mercoledì 15 ottobre 2014

Cantone, Damiano, Taddio, Luca, L’affermazione dell’architettura. Una riflessione introduttiva

Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 168, euro 16, ISBN 978-88-5750-275-5

Recensione di Pio Gusso - 20/07/2013

Nell’autonomo procedere di due discipline programmaticamente distanti quali sono quella del filosofo e quella dell’architetto, non sono molti i punti di corto circuito, i luoghi in cui le rispettive strade si sovrappongono fino a includere un intervento diretto dell’uno nel campo dell’altro.
Se ci soffermiamo all’ultimo secolo, i due episodi certamente più noti sono quello che vede Wittgestein, a metà degli anni Venti, affiancarsi all’architetto Engelmann 

nella realizzazione della casa per la sorella Margarethe, e quello che, nel 1985, vede la collaborazione di Derrida e Eisenman per un giardino da inserirsi nel progetto più generale del Parc de la Villette a Parigi.
Così potrebbe apparire non del tutto casuale che questi due eventi assumano una posizione simmetricamente centrale nel libro di Cantone e Taddio, trovando accoglienza nel terzo e nel settimo capitolo, dei dieci complessivi di cui è composto.
Si tratta, in effetti, di due esperienze quasi paradigmatiche rispetto a un concetto ricorrente nel testo: quello dello sconfinamento. Laddove lo sconfinamento è inteso come la necessità, connaturata in determinate discipline, di oltrepassare il proprio specifico settoriale per affrontare altri ambiti e altri saperi. A questo concetto è strettamente connesso quello di incompetenza, così come viene proposto da Derrida (cfr. p. 23). L’incompetenza è lo spazio del non sapere, ma è anche lo spazio che permette il ripensamento dei propri strumenti critici, la messa in discussione delle conoscenze acquisite,  per consentire la ridefinizione della propria attività. Di conseguenza il riconoscimento di di questa mancanza di conoscenze non deve presentarsi come una sorta di buco da colmare, ma un’opportunità in più, un punto di partenza per consentire al pensiero libertà di movimento al di fuori di saperi codificati entro limiti precostituiti.
La corrispondenza tra  filosofia e architettura non è da intendersi come una sorta di azione teorica del filosofo che intervenga per fornire un supporto concettuale all’opera del architetto.  Né gli autori vanno nella direzione di individuare un serrato parallelismo tra idea e forma, sulla falsariga di quello ravvisato da Panofsky tra filosofia scolastica e architettura gotica.
Il punto di incontro tra le due discipline viene qui individuato nel presupposto che entrambe si presentino come pratiche di pensiero, ossia “discipline nelle quali fare e pensare sono due lati della stessa medaglia” (p. 20). Il loro modo di procedere è contraddistinto da un continuo processo, individuato col termine di affermazione, volto a superare il modello già definito e a riformulare incessantemente le regole del proprio fare.
Se l’architettura dipende da un sistema complesso di relazioni, che non possono esaurirsi soltanto all’interno della propria specificità disciplinare, ma devono necessariamente confrontarsi con processi esterni (siano essi politici, culturali, giuridici, economici o tecnico-scientifici), di conseguenza è a queste connessioni che bisognerà rivolgersi per indagare sul concetto di affermazione.
Prendendo le mosse dall’imprescindibile valenza pubblica dell’architettura e quindi dal conseguente legame con il potere, gli autori individuano in Foucault (pp. 30-37) il punto d’inizio della loro ricerca: se l’architettura ha come oggetto il rapporto dell’uomo con lo spazio, d’altra parte la gestione dello spazio comporta sempre una determinata configurazione del potere. L’altra caratterizzazione “politica” dell’architettura va individuata nell’intrinseco valore collettivo del suo operare, per Ortega y Gasset così come per Loos l’architetto deve sempre essere al servizio della società.
Il secondo elemento, ancora più caratterizzante, è il confronto con la tecnica. Questo ragionamento viene declinato a partire dalla nota tesi di Benjamin sulle trasformazioni dell’arte (pp. 40-44), soprattutto in termini di fruizione, nell’era della tecnica, passando per il concetto di abitare in Heidegger (pp. 58-62), fino a giungere a Severino. Con Severino la tecnica non è più il mezzo, ma diventa il fine (pp.70-71); non è più heideggerianamente qualcosa di cui potersi prendere cura, ma è qualcosa che domina l’uomo. Sul carattere destinale della tecnica si sofferma anche Baudrillard (pp. 74-80), che contrassegna la nostra epoca come quella della simulazione e della virtualizzazione: il simulacro si sostituisce alla realtà.
La meditazione di Husserl (pp. 84-85), seguita da quella di Merlau-Ponty (pp. 86-92), riporta l’attenzione sull’oggetto in quanto tale, così come viene percepito dai sensi, e dal quale l’approccio scientifico ci ha separato per restituircene un’immagine ridotta a mero calcolo.
Si giunge così all’analisi della condizione post-moderna, segnata dall’impossibilità per l’opera di esprimere completamente il suo senso (Lyotard, pp, 100-104, ma anche Derrida, pp. 106-112). Il pensiero decostruzionista fa da premessa al passo successivo, contraddistinto dalla perdita di fondamento per la forma, ovvero all’esplosione della città nella metropoli, dove l’ambiente urbano non è più il tema di una riflessione estetica, ma è il contesto stesso entro cui si colloca l’estetica, un contesto senza riferimenti precisi, i cui limiti sfumano nell’informe.
Per ognuno di questi passaggi, sinteticamente riportati, corrisponde una sfaccettatura, una tessera del mosaico che intende costituire l’idea di affermazione dell’architettura.
Tuttavia il testo non approda a una formulazione definitiva che riesca a riassumere questa idea di affermazione, si limita a proporre una serie di indicazioni, spesso anche lontane tra loro, che intendono costituire una base di partenza per ulteriori approfondimenti, in questo senso va letto il termine introduzione utilizzato nel sottotitolo del libro.
Potremmo dire che l’architettura si afferma in quanto opera i cui significati eccedono rispetto alle intenzioni dell’autore e al contesto (politico, economico, ecc.) che la ha generata, essa si deve confrontare anche rispetto al suo divenire. Tali significati non possono derivare da teorizzazioni precostituite, infatti l’opera, nel suo affermarsi, determina al proprio interno le regole della sua costruzione, è paradigma di sé stessa. L’architettura reca in sé questa duplicità congenita, quella del soggetto che la afferma e quella dell’oggetto la cui affermazione assume una propria autonomia nella fruizione pubblica. Non si tratta di intendere l’affermazione come una sorta di giudizio, ma come un pensare intrinseco alla materia, ecco perché l’architetto non deve necessariamente produrre teoria, è la sua stessa opera ad essere “una forma di pensiero e quindi un’affermazione sulla realtà” (p. 123).
L’altro aspetto che resta sospeso nel libro è cosa debba intendersi per architettura: se  inizialmente sembra venire qualificata come un’attività che trascende la settorialità del costruire edifici, per allargarsi a un uso estensivo del termine (oggi si parla di architettura del calcolatore, ma anche del software, delle reti, fino ad arrivare al mondo delle biotecnologie, p. 20), successivamente si torna a parlare di opera architettonica in senso tradizionale, al punto da considerare un esempio estremo l’inserimento, in quest’ambito, del design industriale (p.24). Quest’ultima linea sembra quasi essere quella più propriamente seguita fino al capitolo conclusivo, in cui l’orizzonte si espande di nuovo, laddove viene presentata la modifica del corpo umano come l’ultima frontiera del costruire frutto dall’incessante progresso tecnologico.
A questo indeterminatezza in “orizzontale”, potrebbe affiancarsi una verticale, interna alla disciplina, in quanto nemmeno viene sviluppato lo scarto, espresso dal mondo greco e richiamato nell’introduzione (p.10), tra architectos e oikodomos, ossia tra chi produce architettura e chi più prosaicamente si limita a costruire.
Si profila così quello che potrebbe presentarsi come un ragionamento ricorsivo. Da una parte, essendo l’intento  del libro quello di individuare l’architettura come affermazione nella sua specificità (distinta da quella che potrebbe caratterizzare altre espressioni artistiche), sarebbe auspicabile tentarne una definizione disciplinare. Dall’altra, partendo dall’assunto che l’architettura è una pratica di pensiero per sua natura costretta a rivedere continuamente la propria peculiarità, implicitamente si nega la possibilità di inquadrarla entro limiti precisi.
Ma dove conduce infine, portandola alle sue conseguenze estreme, questa riflessione?
Prendendo le mosse da una definizione estensiva di architettura, intesa come generica “manipolazione” dello spazio da parte dell’uomo, si perviene verosimilmente a comprendere tutto il “fare” umano, dunque come riuscire a separare l’affermazione dell’architettura da una più generica affermazione della più generica produzione dell’uomo nel mondo?
In quest’ottica, la risposta che il Filosofo, nel dialogo conclusivo del libro, dovrebbe dare alla richiesta di una formuletta risolutiva da parte dello Studente (p. 166), sarebbe: non posso fornirti una definizione di affermazione dell’architettura in quanto non ho per te una definizione univoca e risolutiva di architettura.
Quasi a contrastare con le conclusioni scevre da schematismi, il libro ha una sua precisa architettura, organizzata secondo un simmetrico gioco di corrispondenze: 9 capitoli più un decimo suddiviso a sua volta in 9 dialoghi. A parti invertite, dei due autori del libro, chi ha curato un capitolo ha lasciato all’altro la redazione del dialogo corrispondente. Anche la premessa al libro, trova un contraltare in un breve dialogo, non numerato, che funge da preambolo al decimo capitolo.
L’enigmaticità dell’affermazione si ripropone ancora nell’apparato iconografico: 42 architetture mute, prive di rimando didascalico, si confrontano con il testo nei primi sette capitoli.


Indice
        1        Introduzione
        2        Architettura e politica
        3        Tecnica e architettura
        4        Costruire Abitare Pensare
        5        Nichilismo e tecnica
        6        Fenomenologia e architettura
        7        Estetica postmoderna e decostruzionismo
        8        Estetica diffusa: la metropoli
        9        L’affermazione del corpo
        10      Dialogo conclusivo

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