mercoledì 8 ottobre 2014

Bondì, Antonino (a cura di), Percezione, semiosi e socialità del senso

Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 232, euro 20, ISBN 9788857514994

Recensione di Lidia Gasperoni - 19/11/2013

Il volume di Bondì presenta al pubblico italiano una sintesi del progetto di ricerca Teoria delle forme semantiche (da ora TFS), attraverso la raccolta di alcuni dei suoi contributivi più significativi. In tale prospettiva il volume curato da Bondì costituisce una vera e propria opera di traduzione e insieme di articolazione degli assunti principali di questa teoria che si profila come un confronto fenomenologico e gestaltista con le linguistiche cognitive e il loro retroscena kantiano. Questo confronto si articola non su un piano meramente di teoria

 della percezione ma cerca, a partire da questa, di porre in relazione la semantica dei processi percettivi con gli aspetti sociali, simbolici e antropologici ad essi connessi. In questo tentativo di sintesi sistematica la TFS non può eludere il confronto con la teoria delle forme semantiche kantiane ossia con la teoria dello schematismo che nel volume costituisce a mio avviso un riferimento sistematico fondamentale, che articola il confronto critico con il problema del significato e la distinzione, a esso legata, tra conoscenza ed espressione in Kant. A questo confronto va riconosciuto il merito preliminare di non dare per presupposta la questione della costituzione del significato, vizio di molte delle teorie contemporanee della percezione di stampo computazionalista.
La TFS sostiene, come Bondì pone in luce nell’Introduzione, la necessità di ripensare in senso più complesso la nozione di forma o Gestalt, per emancipare questa nozione da definizioni di tipo composizionalista e strutturalista e giungere a una visione dinamica e modulabile della forma che descriva l’attività linguistica in termini semio-genetici – così Bondì descrive l’ambizione teorica della TFS: “essa mira a proporre un modello percettivo/costruttivo e prassiologico del linguaggio, che lo individui e sia in grado di descriverlo come un’attività di costruzione e deformazione costante di forme attraverso processi d’individuazione, identificazione e determinazione d’ordine attraverso alcune eterogenee ma simultanee dinamiche di stabilizzazione” (p. 15). Questo progetto non solo avvicina la TFS alle teorie cognitive dello schema, per esempio nella versione di Lakoff e Johnson, ma segna anche la distanza da esse perché, se da una parte a queste ultime va riconosciuto il merito di aver messo in luce il legame tra linguaggio e percezione, dall’altra riducono le strutture percettive a un repertorio di forme che fanno riferimento in maniera preponderante alla configurazione spaziale e cinetica. 
Questa distanza critica pone di nuovo in agenda la questione della forma semantica, emancipandola da una prospettiva strettamente cognitivista che tende a ridurre la questione della percezione alla semantica del corpo. In questa prospettiva Bondì sa ben introdurre l’ambizione teorica della TFS come il tentativo di “mostrare in che modo il linguaggio possa essere descritto e compreso come un’attività di costruzione dinamica di Gestalten semiotiche, non riducendo queste ultime alle configurazioni topologiche-dinamiche in cui sarebbero radicate” (p. 19). Così quella corporeità, in cui la semantica cognitiva radica le forme, deve essere ripensata secondo la TFS in una prospettiva di stampo gestaltico e fenomenologico che riesca a rendere conto del carattere dinamico della costruzione e dell’espressione semantiche. E questa è a mio avviso un’ambizione valida che può motivare la lettura di questo volume collettaneo perché è un’ambizione che non sottende il significato bensì lo considera a partire dalle sue forme, per così dire, di formazione, tornando così a quella concezione di Gestalt come significazione e azione che tanto ha segnato la filosofia. L’ambizione si realizza a partire da un’idea di attività linguistica che sia percettiva e anticipativa al tempo stesso.  
La TFS propone una visione della forma che sia radicata in una descrizione multimodale della percezione e definisca quindi la modalità di una forma, liberata secondo Cadiot e Visetti dall’omogeneità dell’intuizione formale kantiana in un confronto serrato con la Teoria delle Catastrofi sviluppata da Jean Petitot. Questa teoria, come lui stesso ha sostenuto, può essere considerata come un superamento conservatore dello schematismo kantiano perché ne riprende il dispositivo ma ne estende la portata. Nonostante l’estensione del dinamismo dello schematismo secondo la TFS la Teoria delle Catastrofi rimarrebbe ancorata a una “tendenziosa riduzione dei fenomeni a delle configurazioni salienti” (p. 61) e quindi a una concezione della percezione per lo più omogenea e non prospettica che è invece quello che Cadiot e Visetti cercano di perseguire a partire dalla fenomenologia come una visione prasseologica della percezione: “essa coglie nell’oggetto in maniera immediata, non soltanto una morfologia sensibile, ma anche un orizzonte di azioni o di funzioni, che rinviano all’identità del corpo proprio (che esplora, stringe, rilascia…), così come ai reticoli della cultura e della società” (p. 63).
Alla concezione della percezione come anticipazione è dedicato il saggio di Rosenthal che a partire dal paradosso di Menone, secondo cui non possiamo conoscere (o imparare) che ciò che già conosciamo, si occupa di indagare in che modo, affermandone il primato, la percezione possa diventare il criterio genetico della cognizione stessa. In questo modo la vita percettiva diventa espressiva “nella misura in cui essa si fonda su una dinamica genetica di orientamento verso un a-venire che si fa esplicitamente leggibile nel modo stesso della presentazione delle figure – fino a dotare queste ultime eventualmente di animazione e di interiorità” (p. 99). A questo riguardo la nozione di microgenesi assume un ruolo centrale perfino nei processi di categorizzazione.
La questione della variabilità nella dinamica di valori non già presupposti ma comunque condivisi, è considerata dal quarto saggio di Lassègue il quale nota come “la variabilità non è, dunque, ciò che si oppone alla stabilità dell’invariante ma al contrario ciò che lo realizza nel corso di un processo: l’invariante allora si definisce per la sua capacità di prestarsi alla differenziazione” (p. 102). La variabilità diviene così la condizione dell’invariabile stesso che è sua sedimentazione e cristallizzazione che si realizzano in una forma simbolica la quale secondo Lassègue trasforma il modo in cui la cultura interviene nella cognizione. 
Nel quinto saggio del volume Cadiot e Visetti tornano al cuore del superamento della nozione di schema come forma semantica; al suo posto si dovrebbe, infatti, parlare di motivi, profili e temi. In questa proposta teorica è la parola stessa a veder modificato il suo statuto; in particolar modo è l’eterogeneità semantica a essere descritta secondo motivi, profili e temi, definiti dagli autori come “tre modi di unificazione e di descrizione del senso, presi in un circolo ermeneutico” (p. 129). Se i motivi costituiscono una sorta di schemi gestaltisti ricorrenti nella loro variabilità, l’operazione del “profilaggio” si occupa della stabilizzazione e all’individuazione dei lessemi, e la tematica, come momento d’uscita, è il momento “in cui l’attività di linguaggio incontra un’esteriorità che essa si dà, e che non s’oggettiva, per lei e con lei, che lungo un percorso fatto di stabilizzazioni transitorie” (p. 147). 
Nel sesto saggio si torna alla questione del segno con il saggio di Piotrowski che riesce a mettere in luce la struttura fenomenologica interna alla relazione tra significante e significato e a porre la questione dell’unità percettiva interna al segno stesso in un tentativo di sintesi tra Saussure e Husserl, tra teoria del valore e intenzionalità. Il riferimento a un “ideale Goethiano di un’unità del sensibile e dell’intelligibile” indica inoltre una direzione importante rispetto alla critica dello schematismo kantiano, che i saggi del volume nel complesso trascurano, ossia quella delle metacritiche rivolte a Kant e al presunto dualismo tra intelletto e sensibilità, nel tentativo di riportare alla luce il carattere performativo della sensibilità dei segni che – come afferma Piotrowski – “in quanto morfologie significanti, stabiliscono il ponte fra strutturalismo e fenomenologia, tra forma d’oggetto e forma della fenomenalità” (p. 201).
Il saggio conclusivo del volume di Bondì considera gli aspetti problematici della svolta esperienzialista delle linguistiche cognitive, ribadendo il valore dell’azione del soggetto parlante. Nel suo saggio Bondì riesce a individuare l’aspetto forse più problematico dell’assunto esperienzialista delle teorie sviluppate da Lakoff e Johnson che “non va al di là di un innatismo di tipo rappresentazionalista, che intende mettere insieme da un lato le immagini schematiche, che sono universali e radicate nella percezione, e d’altro lato la variabilità linguistica e la differenziazione culturale” (208). Al riguardo Bondì propone un ritorno alle ricerche di Merleau-Ponty e Saussure in cui è il soggetto parlante “gioca un ruolo fondamentale, in quanto essere umano e essere sociale, essere potenziale ed effettivo al contempo” (p. 221).
Il volume di Bondì sa ben tracciare l’ambizione teorica della TFS a fare della forma il dispositivo processuale della percezione del significato, che sia costituzione del significato stesso. È da apprezzare inoltre il tentativo di articolare questa proposta in modo corale in un volume collettaneo, che ben riesce ad argomentare attraverso più voci un percorso teorico ambizioso e complesso che merita di essere approfondito e discusso ancora più in dettaglio.  


Indice

Ringraziamenti

Antonino Bondì
La teoria delle forme semantiche tra semiotica e fenomenologia: verso una logica dell’espressione

Pierre Cadiot – Yves-Marie Visetti
Percezione, teoria delle forme e fenomenologia

Victor Rosenthal
Percezione come anticipazione

Jean Lassègue
Forme simboliche e emergenza dei valori. Per una cognizione culturalizzata

Pierre Cadiot – Yves-Marie Visetti
Motivi, profili, temi

David Piotrowski
Il segno: un ponte fra strutturalismo e fenomenologia

Antonino Bondì
Il sujet parlant come dispositivo: la stratificata esperienza della parole

Bibliografia

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