Roma, Aracne, 2012, pp. 166, euro 11, ISBN 9788854854697
Il volume che intendo recensire pone al centro della discussione filosofica il dilemma di Jørgensen (d'ora innanzi: DJ). Si tratta di una topica complessa che deve il nome al filosofo danese, Jørgen Jørgensen, che, sul finire degli anni '30, si era posto il problema della significanza delle enunciazioni imperative. Per Jørgensen, ci troviamo di fronte ad un puzzle: da un lato, la logica trova applicazione solamente agli enunciati indicativi, ossia conoscitivi, descrittivi di stati di cose,
mentre gli enunciati imperativi, essendo non indicativi, ossia non conoscitivi, non descrittivi di stati di cose, sembrano collocarsi al di fuori del dominio della logica; ma, dall'altro lato, gli enunciati imperativi sembrano comunque funzionare secondo una certa logica. Marturano pone in evidenza il nesso tra il puzzle del filosofo danese e la ricerca di una logica delle norme (d'ora innanzi: (LN)). Si tratta di vedere se, e a quali condizioni, sia possibile estendere il dominio della logica oltre i limiti convenzionali delle enunciazioni indicative, se sia possibile una (LN) pur essendo queste ultime non verofunzionali. La versione canonica dell'argomento individua due corni del dilemma:
mentre gli enunciati imperativi, essendo non indicativi, ossia non conoscitivi, non descrittivi di stati di cose, sembrano collocarsi al di fuori del dominio della logica; ma, dall'altro lato, gli enunciati imperativi sembrano comunque funzionare secondo una certa logica. Marturano pone in evidenza il nesso tra il puzzle del filosofo danese e la ricerca di una logica delle norme (d'ora innanzi: (LN)). Si tratta di vedere se, e a quali condizioni, sia possibile estendere il dominio della logica oltre i limiti convenzionali delle enunciazioni indicative, se sia possibile una (LN) pur essendo queste ultime non verofunzionali. La versione canonica dell'argomento individua due corni del dilemma:
1. è possibile una (LN), a patto che la logica non sia verofunzionale;
2. non è possibile una (LN), a condizione che la logica sia verofunzionale.
L'alternativa netta di due corni del (DJ) può venir spacchettata nei termini seguenti: a) è possibile dare luogo ad un trattamento formale adeguato alle enunciazioni non indicative, a condizione, però, di estendere l'ambito di applicazione della logica oltre le usuali limitazioni verofunzionali; b) non è possibile dare luogo ad un trattamento formale adeguato alle enunciazioni non indicative, dal momento che si mantiene inalterata la natura convenzionale della logica legata esclusivamente alle entità verofunzionali. Il dibattito presente incrocia le ricerche di logica deontica (d'ora innanzi: (LD)), i tentativi di dare luogo ad una logica delle enunciazioni normative. Marturano la considera una (LN), seguendo una ben precisa linea interpretativa secondo la quale tentare di sciogliere l'opposizione tra i due corni del dilemma equivale a tentare di giustificare razionalmente la (LD). Questo è vero solo in parte, però, dal momento che la (LD) è stata anche molto altro rispetto al mero trattamento formale delle enunciazioni normative.
Per Marturano, la ricerca di una (LN) prende le mosse dalle difficoltà teoriche sollevate dal (DJ). Infatti, la difficoltà a costituire un discorso formale adeguato alle enunciazioni pratiche mette capo alla necessità di una logica pratica, una considerazione formale che prenda in considerazione le enunciazioni pratiche senza assumere a modello le enunciazioni indicative, concentrandosi solo sulla natura specifica delle espressioni linguistiche non cognitive. Però, secondo l'autore, il problema, alla base del (DJ) è offrire un repertorio teorico in grado di giustificare un tipo particolare di inferenze normative, solamente le inferenze miste, ossia le inferenze ove gli imperativi figurino in almeno una delle premesse. Avendo individuato questo particolare segmento, Marturno innova la strutturazione classica del (DJ) distinguendo tre differenti corni:
x) è necessario ampliare il concetto classico di inferenza logica (sino a coprire fattispecie prima non contemplate dalla ricerca logica);
xx) è possibile costruire una logica indiretta tra prescrizioni che salvaguardi il concetto classico di inferenza (in modo tale che l'ostacolo all'uso analogo delle nozioni logiche di verità e deduzione in ambito normativo sia bypassato);
xxx) non è possibile fare alcun tipo di inferenze tra prescrizioni (il discorso normativo è irrazionale a dispetto delle apparenze iniziali).
Si propone pertanto di riformulare il (DJ) nella maniera seguente:
c1) il concetto classico di verità è inadeguato (urge ridefinirlo);
c2) il concetto classico di inferenza è l'unico che preserva la nozione di razionalità (il ragionameno tra enunciati prescrittivi, in quanto privi del valore di verità, è impossibile).
Marturano dedica il secondo capitolo all'esplicitazione di alcune premesse metateoriche. Il (DJ) sembra fare parte integrante del dibattito etico contemporaneo, incentrato sull'analisi del linguaggio morale. L'autore procede a mappare le principali differenze tra le teorie morali in ambito analitico, distinguendo tra (TS) teorie soggettivistiche e (TO) teorie oggettivistiche. Le (TS) sono le teorie per le quali gli enunciati prescrittivi fanno riferimento a stati mentali. Invece, le (TO) sono le teorie che sostengono come il significato degli enunciati prescrittivi sia indipendente dal sussistere di preferenze soggettive e disposizioni delle persone. Marturano prende in esame quattro teorie non cognitiviste diverse: 1) l'emotivismo di Ayer; 2) l'emotivismo di Russell; 3) l'emotivismo di Stevenson; 4) l'espressivismo di Blackburn e Gibbard. In modo particolare, la teoria (4) presenta un elemento importante: il Problema Frege – Geach (d'ora innanzi: FGP). Più nello specifico, tale argomento, discusso già da Geach, ritiene che ad ogni enunciato imperativo vi sia un corrispondente enunciato al tempo futuro, il quale, una volta reso vero, corrisponde alla realizzazione dell'imperativo. In questo modo, appare possibile ridurre gli imperativi a questo tipo di enunciati al tempo futuro perché per la logica risulta irrilevante la differenza di enunciazione degli imperativi. Pertanto, il problema diventa valutare se esistano principi logici “speciali” per gli imperativi o se al contrario si possano usare i corrispondenti enunciati al tempo futuro. La ripresa del tema, da parte di Blackburn, consiste sostanzialmente nel tentativo di spiegare, entro i confini di una teoria etica espressivista, l'indentità di significato tra termini ricorrenti ora in maniera valutativa ora in maniera indiretta.
Nel terzo capitolo, Marturano offre una copiosa ricognizione intorno alle possibili soluzioni al (DJ). In primo luogo, viene dato conto della soluzione proposta da Jørgensen, vale a dire distinguere tra due differenti elementi, sia pure congiunti nelle forme enunciative del linguaggio umano: (EF) il fattore indicativo; (EI) il fattore imperativo. Jørgensen scinde nell'enunciazione normativa un enunciato indicativo, descrivente l'azione, cambiamenti o stati di cose che sono stati ordinati o desiderati, e un enunciato imperativo. Così è possibile ricavare da ciascuna enunciazione normativa due differenti enunciati, uno imperativo, esprimente un concetto deontico, e uno indicativo, descrivente quanto viene richiesto. Ciò, mi pare rilevante: da un lato consente di aggirare la problematicità della separazione tra i due tipi di enunciati; e, dall'altro lato, si tratta di una distinzione equivalente alla separazione degli enunciati in segno di forza, ossia, il fattore illocutivo, e contenuto proposizionale, ossia il fattore indicativo. Questa è, però, una soluzione simile a quella di Hare che proponeva di distinguere tra: [F] un elemento descrittivo, chiamato frastico; [N] un elemento imperativo, chiamato neustico. Per Jørgensen ad ogni enunciato imperativo corrisponde un enunciato indicativo derivato dal primo. La logica, così, troverebbe applicazione al secondo, e non al primo.
Marturano descrive anche una possibilità di risoluzione positiva del (DJ) per il tramite di una modifica “intuizionista” della logica classica. In questo senso, infatti, i connettivi adoperati in (LD) non saranno più considerati in senso verofunzionale ma in senso pragmatico, interpretati cioé come funzioni di giustificazione. Distinguendo i segni di forza illocutoria e i segni di modalità deontica, Dalla Pozza rende possibile una logica delle prescrizioni interpretate in senso espressivo.
Concludendo, il (DJ) consiste nella difficoltà a giustificare, su base formale, una (LN). I vari tentativi possono essere descritti in quattro gruppi diversi: 1) soluzione scettica; 2) fondazione sintattica della (LD); 3) fondazione semantica della (LD); 4) fondazione pragmatica della (LD). La prima soluzione gode di minori simpatie da parte dell'autore perché nega la possibilità di una soluzione positiva alle difficoltà suscitate dal (DJ). La soluzione (2) è considerata migliore della precedente perché consente di superare le difficoltà suscitate dal (DJ). Tuttavia, il tentativo messo in pratica non è stato del tutto coerente. La soluzione (3) si divide in: (a) ridefinizione della semantica; o, (b) applicabilità alle norme di valori alternativi a quelli di vero e di falso. L'autore vede nella soluzione (4) l'unica alternativa in grado di rispondere positivamente alle attese suscitate dal (DJ). Infatti consente di distinguere in un enunciato una parte proposizionale e una parte illocutoria. Così, diventa possibile far coesistere due aspetti diversi della logica, una teoria delle proposizioni e una teoria degli enunciati. Il (DJ), dunque, è il risultato di una riflessione intorno ai limiti del pensiero pratico. Per Marturano, solo uno studio congiunto di (DJ) e (FGP) consente di apprezzare il ruolo che il livello pragmatico del linguaggio svolge nella (LN). Sembra di capire che la (LN), come risposta positiva al (DJ), è auspicabile ma per essere davvero possibile deve riuscire a conciliare la natura verofunzionale della logica proposizionale con la natura non aletica delle proposizioni normative. Marturano, allora, indica nel (FP), con un interessamento da parte della logica intuizionista, la strategia più promettente per risolvere il (DJ).
Passerò adesso ad indicare quelli che, a mio modo di vedere, sono le principali difficoltà della lettura proposta. Per mere esigenze espositive, i punti critici della presente trattazione sono così elencati: 1) arbitraria tripartizione del (DJ) (p. 11 e sgg.): è assente in Jørgensen la contemplazione di tre corni tra i quali scegliere laddove il logico danese rimaneva affascinato dalla reciproca esclusività delle due alternative; 2) sostanziale fusione di (DJ) con il problema filosofico della fondazione di una (LD) (si equivoca tra una (LD) e una (LN): la prima nasce inzialmente come modalità in virtù della quale poter trattare entro il dominio logico le proposizioni non apofantiche, ma la sua evoluzione immediatamente posteriore mostra una storia che si discosta profondamente da questa genesi. Se si cerca una logica che prenda in considerazione le proposizioni normative, di per sé non verofunzionali, allora una (LD), quale logica delle proposizioni normative in sé, può andare bene. L'unico problema è però che la (LD) non è solamente una logica delle proposizioni normative, ma molto di più e molto altro di questo); 3) le premesse metateoriche (aver costruito un contesto meramente di filosofia del linguaggio (normativo) per discutere il (DJ) (pp. 19 – 32). Si tratta di una questione aperta perché consente di ridurre il problema logico di una fondazione della (LD) a una questione di formalismo linguistico da adoperare, bypassando così l'ostacolo verofunzionale a che si risolva positivamente il (DJ) e che la (LD) sia davvero una 'logica'; 4) le premesse metaetiche: aver derivato un particolare discorso metaetico sulla base della riduzione del (DJ) (e della (LD)) ad una (mera) filosofia del linguaggio (pp. 32 – 47); 5) aver indicato la soluzione del (DJ) nell'espressivismo (FGP) (pp. 47 – 57). Marturano gioca tutte le sue carte sull'indifferenza enunciativa allo specifico contenuto proposizionale enunciato. In questo modo, infatti, il significato normativo deriva dalla funzione enunciativa prescelta (pp. 50 – 56); 6) sorgono non poche perplessità in merito all'aver prima trattato le soluzioni che abbracciano il 2° corno (pp. 64 – 79) delle soluzioni che abbracciano il 1 ° corno del (DJ) (pp. 79 – 121).
In breve, ritengo si possa dire come storicamente il problema della giustificazione della (LD) sia stato inteso come il tentativo di rispondere positivamente al (DJ), ma questa è stata solo una delle opzioni in campo, e nemmeno quella più rappresentativa. Peraltro, rimane equivoco considerare la (LD) quella (LN) che sembra emergere come necessità dal discorso di Jørgensen. Penso che Marturano mappi il (DJ) proprio sulla (LD), trascurando di tenere nella giusta considerazione questo filone tutt'ora problematico della ricerca logica, ma, e soprattutto, ignorando come tale procedere finisca con il collassare il (DJ) sulla (LD). Tuttavia, a parziale scusante, si deve riconscere come il riferimento alla (LD) sia il risultato delle reale prospettiva in forza della quale si cerca di interpretare la questione inquadrata dal (DJ): come giustificare razionalmente i processi logici inerenti le proposizioni normative, a rigore, eterogenee alla logica? La prospettiva dell'autore appartiene più alla filosofia del linguaggio che alla logica, e non potrebbe che essere così dal momento che la logica nulla può dire della diversa “forza” illocutoria delle varie enunciazioni. Se la mia interpretazione non è errata, assumono allora senso le due fondazioni, la prima semantica, la seconda pragmatica, che Marturano offre a conclusione del volume, come strategie maggiormente promettenti rispetto ad una soluzione positiva del (DJ) perchè, fatta salva l'indifferenza enunciativa rispetto al contenuto proposizionale dell'enunciazione, si presta attenzione al complesso di mondi possibili (che rendono possibile anche parlare di 'verità' per le enunciazioni non indicative) e alle funzioni normative che si desidera mandare ad effetto. L'analisi generale deve, pertanto, collocarsi a livello pragmatico, ossia con riguardo all'effetto pratico svolto dal linguaggio.
Si potrebbe concludere, pertanto, asserendo che Marturano affronti solo una delle varie versioni del (DJ) che si discosta dal puzzle jørgenseniano.
Indice
Introduzione
Capitolo I. Il “Dilemma di Jørgesen”
Capitolo II. Premesse metateoriche
Capitolo III. Soluzioni al “Dilemma di Jørgensen
Conclusioni
Bibliografia
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