Firenze, Le Lettere, 2014, pp. 288, euro 24, ISBN 978 88 6087 735 2
Di Humberto Romesín Maturana (Santiago del Cile 1928) diverse opere sono conosciute e tradotte in lingua italiana; tuttavia mancava, nel panorama nazionale almeno, un libro come il presente con il quale Letizia Nucara, dottoressa di ricerca e studiosa della complessità, offre una ricostruzione globale e coerente del lavoro e del pensiero di questo biologo e filosofo contemporaneo la cui originalità e fecondità non sono forse ancora state valutate in tutta la loro portata.
La ricerca di Maturana parte da una coppia di domande apparentemente distinte: «che cos’è l’organizzazione del vivente?» e «come funziona il fenomeno della percezione?». Nello scoprire il nesso che le lega («la struttura che connette», per citare un autore caro a Maturana come Gregory Bateson) sta la chiave della “rivoluzione” epistemologica entro la quale si formano e maturano i concetti centrali che guideranno il suo lavoro, in cui vita e conoscenza saranno categorie non più distinte né su un piano metafisico, né da un punto di vista di ambiti disciplinari.
Siamo abituati a rispondere alla domanda su «che cosa sia» un sistema vivente con definizioni che elencano una serie di proprietà caratterizzanti; tuttavia, come possiamo dire quando fermarci, ovvero come possiamo aver la certezza di avere esaurito l’elenco? Per rispondere a questo quesito occorre spostare lo sguardo su noi stessi, gli osservatori: viventi che studiano se stessi e i propri simili. Che significato ha questa capacità di conoscere? L’interrogativo mette in luce l’arbitrarietà dello schema classificatorio usuale, basato sulla concezione di un reale esterno e definito/definibile secondo una serie di proprietà; al contrario, invita a collocare l’osservatore al centro del processo e del problema classico nella tradizione della filosofia occidentale, cioè: come si produce quel fenomeno che chiamiamo «conoscenza»?
Un «reale», scopre Maturana, si definisce per un osservatore e in relazione alle sue scelte operative – che non sono questione di arbitrio, ma di accoppiamento. Quest’ultimo è il risultato di una serie di regolarità, presenti da ambo i lati e rispettivamente indipendenti, tali da rendere possibile il reciproco “riconoscimento”: non un processo di conoscenza nel senso coscienziale del termine, ma l’innesco da entrambe le parti di cambiamenti strutturali che mantengono integra l’identità dei due sistemi in relazione. La conoscenza, dunque, non è né recezione né proiezione, bensì co-determinazione reciproca delle parti in causa – in termini classici il «soggetto» conoscente e l’«oggetto» conosciuto, che proprio e solo in seguito all’attuarsi di tale processo e per un osservatore esterno possono essere definiti come tali.
Se questo è vero, la conoscenza degli esseri viventi non può esser data in un elenco di «proprietà» che apparterrebbero loro; occorre invece determinare la dinamica ad essi propria che ne costituisce l’essere e il vivere, in qualunque contesto di accoppiamento possano venire a trovarsi.
Attraverso questo ribaltamento di prospettiva epistemologica Maturana conia – insieme a Francisco Varela – il termine e il concetto di autopoiesi come caratteristica essenziale che permette di distinguere i viventi da ogni altro esistente. Nucara analizza (nel capitolo I) lo sviluppo di questo concetto originale a partire dalla teoria dei sistemi e dalla nozione cibernetica di auto-organizzazione, mettendo in luce la differenza più significativa che distingue la «teoria di Santiago» di Maturana e Varela dalle precedenti, cui pure è debitrice: il rifiuto della teleologia e dell’utilizzo di categorie proprie del dominio dell’osservatore per la spiegazione dei fenomeni che pertengono al dominio del sistema vivente (p. 52). Abbandonando la nozione di comportamento in favore di quella di accoppiamento, e quella di adattamento in favore di quella di deriva, attraverso il concetto di autopoiesi Maturana e Varela definiscono la costruzione del vivente come «concatenazione di processi di produzione di componenti che determinano i processi che a loro volta li producono e, inoltre, definiscono un’unità nello spazio fisico» (p. 57). Il vivente è dunque definito dalla propria organizzazione (si veda l’importante distinzione tra organizzazione e struttura illustrata da Nucara alle pp. 58-61) e dalla capacità di riprodurla, producendo in questo modo di continuo sé stesso.
Da questo punto di vista la teoria dell’evoluzione viene rivalutata (pp. 74 e segg.) e la considerazione storico-temporale della vita ripensata: se da un lato la storia passata di un organismo e quella dei suoi progenitori agiscono come vincolo alle sue trasformazioni strutturali possibili, d’altro canto dalla prospettiva a esso propria non si danno né un progresso, né uno sviluppo verso, né un punto d’arrivo (idea che sarebbe interessante approfondire in relazione alle nozioni comuni di “norma” e “devianza”).
Definita in questo modo l’organizzazione del vivente Nucara passa a trattare più specificamente (capitolo II) del tema della cognizione, fenomeno anch’esso radicato in una considerazione prettamente biologica della vita degli organismi. La cognizione è, per Maturana, implicata nell’esistenza dei sistemi viventi (non solo gli uomini, né solo gli animali) e coincide con «il meccanismo attraverso cui i sistemi autopoietici (e cioè i sistemi viventi) gestiscono come sistemi chiusi la loro apertura all’ambiente» (p. 116): essa è una forma di azione e di interazione, è il modo fondamentale di azione dei sistemi caratterizzati da autopoiesi in accoppiamento strutturale con ciò che per essi è l’«esterno», sia (per l’osservatore) l’ambiente o un altro sistema autopoietico. Essa non è dunque una proprietà specifica del «mentale», al contrario è proprio quest’ultima dimensione che si determina come emergente da una serie di processi cognitivi di tipo particolare, che implicano il linguaggio come forma propria della loro attuazione (capitolo III).
Così come non vi è una «mente» specchio del mondo, non vi è neppure un mondo «oggettivo» cui essa si contrappone: «La cognizione […] non è una rappresentazione di un mondo che esiste indipendentemente, ma è piuttosto una continua generazione di un mondo tramite il processo della vita» (p. 118). Il mondo si trasforma in un multiversum formato dalla molteplicità di prospettive che i diversi sistemi autopoietici generano nelle loro storie di interazioni e derive.
Neppure la presenza di un sistema nervoso è segno dell’”invenzione” di fenomeni qualitativamente nuovi nel regno dei viventi: semmai esso, moltiplicando le possibilità di connessioni interne tra gli elementi e i processi dell’organismo, moltiplica anche il numero degli stati interni attraverso cui il sistema può realizzare la propria organizzazione e coerenza operazionale; amplia dunque effettivamente le possibilità di vita e azione del vivente, senza introdurre però soluzioni di continuità rispetto a quegli organismi che ne risultano privi.
Il sistema nervoso funziona non selezionando «rappresentazioni» del reale, bensì generando «relazioni cangianti di attività tra i suoi componenti in una dinamica chiusa» (p. 124): le variazioni “sensibili” provenienti dall’esterno innescano un insieme di variazioni nelle cellule nervose, senza però determinarne il risultato, che dipenderà perciò dall’organizzazione stessa piuttosto che dall’‟oggetto”. Questo considerazioni portano Nucara ad affrontare il complesso e perturbante problema della non-differenza tra percezioni, illusioni e allucinazioni: «non siamo in grado di distinguere tra un’illusione, un’allucinazione e una percezione: sono indistinguibili dal punto di vista empirico. Una simile distinzione può essere operata socialmente, soltanto mediante l’uso di un’esperienza diversa […] come criterio autorevole di distinzione meta-esperienziale» (p. 139). Solo la capacità di confrontare esperienze diverse – cioè il non coincidere mai integralmente con nessuna di esse, ma il possedere un mezzo nel quale rielaborarle e riflettere su noi stessi in esse (il linguaggio, come si vedrà) – permette che sorga in noi il dubbio e che, attraverso il confronto, si possa giungere a una distinzione tra quei «sistemi di coerenze» che descrivono esperienze riconosciute come autentiche, e quelli che appartengono all’illusione, all’errore, all’allucinazione.
Non vi è una Realtà oggettiva cui appellarsi, perché «tutto ciò che è detto è detto da un osservatore» e nessun osservatore può uscire dal suo punto di vista per acquisirne uno universale e assoluto (vengono in mente Wittgenstein e le sue osservazioni sulla nostra impossibilità di “uscire” dal linguaggio). Ciò tuttavia non implica né relativismo né rinuncia alla comunicabilità dei punti di vista: nel linguaggio diventa possibile l’incontro e il confronto tra prospettive diverse e, a partire da questo, diviene possibile la riflessione sul proprio punto di vista, sulla limitatezza di quest’ultimo ma al tempo stesso sulle possibilità di trasformazione cui si apre. Il linguaggio è non mezzo di trasmissione di informazioni, ma medium nel quale i conversanti comunicano il proprio orientamento, modificando quello altrui: «linguaggiare» (p. 181) è una forma di azione che produce trasformazioni nel multiversum, piuttosto che uno scambio di simboli e significanti-significati. Se è così questo «linguaggiare» è espressione personale – anzi, è proprio la dimensione in cui qualcosa come un Sé emerge – ed è radicato nell’essere biologico-culturale dell’organismo, di cui fa parte la ricchezza emozionale ad esso propria.
Qui si fonda la prospettiva etica di Maturana, cui Nucara dedica le intense sezioni conclusive del suo libro: nel multiversum nel quale costitutivamente esistiamo, la capacità di accordo e di disaccordo non dipende da una migliore o più esaustiva capacità di cogliere il vero, ma dalla disponibilità ad accogliere la prospettiva dell’altro, a farne oggetto di riflessione, a riconoscerla come possibile e legittima. Tale disponibilità si colora della tonalità affettiva dell’amore, alla quale (piuttosto che al conflitto) si deve originariamente la comparsa del linguaggio umano: «Il linguaggio deve essere nato, fin dall’inizio, intrecciato con le emozioni della convivenza, nella dinamica di coordinazioni ricorsive di atti ed emozioni che oggi chiamiamo conversare. Parlare-conversare devono essere nati insieme come un modo di convivere che integra giovani e adulti, in uno stato di benessere, nella coordinazione degli atti di tale convivenza, nel piacere della condivisione e della partecipazione» (p. 200, nota 159; vedi anche p. 227, nota 268).
L’etica (in cui si avvertono echi di una spiritualità talvolta genericamente definita come “orientale”) che Maturana propone si basa sulla comprensione dell’orizzonte di complessità nel quale esistiamo e dobbiamo imparare a pensare; sul superamento del principio del terzo escluso; sulla integrazione di una causalità circolare, ricorsiva, a quella lineare cui la meccanica ci ha abituati. È un’etica della responsabilità, un’etica ecologica o eco-etica costruita sull’impossibilità di separare la verità dalla prospettiva singolare, e il singolo dalla storia e dal dominio delle sue interazioni ecologiche (sociali e ambientali): costruita dunque su quella «assenza di fondamenti» (Aldo Giorgio Gargani) di cui la nostra epoca “post-” si nutre. Il libro di Nucara invita a prendere questo compito seriamente in un clima in cui le “scienze esatte” fungono sempre più da ideologia, confessata o meno. Là dove le scienze stesse e l’epistemologia hanno profondamente modificato, già lungo tutto il ’900, la propria auto-consapevolezza, il senso comune richiede di essere scosso; e qui si incontra uno dei temi centrali dell’interesse di Maturana: l’educazione. Si può spiegare nelle nostre scuole la biologia secondo le categorie di un Maturana (di un Bateson, di un Morin)? Si può portare la scienza della complessità al di fuori del dibattito specialistico senza banalizzarla? Il libro di Nucara si conclude con un invito in questa direzione: una sfida educativa alla quale buona parte del pensiero contemporaneo si volge, come testimonia la curata bibliografia, con sempre maggior attenzione.
Indice
Introduzione
I. L’autopoiesi come organizzazione del vivente
1. Il contesto scientifico-epistemologico
2. La macchina vivente
3. Organizzazione e struttura: tra invarianza e cambiamento
4. Dinamiche strutturali
5. Dal darwinismo all’evoluzione come deriva naturale
6. Sul filo del rasoio
II. L’autopoiesi come processo cognitivo
1. Dalla vera universalità alla fine delle certezze: la conoscenza come azione adeguata
2. Chiusura operativa e plasticità del sistema nervoso
3. La realtà tra percezione e illusione
4. L’oggettività tra parentesi
III. Dai sistemi osservati ai sistemi che osservano
1. Ogni cosa detta è detta da qualcuno: l’ontologia dell’osservatore
2. Il linguaggio come dominio d’esistenza umano
3. La mente come emergenza auto poietica: il senso dell’embodiment
4. Dall’epistemologia all’etica
5. Dall’etica all’ecoetica: verso una Scienza nuova
Bibliografia
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