A dispetto del titolo, gli autori
non intendono limitarsi a un omaggio sentimentale ai pensatori della Scuola di
Francoforte; queste “nostalgie” sono piuttosto legate “all’idea che i
contributi della teoria critica possano ancora avere qualcosa da dire, anche concretamente”
(p. 9). Più che arricchire il dibattito di nuovi spunti, il testo ripercorre
alcuni momenti già noti della teoria critica, che “come la filosofia, […] si
oppone all’acquiescenza alla realtà, al positivismo soddisfatto; ma, a
differenza della filosofia, trae i suoi obiettivi soltanto dalle
tendenze presenti del processo sociale” (p. 13). Si intende per questa via prendere le distanze da ogni deriva postmodernista.
tendenze presenti del processo sociale” (p. 13). Si intende per questa via prendere le distanze da ogni deriva postmodernista.
Max Horkheimer viene descritto come
il pensatore che ha conosciuto meno “impatto mediatico” rispetto agli altri
francofortesi. Caratteristico della sua sociologia è di essere “anche,
necessariamente, una filosofia sociale, perché racchiude sempre in sé la
riflessione critica sui fenomeni che studia” (p. 16). Del resto, lo stesso
approccio interdisciplinare che ha caratterizzato sin dall’inizio l’Istituto di
Francoforte, di cui Horkheimer è stato primo direttore, risponde all’obiettivo
fondamentale di “rendere […] il sistema meno arbitrario e ingiusto nei
confronti degli individui e, quindi, meno bisognoso di trasfigurazione” (p.
17). Giacomantonio ripropone alcuni tratti della critica della razionalità
occidentale dell’autore di Eclissi della
ragione: la denuncia della soggettivizzazione e formalizzazione della
ragione in seno all’organizzazione sociale, ratificata dalle visioni
pragmatistiche e positivistiche, si lega in prima istanza alla questione dei
fini, data l’importanza di non occultare la realtà del dominio con visioni che
risultano, a conti fatti, ideologiche, quando pretendono di collocarsi in un
altrove astratto rispetto ai conflitti sociali esistenti. Senonché, quel che
distingue Horkheimer dallo Husserl della Crisi
delle scienze europee nella diagnosi critica del ruolo della scienza, è appunto – fra l’altro – la
preoccupazione per il destino sociale e l’interesse emancipativo. Ciò non ha
tuttavia impedito una deriva conservatrice e “addirittura in qualche misura
teologica” (p. 23) nell’ultimo Horkheimer, benché l’autore
tenda a mettere maggiormente in
discussione le caratterizzazioni di Horkheimer in termini reazionari; di
contro invita ad apprezzare l’attitudine del filosofo a rifuggire da
“interpretazioni monolitiche e eccessivamente cristallizzate” (p. 24) della
realtà sociale.
La lezione di Horkheimer, rileva
Giacomantonio, resta complessivamente priva di eredi diretti: “nel panorama
delle scienze sociali, non pare particolarmente diffusa o, comunque, favorita,
dal punto di vista istituzionale e accademico, la singolare capacità di
Horkheimer di saldare la riflessione filosofica alla scienza sociologica” (p.
26). Se nell’ambito francofortese l’accostamento con Habermas si limita a una
serie di deboli parallelismi biografici - non senza rilevare un rapporto di
“assimilazione critica” dal punto di vista teorico -, nel panorama filosofico
occidentale l’autore accenna a una vicinanza indiretta a Foucault, Zizek e
Bauman, rispetto ai quali tuttavia le distanze restano da
molteplici punti di vista notevoli.
Quanto al collaboratore e amico di
Horkheimer, Theodor Adorno, D’Alessandro vi dedica un profilo mirato nel
secondo capitolo. A un ritratto biografico, che a un tratto indugia persino nel
privato personale del filosofo, si intreccia una discussione sul nesso tra
riflessione estetica e critica sociale, che nel pensiero di Adorno si fondono
alla luce del “rapporto dialettico dell’opera con il tempo” (p. 41): esso
richiede che si vada tanto “al di là de l’art
pour l’art, quanto de l’art engagé”
(p. 40). Tale carattere dialettico fa sì che l’arte sia “profondamente
aporetica, giacché mentre è parte del mondo è anche ‘altro’ dal mondo” (p. 35)
e condivida “con la filosofia tanto la resistenza di fronte all’inautentico,
quanto l’istinto di salvare il non identico” (ibd.). Il resoconto sull’intensa
riflessione estetica di Adorno non preclude a un accenno critico, avanzato
sulla scorta di Martin Jay, là dove se ne rilevano gli aspetti più
“etnocentrici”, che hanno impedito al francofortese di cogliere la specificità
di linguaggi musicali come il jazz o, in generale, di altre forme artistiche
non europee. Più ampio è il focus
dedicato a Marcuse, definito da D’Alessandro come il più “popolare” tra i
francofortesi, con i quali condivide diverse caratteristiche, notoriamente
“l’essere tedeschi, di famiglia altoborghese, ebrei, marxisti critici, alcuni
anche simpatizzanti della sinistra rivoluzionaria degli anni Dieci/primi anni
Venti, studiosi multidisciplinari e principalmente di filosofia e sociologia,
letteratura e psicologia” (p. 55). Fuor di biografia, a livello teorico, se il
riferimento a Marx è un punto di partenza comune, quel che fra l’altro
distingue Marcuse dagli altri pensatori di Francoforte è l’ammirazione per
Heidegger, che lo porta alla “rilettura della diarchia Hegel-Marx alla luce del
magistero heideggeriano” (p. 59); un debito teorico rispetto al quale tanto
Adorno quanto Horkheimer sono - giova ricordare, in quanto spesso ad esso
assimilati - decisamente estranei. In un secondo momento il quadro teorico
marcusiano si arricchisce, com’è noto, con lo studio critico di Freud, sullo
sfondo di un’attenzione costante per il concetto di utopia e di una filosofia
valorizzata nella dimensione del “possibile”.
Il breve volume si conclude con un focus dedicato a Habermas, che
Giacomantonio caratterizza in termini di “illuminismo politologico”. Di
Habermas si ripercorre la teoria dell’agire comunicativo ma anche le prime
riflessioni, risalenti agli anni Sessanta e Settanta, sull’epistemologia nelle
sue implicazioni politico-sociali e sulla sociologia nell’ambito del
tardo-capitalismo; per proseguire negli anni Novanta, in cui la riflessione si
svolge intorno ai concetti di “democrazia, Stato e multiculturalismo” nella
direzione di una concezione deliberativa della politica. Giacomantonio
preferisce infine mettere in luce i meriti della teoria, spesso - non senza
ragione - accusata di “eccesso di idealismo” e criticata per “la sua
interpretazione ‘pacificatoria’ del progetto della modernità” (p. 94). Tra gli
aspetti positivi, l’autore rintraccia generalmente il rifiuto di “chiusure e
estremismi” ideologici (p. 95) e il carattere dialettico della riflessione;
tanto più che secondo Giacomantonio il pensiero di Habermas costituirebbe “uno
degli ultimi esempi di Grande teoria […] che pensa ancora l’umanità nella sua
pienezza, pur con tutte le questioni e difficoltà che ciò comporta” (p. 95).
Avrebbe probabilmente giovato arricchire la rassegna con il contributo
dell’ultimo francofortese, Axel Honneth, non solo perché ha molto riflettuto
sui limiti del formalismo di Habermas, ma anche perché rappresenta una
prosecuzione originale delle istanze francofortesi come esponente di terza
generazione della Scuola.
Dato il carattere divulgativo e la
semplicità del linguaggio, nonché la predilezione per lo spirito generale delle
teorie, affrontate per nuclei tematici senza sostare in argomentazioni
dettagliate, ci sembra che il testo possa essere utilizzato per lo più per un
primo avvicinamento al pensiero della Scuola di Francoforte.
Indice
Nota degli autori
Introduzione
Max Horkheimer: ragioni della
sociologia e sociologia della Ragione
Theodor Adorno: politica, estetica e
impegno
Herbert Marcuse: società, utopia e
dinamiche di liberazione
Jürgen Habermas: verso un
Illuminismo politologico
Bibliografia
7 commenti:
Non ideologizzazione, antipositivisticamente, antipragmatisticamente, espongono la intellettualità a primitivismo antiideologico e lasciano possibilità di scientismo positivista (non positivistico) e occasione di antipragmatismo (non antipragmatisti-ca-mente) in mancanza di un fondamento filosofico che faccia da guida;
e quanto accaduto con scuola di Francoforte si spiega in parte con esternità non marxiana di fondamento filosofico in altra parte con internità marxista antioccidentale e non filosofica.
A Francoforte si pensò che ciò poteva costituire una frontiera culturale: da una parte il valore della filosofia occidentale, dall'altra la forza della critica non occidentale. Si pensava così perché non si poteva riporre completa fiducia in sistemi culturali occidentali di difesa, tal diffidenza essendo anti-marxiana ed a fronte di un marxismo che in parte affrontava inconsapevolmente coincidenze negative con successo quindi fortuito e che non tutto intero si era già ipostatizzato in movimento caratterizzato. A sua volta però la scuola dalla intellettualità francofortese era ritenuta parimenti ingenuamente inconsapevole della fatale parzialità-provvisorietà delle condizioni del fronte culturale esterno; quindi alla scuola era stato dato obbligo di momentanea moderazione tra due parti in conflitto, per un verso giudicato da intellettuali francofortesi da restare periferico, per altro verso da stessi francofortesi stimato necessario per evitare che la multiculturalità propria di vasta civiltà culturale tedesca restasse senza futuri. Quando la scuola fu ostracizzata dai francofortesi a causa di irrigidirsi ormai di intolleranza marxista, a Francoforte non era più potere tanto stabilito di Comune perché la città era invasa da soli residenti e possessori di cittadinanza tedesca in dissidio coi veri abitanti e ciò accadeva dopo che presenti forestieri e stranieri in città impedendo normali attività e tanti incontri realmente locali.
Al riuscito ostracismo cittadino, da "Scuola di Francoforte" si reagì conformemente specificando di non costituire proprio nome indicazione significante solo sensata ma nel frattempo abitanti di Francoforte comunicarono di non trovare più un senso per loro medesimi destini culturali al nome; e la vicenda continuò così fino a scioglimento di fatto della scuola allorché a parte di essa che voleva un altrove ed una continuazione i francofortesi reagirono mostrando...: originalità e differenza e specificità della invadenza subita dalla città!, e soltanto così furono certi di evitare invasione di esercito sovietico, non sempre regolare ((quello regolare restò gestione russa terminata con rifiuto a procedere invasione contro luoghi occidentali specialmente europei nonostante superiorità tattica e strategica netta di medesimo esercito, cui non era autentica appartenenza arsenale atomico, questo gestito non regolarmente perché in realtà anche leggi sovietiche ne vietavano quanto americane)).
Così la zona di Francoforte non avendo subito medesimo destino di zona di Praga durante momenti più drammatici della Guerra Fredda, della vera omonima scuola non accadde altra continuazione anche perché sarebbe stata ad estranei completamente possibile dopo e senza caduta del Muro di Berlino.
(...)
MAURO PASTORE
Horkheimer fu rappresentante di inizio accettabile di scuola ma suoi impliciti avvaloramenti poi non disconoscimenti di pragmatiche intellettuali ed anche filosofiche restarono poi subissati quindi sostituiti dai contesti culturali imposti dal Blocco sovietico preda dello stalinismo.
(...)
MAURO PASTORE
La scuola restava tale in virtù di principio divenutone base ed opera di Adorno, che ne aveva congegnato quale metodo trasformabile in teoria, cosa poi accaduta, ma di fatto dopo che analoga metodica era già internazionalmente diffusa in Movimento Operaio; analogalmente — ma non distruttivamente — ad eversione antimarxista, internamente a marxismo segretamente condotta da Lenin (che mai era stato davvero marxista e che se ne era insinuato per delazione, denuncia, inibizione a favore di Stato zarista non dello Zar), che estrometteva lo Schema Marxista da realtà politica-sindacale in ascesa nelle istituzioni russe (con beneplacito dello zar Nicola II ed allontanamenti comunicati a Lenin stesso per motivi di sicurezza di medesimo allontanato): Adorno era sin da suoi esordi filosofici politici antischematico nei confronti dei movimenti proletari, che da suo metodo (antischematico) trassero una metodica non inquadrata negli schemi a scopo di difesa di diritti dei lavoratori.
Dunque di fatto Adorno era stato leninista, non marxista, e si lasciava appellare "marxista" in stesso senso occulto o segreto eversivo ed anti-marxista di alcun leninismo militante in condizioni di oppressione anticomunicativa oppure egli era nominato tale per sopraffazione anticulturale stalinista.
(...)
MAURO PASTORE
Marcuse, in periodi di massima auge della scuola prima dei reiterati bandi emessi contro di essa da Blocco Est (comunista), aveva proceduto ad uno studio delle situazioni di fatto della cultura capitalista occidentale nonché psicologica oltre che sociale.
Ciò per l'estremismo di sinistra era una circostanza da usarsi per distrugger tutti i sistemi economici-psicologici occidentali, ma si trattava di psicologie commiste a psicologismi neurologici in particolare freudiani-ortodossi cioè che non riferivano interdisciplinarità di Freud ad altra necessaria degli studiosi che ne avevano ispirato mandato, fatto da altri continuare con opera di altri, per contrastare scelta postuma ostile di S. Freud stesso. In questo la cosiddetta scuola di Francoforte non svolgeva moderazione ma comunque non contribuiva realmente a violenza culturale antioccidentale antipsicologica, d'altronde restando in tal periodo in avversione, contro sistemi di vita occidentali non solo americani, avversione che interventi stalinisti rendevano attiva ad insaputa di appartenenti a scuola stessa. Questa forzata valenza attiva tragicamente fu resa concausa di peggioramenti delle violenze antistatali della malasanità e di quanti ne davano àditi, sì che in Italia si reagì con specifica disposizione di legge anti-manicomianale, a favore di psichiatria non a favore di medicalizzazione (provvedimento detto spesso, anche citando cognome di suo realizzatore pratico: “legge-Basaglia“), che appunto doveva e deve impedire costrizioni del manicomio. Parte politica del comunismo filostalinista ne profittò per finger che prima di tal Disposizione le costrizioni del manicomio fosser permesse ma appunto non era vero — e non era cosiddetta "scuola di Francoforte" neppure protagonista reale della maldicenza.
Quanto ad indicazione di magistero heideggeriano da parte di Marcuse, si trattò di inazione per evitare il peggio alle intromissioni staliniste.
(...)
MAURO PASTORE
Habermas lavorava nella scuola in considerazione, ardua ma motivata, che la impostura dei contesti alterati, dopo anche fuori scuola, sarebbe caduta per determinante opposizione antiscolastica interna a Blocco sovietico, allorché codesto sottoposto ad istanze primitivistiche-primitive meridionaliste-meridionali, influenti pure in Blocco capitalista ed americano ma questo già altramente sottopostone quindi da Est indeterminanti: Habermas ragionava in termini di opportunità politica che egli non controllava anche perché nei suoi anni la scuola era stata anche di fatto estromessa per iniziative staliniste, per evitare che il profittarne potesse esaurirsi in evoluzioni di scuola; opportunismo (di Habermas) non diverso da occasionalità politica, politica-filosofica, introdotta dal presidente sovietico Krusciov, di fatto propositore-autore di una tregua Est-Ovest che fu anche restituzione tecnologica — tanto che altre norme di fatto contro abusi di sistemi atomici dei due Blocchi ideologici contrapposti impedivano proliferarsi confuso di vera ulteriore minacciosità.
Habermas evitò censura stalinista, dominante più o meno occultamente sia Regime sovietico sia Sistema di tal Regime anche ad esterno volto, egli analizzando anacronismo sociale del positivismo sociologico, un fuori-tempo accaduto nonostante tal positivismo fosse gestito da "Stalin" e suoi complici mediante creazioni sociali fittizie filomarxiste-marxiste, cioè nonostante tutto non accadendogli imposizione di censura perché i guerrafondai irresponsabili ed ignoranti in America poi specialmente in Zone di Unione Sovietica avevano suscitato, con proprie pretese antiecologiche, planetario terrore, non privo di motivazioni, fino a pregiudicare successo sociale di stesse finzioni. In Unione Sovietica non vigendo più un potere diffuso ugualmente, perché bolscevismo (chi pensava Lenin non veramente morto, Ne supponeva sua direzione imperialista-antiomologatrice) frattanto aveva impedito contatti pieni istituzionali per contrastare invasione stalinista in Servizi Segreti, Habermas notava la non completa unitarietà sovietica analizzandone gli schieramenti sociali, profittandone per offrire proprie direttive filosofiche sociali liberali, fino a quando, in forza di decentralizzazione adottata da presidenza di Breznev in Unione Sovietica stessa, era possibile definire direttive non univocamente determinate; ma ormai restava di fatto estromessa la scuola da influire in realtà comunista ed era tollerata da imperialisti sovietici quale punto debole di presenza politica filosofica sociale per Blocco Ovest (capitalista).
La Teoria dell'agire comunicativo è (ed era) scientifica,innanzitutto; stalinismo non ne aveva impedito perché le condizioni della Guerra Fredda cui oggetto di studio scientifico sociologico era anche appartenente erano in relative circostanze di "blocco totale" e i crimini stalinisti ne reputavano esito finale; in tali pause, tra i successi criminali dei seguaci di "Stalin", era stata possibile tal definizione scientifica:
delle massime esigenze comunicative socialmente necessarie ad umanità sociale.
Per Habermas, anche lui scientifico definitore, fu pure un modo di eludere le censure antiintellettuali di sovietismo — imposte anche in molti ambienti culturali e politici occidentali — difatti tal oggetto di studio mostrava qualcosa che guerrafondai ed imperialisti volevano far scordare, soprattutto da Est contro Ovest: una emergenza umanitaria con bisogno di messaggi a scopo direttamente vitale.
(...)
MAURO PASTORE
Dopo la svolta 'del senso liberare', un ulteriore ruolo di tal scuola non ve ne fu, infatti A. Honneth è da considerarsene epigono ed un "terzo periodo" propriamente detto non ve ne fu;
altro, volgarmente detto terzo, periodo, essendo costituito da studi sul pensiero della scuola non con medesimo pensiero di scuola.
Fuorviante dunque il revanscismo marxista a riguardo, anche seducente ed occultamente tracotante; vanamente però, perché nostalgia di detta scuola è costituita da causa di mediazione sociale e da pensiero degli èsiti entro accettazione volontaria della fine del Sistema Totalitario del sovietismo.
Senso filosofico nostalgico ne sta in utilmente oppure felicemente rimembrare, ricordare le fatiche e gli sforzi e le intelligenze date per uno scopo vitale limitato con successo dipendente più da fuori scuola che da entro, cui studi stessi non sono possibili oggetti di nostalgie autenticamente filosofiche... Rimembrare, perché quanto di vitale vi fu era dipendente anche da soli cenni, tra polizie segrete corrotte e abusi di falsi agenti anche fuori Blocco Est, in Germania oltremodo violenti, crudeli, distratti, irresonsabili, incontrollati, aguzzini quasi impensabili, fuori Blocco funesti perché imprevisti o più imprevisti... Per questo accadeva a chi aveva lavorato per tal scuola o con essa od in essa di trovarne memoria ripetendo un cenno, anche solo davanti a una parete; e coloro che non giovani o giovani o giovanissimi avevano offerto, per volontariato e scopo umanitario, a tali lavori, attenzioni con semplice e solo fine vitale, ugualmente ne hanno potuto aver memoria per i gesti che si dovevano fare, ad esempio per esser certi di restar liberi da veleni o tiri di armi, accadimenti giustificati poi da menzogneri sgherri quali "strani incidenti“. Durante caduta del Muro di Berlino accadevano ancora queste violenze ed anche poi dopo la caduta ne accaddero e non solo a Berlino.
Quindi bisogna circoscrivere menzioni di nostalgie filosofiche entro soli termini filosofici realmente possibili.
MAURO PASTORE
In mio penultimo messaggio manca uno spazio dopo virgola:
'scientifica,innanzitutto' sta per:
scientifica, innanzitutto .
MAURO PASTORE
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