Torino, Ananke, 2013, pp. 88, Euro 15, ISBN-978-88-7325-526-0.
Nei diciassette capitoli in cui si articola il breve ma denso saggio La perfezione del nulla. Thomas Mann, Paola Capriolo esplora con sensibilità ed eleganza la rarefatta dimensione letteraria di Thomas Mann, ripercorre e interpreta l’intera produzione dello scrittore tedesco con introspezione e perspicacia, scandagliando l’intreccio tra i luoghi topici dei romanzi manniani e i recessi dell’animo dei protagonisti, mettendone in luce le illusioni e le passioni, le tensioni e le contraddizioni.
Infatti è proprio mediante tale intreccio che Mann “si è avventurato a descrivere una catabasi che ogni volta è nel tempo, nella storia e fuori della storia, che illustra vicissitudini e destino della cultura europea ma ha radici anche altrove, in una nostalgia più profonda, in una tentazione così radicata nell'animo umano da meritare, forse, il pericoloso titolo di 'universale'” (p. 10).
Infatti è proprio mediante tale intreccio che Mann “si è avventurato a descrivere una catabasi che ogni volta è nel tempo, nella storia e fuori della storia, che illustra vicissitudini e destino della cultura europea ma ha radici anche altrove, in una nostalgia più profonda, in una tentazione così radicata nell'animo umano da meritare, forse, il pericoloso titolo di 'universale'” (p. 10).
Paola Capriolo ci guida in un meta-viaggio filosofico e letterario alla ri-scoperta dell’uomo e dello scrittore che, cresciuto alla “scuola del sospetto” con Schopenhauer, Nietzsche, Freud, “si è tuffato in abissi di fronte ai quali noi arretreremmo” (p. 57), su tutti, l’“insondabile perfezione” dell’abisso del nulla, indagato da Mann con audace ironia e lucido distacco.
La lettura dell'autrice – come ha ben sottolineato Dario Fertilio sul Corriere della Sera del 21.8.2013 – coglie il nichilismo esistenziale di Mann, la sua fascinazione fatale per il nulla, nelle pieghe dei significati scritti e sottintesi, pervenendo a un’interpretazione peculiare, straordinariamente originale. Nella prospettiva critica di Capriolo, infatti, è il Nulla (“la nostalgia del nulla”) inarticolato, smisurato ed eterno, il protagonista assoluto dello streben letterario di Thomas Mann: nel suo irriducibile, devastante ‘oltre’ rispetto a ogni limite, il Nulla incarna una “perfezione” che non coincide con nessuna compiutezza formale, quanto, piuttosto, con quella dissoluzione della forma concepita come “improvvisa sospensione dell'essere”, come il raffiorare della Ruheverlangen (“quiete metafisica”) intesa come “l’Uno/Tutto a cui tende la nostalgia di chi si è smarrito nel molteplice” (p. 28).
Questa è l’ambiguità dell’arte che il saggio pone al centro dell’indagine sul dramma della scrittura manniana; un’arte che mentre plasma nitidamente le figure, è attratta da una tenace nostalgia per l’indistinto e l’inarticolato: “nel naufragio dei fini, delle forme, dei significati, si vede albeggiare il profilo di un oltre così abissalmente estraneo da colmare l’anima di sgomento ma al tempo stesso di sconfinata voluttà”. (p. 48) Nelle sue descrizioni appassionate, corroborate dal ricorso a immagini estremamente vivide e da riferimenti colti e sapidi, l’autrice si rivela abile e profonda interprete delle incognite, delle inquietudini esistenziali e della segreta insoddisfazione della scrittura di Thomas Mann, poiché la delinea nei termini di un’originale sfida al nulla, tanto che “se la vita è un’impurità della materia, la materia è un’impurità dell’essere e l’essere un’impurità del nulla. Un incrinarsi misterioso di una vuota perfezione...” (p. 29). Intersecando corpo e spirito, amore e piacere, dionisiaco e apollineo, Paola Capriolo tesse una filigrana concettuale che s’innerva in quell’attrazione ambigua o “eterna antitesi” su cui, d’altronde, si costruisce tutto lo spessore del pensiero di Thomas Mann, “ultima grande espressione della spiritualità borghese moderna e del realismo critico borghese” (György Lukács); l'antitesi tra arte e vita, tra un irrequieto e “irregolare” elan vital e un “regolare” ethos borghese; tra le solide urgenze prometeiche e il bisogno fragile (“tragico”) di spogliarsi dalla materia, di fendere il cerchio delle visioni dissimulate, rassicuranti e addomesticate per “perdere e trovare se stesso nel cuore dell’estraneità”. (p. 23)
Ed è in questa stessa dicotomia che Paola Capriolo rintraccia la stupefacente audacia manniana di vivere l’arte come “vangelo e giustificazione della vita” (p. 29), come spontaneità indocile e fervida rispetto a quelle potenze disgregatrici e ‘nichilistiche’ che ne sciupano l’immediatezza trascinandoci negli insidiosi, sterili labirinti della coscienza” (p. 52).
Indice
Prologo in forma di viaggio
Il più comodo dei sedili
Ritratto interiore
La forma sfrenata dell’essere
Quiete?
Contraffazioni
Il sogno ancestrale
Amore
Nella neve, nella forma
Il mago
Maschere
Il re dei virtuosi
Appunti di criminologia
Fascino slavo
Nobiltà dello spirito
Dove potrei trovarmi meglio?
Il vecchio tiglio
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