Saonara, Il Prato, 2014, pp. 127, euro 12, ISBN 978-88-6336-237-4.
Cosa unisce mai due autori così apparentemente distanti, l’uno, Dostoevskij, scrittore dalla religiosità intensa, anche se non conformistica; l’altro, Nietzsche, filosofo autoproclamatosi anticristo? Apparentemente nulla, ma solo apparentemente. In una lettera a Peter Gast del 7 marzo 1987, quindi nel pieno della sua maturità intellettuale, Nietzsche confessa all’amico di considerare lo scrittore russo, dopo la lettura di alcune sue opere, coma una sorta di “fratello di sangue” (p. 12),
parole impegnative per uno come Nietzsche che le parole le usava sempre con certosina accortezza e appropriatezza. Il filosofo tedesco, quindi, aveva percepito l’esistenza di un’importante affinità con Dostoevskij. Partendo da questa indicazione, la giovane Maria Russo (1987) cerca di mostrare che tale affinità si gioca sul piano più strettamente filosofico, ci troveremmo cioè di fronte – come sostenuto da R. Mordacci nella Prefazione – a una vera e propria “alleanza filosofica” (p. 5) o, quantomeno, a una “intesa filosofica” (p. 7) tra i due autori, alleanza/intesa che si concretizza nell’avversione comune al positivismo e all’idealismo, ma anche, come vedremo, al nichilismo. Più nello specifico, il trait d’union tra “l’oltreuomo nietzscheano e il santo peccatore di Dostoevskij” (p. 7) sarebbe rappresentato dal tema della libertà, o meglio della dialettica della libertà che è, innanzitutto e per lo più, “potere d’azione, è volontà di potenza” (ivi). Insomma, Russo indaga nel suo saggio le rispettive, e per lo più convergenti, concezioni di libertà dei due autori, pensatori in superficie apparentemente distanti, ma in profondità dotati di un comune sentire, forse perché entrambi furono “cercatori d’abisso” (p. 9).
parole impegnative per uno come Nietzsche che le parole le usava sempre con certosina accortezza e appropriatezza. Il filosofo tedesco, quindi, aveva percepito l’esistenza di un’importante affinità con Dostoevskij. Partendo da questa indicazione, la giovane Maria Russo (1987) cerca di mostrare che tale affinità si gioca sul piano più strettamente filosofico, ci troveremmo cioè di fronte – come sostenuto da R. Mordacci nella Prefazione – a una vera e propria “alleanza filosofica” (p. 5) o, quantomeno, a una “intesa filosofica” (p. 7) tra i due autori, alleanza/intesa che si concretizza nell’avversione comune al positivismo e all’idealismo, ma anche, come vedremo, al nichilismo. Più nello specifico, il trait d’union tra “l’oltreuomo nietzscheano e il santo peccatore di Dostoevskij” (p. 7) sarebbe rappresentato dal tema della libertà, o meglio della dialettica della libertà che è, innanzitutto e per lo più, “potere d’azione, è volontà di potenza” (ivi). Insomma, Russo indaga nel suo saggio le rispettive, e per lo più convergenti, concezioni di libertà dei due autori, pensatori in superficie apparentemente distanti, ma in profondità dotati di un comune sentire, forse perché entrambi furono “cercatori d’abisso” (p. 9).
I due non si conobbero direttamente, ma è Nietzsche “a dichiarare di avere scoperto per caso «Memorie dal sottosuolo» durante una peregrinazione libraria del 1886” (p. 11), pertanto cinque anni dopo la morte dello scrittore russo. Il filosofo tedesco confida a Overbeck che in occasione di quell’incontro l’ “istinto dell’affinità” (ivi) si fece subito sentire e che la sua gioia fu straordinaria. Da qui a dire che Dostoevskij abbia potuto influenzare il pensiero di Nietzsche, la strada è lunga e forse anche inverosimile, ma ha certamente senso parlare, come fa la Russo, di una sorta di “consanguineità di sguardi” (p. 13). In entrambi gli autori gioca infatti una concezione della libertà intesa in modo “dialettico”, come “dinamismo inarrestabile, che vive di continue contraddizioni e destabilizzazioni” (ivi), della libertà intesa come “possibilità infinita di sfondamento della storia e della natura, [che] è personalissima scelta di divenire ciò che si è, potendo fino all’ultimo istante cadere nell’abisso o salire sulla vetta […], l’unico atto fondante che consente di sopportare la tragedia della vita e al contempo conferire autenticità al proprio esserci” (p. 19).
Maria Russo perviene alla formulazione di questa tesi attraverso tre passaggi: nel primo capitolo del saggio (‘Nietzsche e Dostoevskij dal sottosuolo’, pp. 29-54) ripercorrendo la critica che i due autori muovono contro le concezioni di libertà di matrice positivistica e idealistica; nel secondo capitolo (‘Il libero arbitrio de I Demoni’, pp. 55-84) evidenziando il punto di vista sulla concezione della libertà, intesa come semplice arbitrio infinito, che caratterizza il pensiero nichilista, avversato da entrambi; nel terzo capitolo (‘La libertà dell’oltreuomo’, pp. 87-116) mettendo in luce la pars costruens delle loro analisi nei confronti della libertà, espresse da Dostoevskij nel Cristo della Leggenda e da Nietzsche ne L’anticristo.
La critica comune dei due autori al positivismo si fonda “da un alto all’obbedienza incondizionata del volere umano a leggi di natura alle quali si possono ridurre le motivazioni dell’agire, e dall’altro alla convinzione che esista una razionalità unica e che un libero agire possa conformarsi solo alla scelta consapevole dell’utile e del vantaggioso” (p. 37). Come sappiamo Nietzsche propose una scienza libera e “gaia”, capace di abbandonare ogni pretesa egemonica in nome di quel prospettivismo (“non esistono fatti, ma solo interpretazioni”, p. 45) che rappresenta uno dei pilastri teoretici fondamentali del suo pensiero. Ebbene, “anche Dostoevskij s’incarica di confutare entrambi gli aspetti di questo determinismo che a suo vedere non rispetta la dignità dell’uomo fondata sul libero agire” (p. 40). Molto illuminante, a questo riguardo, la riflessione contenuta in Memorie dal sottosuolo e riportata da Maria Russo a p. 41 del saggio: “All’uomo, sempre e dovunque, […] è piaciuto agire come voleva lui, e per nulla affatto come invece gli comandavano la sua ragione e il suo proprio vantaggio; giacché si può volere anche ciò che va contro il proprio vantaggio […]. Il raziocinio, signori, è una gran bella cosa, [ma] soddisfa soltanto la capacità raziocinativa dell’uomo, mentre un atto di volontà è il manifestarsi della vita intera, cioè di un’intera vita umana, ivi compreso il raziocinio medesimo e tutti gli svariati pruriti”. D'altronde sia Nietzsche che Dostoevskij, entrambi “uomini del sottosuolo”, sanno perfettamente come “sia l’inconscio, con tutta la complessità dei suoi desideri più o meno coerenti, a costituire il retroscena dell’agire” (p. 42). Anche l’idealismo per entrambi gli autori, in particolare con la dialettica hegeliana, “lascia ben poco spazio alla libertà umana intesa come possibilità di scelta radicale e personale” (p. 44).
Ma d’altro canto, l’essenza della libertà può essere il libero arbitrio infinito, privo di limitazioni di sorta, anche morali, come sembrerebbe suggerire il pensiero nichilista? Entrambi i nostri autori rispondono negativamente a tale domanda retorica: “Il libero arbitrio inteso come potenza illimitata dell’agire, con la sottintesa tracotanza che bene e male siano solo dei pregiudizi per pusillanimi, viene dipinto in tutte le sue più fosche e spietate sfumature nel romanzo I demoni di Dostoevskij” (p. 55) e anche Nietzsche in fondo, al di là di ogni lettura superficiale, sostiene che “L’übermensch […] è proprio colui che non semplicemente annulla, ma che liberamente crea nuovi valori vitali” (pp. 55-56). La libertà intesa come pura negazione, libertà di dire (solo) no, arbitrio infinito, è una libertà incompleta che non realizza compiutamente l’uomo: “Tutti i personaggi drammatici dello Zarathustra e de I demoni sono uomini infelici, nichilisti, pessimisti, spiriti critici e negatori” (p. 58). Maria Russo ha convintamente dimostrato (ma per questo rimandiamo alla lettura diretta del saggio, sia per quanto riguarda l’analisi delle opere del filosofo tedesco, sia per quanto attiene i caratteri della personalità dei principali personaggi dello scrittore russo) che “la libertà cui pensano tanto Dostoevskij quanto Nietzsche non è un puro negativo, al contrario: è positiva forza creatrice e per questo ha per legge il principio di ogni costruzione possibile. Il fatto che la vita non sia soltanto logica non esclude, per i nostri autori, che la negazione della vita non sia illogica e soprattutto insostenibile praticamente” (p. 61).
Nella terza e ultima parte del saggio, la Russo affronta invece la concezione positiva della libertà in Nietzsche e in Dostoevskij. Per raggiungere questo obiettivo, vengono messe “a confronto le due figure del Cristo proposte da Nietzsche e da Dostoevskij come emblema di un risvolto positivo della dialettica della libertà” (p. 90). In particolare, l’autrice cerca di dimostrare, a mio parere riuscendovi, come il filosofo tedesco, pervenuto alla maturità del suo pensiero, abbia distinto nettamente “il cristianesimo come fenomeno religioso (il cui fondatore è Paolo di Tarso) e Cristo come uomo (o, forse, oltreuomo)” (ivi). Addirittura, Maria Russo suggerisce un parallelo “ardito: quello del Cristo tratteggiato da Ivan nel suo poema e quello rievocato nell’Anticristo” (p. 102). Se da un lato l’Inquisitore di Dostoesvskij, come il Paolo di Tarso di Nietzsche, “manipola il Vangelo al punto da perpetrare in suo nome il suo esatto opposto” (p. 103), se entrambi sono – per i rispettivi autori – “contraffattori del divino”, è pur vero che Cristo appartiene, per entrambi, a un tipo d’uomo completamente diverso, profondamente innocente e trasparente, onesto. “Né Nietzsche né Dostoevskij condividono l’immagine di un Gesù atto a predicare, ma piuttosto di un uomo che, nella sua quasi folle inattualità, agisce in modo profondamente diverso […]. Egli indica liberamente i modi del volere, è una volontà di potenza che crea le proprie tavole di valori e che afferma con la propria morte la libertà e la superiorità su ogni istinto di vendetta” (p. 106). Sorprendentemente intrise di religiosità, di rispetto per la figura di Cristo, le seguenti parole di Nietzsche tratte da L’anticristo, riportate dall’autrice a pag. 108 del suo saggio: “Il regno di Dio non è qualcosa che si attende: non ha un ieri e un dopodomani, non giunge tra mille anni – è l’esperienza di un cuore: esiste ovunque e in nessun luogo”. Così, tanto il filosofo tedesco quanto lo scrittore russo, conclude la Russo, hanno proposto “una nuova logica e una dialettica della vita viva” (p. 120), hanno proposto “la via difficile da realizzarsi nella dialettica della libertà” (p. 122) che esige per potersi affermare, sempre e comunque, la capacità di compiere scelte autentiche, senza compromessi, senza il timore di perdere qualcosa, fosse anche la vita.
Indice
Prefazione di Roberto Mordacci
Nietzsche e Dostoevskij: l’istinto dell’affinità
1. Nietzsche e Dostoevskij dal sottosuolo
1. L’uomo delle memorie e il ressentiment
2. Critica al determinismo positivista
3. Critica all’idealismo e alla cattiva coscienza dell’anima bella
2. Il libero arbitrio de I Demoni
1. L’esperimento di Stavrogin: il libero arbitrio come indifferenza
2. Ambivalenza del nichilismo e del libero volere in Nietzsche
3. Al di là del bene e del male? Il fallimento di Raskòl’nikov
3. La libertà dell’oltreuomo
1. Nietzsche e Ivan Karamazov contro la dialettica
2. La libertà nel Cristo della Leggenda e ne L’anticristo
3. Vetta e abisso, l’anima larga: dire-di-sì
La dialettica viva dell’anima larga: per una non contraddizione del volere
Bibliografia
2 commenti:
Segnalo all'estensore della recensione che la pars è "construens" e non "costruens".
Ops, sarà stato il correttore automatico :-)
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