di prodotto televisivo ha invaso gli schermi. Per lo più di origini americane, i serial cosiddetti “di qualità” - per es. C.S.I. Scena del Crimine, Dexter, Dr. House, Lost, 24, Desperate Housewives, The Walking Dead, Il Trono di Spade - presentano caratteristiche che li diversifica notevolmente dai vecchi telefilm, avvicinandoli invece ad arti che un’ottica “conservatrice” considererebbe più nobili: cinema e letteratura. Questa piccola/grande rivoluzione culturale ha attirato, come ovvio,
l’interesse di parecchi studiosi. In filosofia molto è stato scritto, soprattutto analisi di singoli casi, secondo il modello «La filosofia di X», dove X = titolo della serie esaminata. Opere spesso snelle e divulgative, condizionate dalla particolare impostazione del/i autore/i: esempi nostrani sono i lavori di Simone Regazzoni su Lost, di Carola Barbero su Sex and the City, e i lavori collettivi del gruppo Blitris (di cui era parte lo stesso Regazzoni) su Dr House e di Nel nome di Dexter, curato da Vincenzo Cicero.
l’interesse di parecchi studiosi. In filosofia molto è stato scritto, soprattutto analisi di singoli casi, secondo il modello «La filosofia di X», dove X = titolo della serie esaminata. Opere spesso snelle e divulgative, condizionate dalla particolare impostazione del/i autore/i: esempi nostrani sono i lavori di Simone Regazzoni su Lost, di Carola Barbero su Sex and the City, e i lavori collettivi del gruppo Blitris (di cui era parte lo stesso Regazzoni) su Dr House e di Nel nome di Dexter, curato da Vincenzo Cicero.
Rari invece i tentativi di inquadrare i caratteri propri del fenomeno generale, tesi cioè a sviluppare una metodologia di analisi critico-filosofica specializzata per le serie tv. Proprio in questa direzione si muove il lavoro di Luca Bandirali ed Enrico Terrone.
Il libro si divide in due parti: la prima, generale, traccia i fondamenti di un’ontologia delle serie tv (indicate anche con espressioni come “nuova serialità”, ma delle quali non viene fornita – e spesso se ne sente la mancanza – una denominazione chiara, diversa cioè dal generico “serie tv”, che non dia adito a confusioni), con ampie – e utili – aperture all’estetica e alla semiotica (i due autori sono, tra le varie cose, redattori della prestigiosa rivista Segnocinema); si cerca di capire quale posto le serie tv occupano “in un ipotetico ‘catalogo del mondo’” (p. 9), impostazione debitrice dell’opera di Maurizio Ferraris (Enrico Terrone, è membro del gruppo di ricerca torinese Labont). La seconda parte si articola in brevi analisi di singole serie, raggruppate in base a temi generali: la metodologia usata è quella sviluppata nella prima, anche se – avvisano gli autori – nulla vieta di invertire l’ordine di lettura delle due parti.
La prima parte del libro si apre con due capitoli tesi a distinguere le serie tv dai media cui somigliano. Nel primo capitolo, dopo aver ammesso che serie tv e film cinematografici rientrano nello stesso “genere ontologico”, quello delle “immagini in movimento” (p. 15), viene affermato che le prime si distinguono per l’aspetto della narrazione che, articolato nella triplice dimensione della puntata, stagione e serie, risulterebbe più complesso di quello cinematografico: vengono affrontati numerosi controesempi, dalla struttura a capitoli di alcuni film al modello del sequel cinematografico sino ai film seriali (Heimat di Edgar Reitz e Berlin Alexanderplatz di Fassbinder), e confutati, forse un po’ sbrigativamente. Il ragionamento si fa più chiaro quando le serie tv vengono distinte anche dalle soap opera, basate sull’accumulo e, soprattutto, dai telefilm tradizionalmente intesi, strutturati in episodi più autoconclusivi: la novità più evidente delle serie tv recenti, infatti, sta nel tempo, elemento che viene sfruttato e investito dalle persone coinvolte (autori, attori, spettatori) con una complessità mai vista, che rinvia ad un solo precedente: il romanzo. Tema – il tempo – non a caso centrale in diverse serie tv (Lost, Heroes, Life on Mars, Misfits gli esempi proposti).
Nel secondo capitolo viene portata avanti la disamina del primo, in tre brevi paragrafi dove si affrontano gli sviluppi recenti di cinema, televisione (intesa come produzione telefilmico/seriale), e romanzo. In particolare, viene spiegata l’origine della nuova serialità come legata all’imporsi della pay-tv e delle nuove tecnologie di comunicazione (su tutte: internet) negli U.S.A. a partire dagli anni ’90. Il passaggio in tv infatti è solo uno dei momenti e dei modi di fruizione possibile. Le nuove serie tv si pongono come opere a sé stanti, con una forza mai vista in altre produzioni televisive.
Rilevo però che al termine dei primi due capitoli non una parola è stata detta sul fumetto, un medium che intrattiene con le nuove serie tv rapporti ben più che occasionali. Per es., Smallville è basato sulla giovinezza di un moderno Superman; Heroes e Misfits parlano di individui con superpoteri; Dexter fonde la figura dell’antieroe – tipica dei comics - con quella del serial killer; Buffy l’Ammazzavampiri è evidentemente un’eroina da fumetti silver age, tanto che, finita la sua serie tv, il suo ideatore – Joss Whedon, autore eclettico tra televisione, fumetto e cinema, molto noto attualmente soprattutto come regista del film The Avengers – ha proseguito le sue avventure con una Season 8 in forma di superhero comic. E, al di là di questi casi evidentissimi, va osservato che 1) quel “fattore tempo” indicato come caratterizzante le nuove serie tv è, da molto, ampiamente sfruttato nei fumetti, 2) al di là del modello supereroistico, imperante nell’industria del comics americano, esistono in questo medium tanti generi e sperimentazioni differenti, negli U.S.A. e non solo, tali per cui la maggior parte delle serie tv potrebbero essere concepibili anche nella forma di fumetto.
I capitoli da 3 a 6 costituiscono quasi una “seconda parte della prima”: messi da parte i confronti, si prosegue analizzando le specifiche delle serie tv da più punti di vista, approfondendo i temi toccati nei capitoli 1 e 2.
Così, nel capitolo 3, tema la scrittura, viene spiegato come la drammaturgia nelle serie tv miri all’unificazione e quindi al superamento dell’opposizione tesi romanzesca/antitesi cinematografica, intesa secondo la Poetica aristotelica come dicotomia tra epopea (sviluppo dell’argomento nel senso del’orizzontalità, ovvero narrazione estesa ed articolata, caso tipico: il romanzo) e drammaturgia (sviluppo dell’argomento nel senso della verticalità, ovvero narrazione concisa e fortemente unitaria, caso tipico: il film cinematografico), con traguardi inediti relativi all’ampiezza e insieme al dettaglio nel racconto di grandi storie (nello spazio/tempo della finzione) di grandi gruppi di personaggi interagenti fra essi, sino al limite teorico di una società intera.
Nel capitolo 4, tema l’allestimento, viene analizzato come ogni settore tradizionale dell’allestimento audiovisivo (sceneggiatura, scenografia, recitazione, regia, luce, suono, inquadratura, grafica, montaggio), tipico tanto del cinema che della tv, possa nella nuova serialità esplorare soluzioni innovative.
Nel capitolo 5, tema spazio e tempo, viene affrontata la gestione temporale dello spazio/mondo finzionale proprio della serie tv. Si sostiene che due, tradizionalmente, sono le alternative: una logica del tempo lineare, dell’accumulo, il cui modello viene riconosciuto nel feuilleton, e il cui limite è definito entropia (“la narrazione si sfalda, si attorciglia, degenera, col rischio di apparire strampalata e demenziale, come accade (…) nelle soap opera”); e una logica ciclica, dell’iterazione, che ha il modello nel format televisivo e il cui limite è definito routine (“l’assuefazione, la prevedibilità, da cui discende il fascino melanconico dei vecchi telefilm, in particolare di quelli polizieschi”). Novità delle serie tv è l’imporsi di una sorta di “terza via”, la narrazione a spirale, descritta come “una struttura iterativa dove progressivamente si introducono elementi di linearizzazione: i personaggi sembrano vivere vicende che si assomigliano sempre, ma nel frattempo la loro esistenza cambia, si evolve” (questa e le altre cit. del capitolo, p. 51). Tra gli esempi trattati spicca il caso di 24, serie la cui importanza viene spesso (giustamente) messa in luce nel libro, qui esempio di una “quarta via” delle organizzazioni temporali possibili, denominata blocco.
Nel capitolo 6, tema realtà sociale, viene infine analizzata la capacità di alcune serie tv nel descrivere, al di là dell’evoluzione del protagonista, di pochi personaggi o persino di un gruppo, quella di una società, in un certo senso loro autentico soggetto.
Nella seconda parte del libro si analizzano 32 serie tv, distribuite in 6 capitoli (quindi, dal 7 al 12) dedicati ad altrettanti temi: “Forza di legge”, “La vita al lavoro”, “Coppia, famiglia e dinastia”, “Riti di iniziazione”, “Viaggi nel tempo”, “Limiti e frontiere”. Citando quanto dichiarato nell’introduzione generale al libro, se con la prima parte si intende “capire che cosa la filosofia può dare alle serie tv”, in termini cioè di un’analisi chiarificatrice dell’oggetto-serie tv (ontologia delle serie tv), nella seconda si tratta di “capire che cosa le serie tv possono dare alla filosofia” (p. 9), cioè cosa dicono che interessa il nostro mondo “reale” e i suoi problemi. Ma prima di rispondere a questa domanda, gli autori si chiedono, nell’introduzione alla seconda parte, se “le serie possono dirci qualcosa” (p. 67, corsivo mio) sul nostro mondo. La loro risposta ovviamente è un sì, ma un “sì condizionato”: le serie tv possono funzionare come grandi esperimenti mentali, a patto “che lo spettatore non si limiti a fare esperienza del mondo narrativo, ma sia disposto a fare un certo lavoro concettuale a partire da tale esperienza. Questo lavoro consiste nell’individuare gli aspetti del mondo fittizio che restano invariati anche quando per così dire si fa ritorno al mondo reale. (…) qualcosa che era vero in quei mondi fittizi continua a rimanere vero anche nei mondi reali. La sfida che attende l’analisi filosofica delle narrazioni consiste nel riuscire a scoprire questo qualcosa, questa invariante, questo denominatore comune fra il mondo narrativo e il mondo reale. (…) riteniamo che questo qualcosa abbia a che fare con la genesi, la struttura e le funzioni che costituiscono la realtà sociale” (p. 68).
Sembrerebbe pertanto che la specificità delle serie tv, rispetto ad altre forme di narrazione, resti per i due studiosi confinata più nella potenzialità del medium di narrare la trasformazione sociale (come spiegato nella prima parte del libro) che nella sua specifica fruizione. Qualsiasi opera di finzione, infatti, può essere intesa come esperimento mentale, e non solo le serie tv.
Gli autori caratterizzano poi le 6 aree tematiche (da non intendersi – precisano – come generi) sopra citate, scelte arbitrariamente per fini – per così dire – euristici, e non aventi carattere vincolante.
Si prosegue infine con i sei capitoli tematici e relative analisi delle serie tv: brevi, ma interessanti e piene di spunti.
Filosofia delle serie tv viene a colmare un buco nella produzione filosofica attuale. Evitando il didascalismo a buon mercato, Bandirali e Terrone tentano un’analisi delle serie tv recenti che identifichi il medium, i suoi mezzi espressivi e le sue potenzialità peculiari. Una linea di ricerca promettente, per quanto questo saggio risulti limitato dalla sua brevità (in alcuni passaggi risulta davvero troppo sbrigativo) e da alcune scelte troppo ad hoc.
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