Milano, Bruno Mondadori, 2012, pp. 169, euro
16, ISBN 978-88-6159-658-0
Talking
about music is like dancing about architecture: non
può che essere questa celebre sentenza di Frank Zappa, risalente a
un’intervista del 1985, ad aprire il testo di Alessandro Bertinetto dedicato al
rapporto tra filosofia e musica. Se forse il grande genio della sperimentazione
rock anni ’60-’70 esagera nel ritener superflua ogni discussione sulla musica,
è indubbio il carattere fortemente problematico insito in ogni indagine volta a
spiegare – secondo
schemi razionali – il significato intrinseco di una forma d’arte che, più di
ogni altra, è stata protagonista – nel corso del XX secolo –
di evoluzioni e cambiamenti, i quali hanno reso opaco il confine tra ciò che rientra nel territorio musicale e ciò che, invece, va lasciato fuori.
di evoluzioni e cambiamenti, i quali hanno reso opaco il confine tra ciò che rientra nel territorio musicale e ciò che, invece, va lasciato fuori.
Contaminazione è la
parola d’ordine di un universo sonoro profondamente composito, in cui le
molteplici vie, intraprese tanto dalle espressioni popolari quanto da quelle
della musica colta, tendono a destrutturarne i contorni e ad ampliare le
prospettive sia della composizione sia della fruizione. Basti pensare alla
popolarità ottenuta da forme musicali che pongono in primo piano il rumore tout court (per esempio, il noise o la glitch music) o che privilegiano il carattere impetuoso del caos e
della violenza acustica (le espressioni più estreme dell’heavy metal, l’ambient
metropolitano o, ancora, l’elettronica post-industriale). Avendo coniugato per
diversi anni lo studio filosofico con il giornalismo musicale relativo a generi
considerati poco convenzionali, mi sono avvicinato al testo di Bertinetto con
curiosità e precauzione, tenuto conto delle notevoli difficoltà, nonostante i
numerosi studi a riguardo, che seguono il tentativo di delucidare razionalmente
i meccanismi artistici a fondamento della composizione della musica e della sua
fruizione.
E, infatti, il presente libro manifesta
un’indubbia complessità strutturale a cui, però, si contrappone una limpidezza
teorica e linguistica che fa onore all’autore. Innanzitutto, il pensiero dei suoni: il titolo non
rimanda semplicemente all’idea che la musica debba essere intesa in termini
filosofici, poiché in grado di creare visioni del mondo alternative a quelle
normalmente esperite o di esprimere concetti. Piuttosto, al fatto che essa
debba essere oggetto di riflessione
filosofica. Piaccia o no allo spirito di Zappa, aleggiante eccentrico
nell’aria, la musica – secondo l’autore – impegna la filosofia in uno sforzo
interpretativo in grado di sviscerarne le molteplici questioni che la
contraddistinguono, stabilendo un connubio di cui non si può fare meno. Per
affrontare tale compito, Bertinetto mette subito in chiaro che il suo obiettivo
non è di natura prettamente storica, ma di natura teoretica ed estetica. Le
evoluzioni del pensiero filosofico relativo alla concezione della musica
occupano, infatti, poche pagine del testo, lasciando il palcoscenico alla
teoresi. Il metodo espositivo adottato dall’autore consiste nell’integrazione
di due strategie differenti: da una parte abbiamo il serrato confronto tra
posizioni teoriche radicalmente contrapposte in merito a un determinato tema musicale,
dalla cui puntuale contestualizzazione sia possibile trarre una specifica base
filosofica; a partire da questa Bertinetto elabora un
proprio personale punto di vista, a tratti sintetico rispetto alle posizioni
confrontate e a tratti, invece, aporetico là dove le questioni risultano più
complesse del dovuto. Dall’altra parte abbiamo la rielaborazione del metodo
socratico all’interno di un contesto non dialogico, per cui l’autore definisce,
per esempio, che cos’è la musica, sonda la validità di tale definizione
estrapolandone tutti gli aspetti controversi in rapporto all’esperienza diretta
della fruizione, quindi la supera in una nuova definizione, maggiormente
ragionevole, con un minor numero di contraddizioni interne e aderente alla
situazione culturale entro cui è inserito il fenomeno musicale contemporaneo.
Tale metodologia argomentativa viene
applicata: al già menzionato tentativo di definire cosa sia “musica”, cercando
di fissare un confine tra ciò che va incluso e ciò che va escluso dal contenitore
musicale quale esperienza di per sé artistica; al rapporto estetico tra la
composizione e la fruizione, con il ruolo dell’improvvisazione a complicare la
linearità del ragionamento; al problema del contenuto musicale e al significato
che assumono le emozioni nell’ascoltatore e, infine, all’interazione tra la
musica e etica. Ogni tematica ha, a suo fondamento, due riferimenti teorici
imprescindibili. Il primo, di natura prevalentemente storica, riguarda il
passaggio della musica da una concezione platonico-pitagorica che l’accosta al
pensiero e alla matematica, mettendo in secondo piano la dimensione acustica, a
una moderna che la include nel novero delle cosiddette “belle arti”, esaltando
soprattutto la creatività e l’immaginazione. Il secondo, invece, di natura più
speculativa, concerne i due paradigmi filosofici da sempre dominanti, mediante
cui viene interpretata la musica: quello romantico,
in cui «il valore estetico del suono e dei rapporti strutturali tra le forme
sonore risiede nella capacità di travalicare il segno acustico per alludere a
ciò che va oltre i significati esprimibili dalle parole e dalle
rappresentazioni» (p. 10), e quello formalista,
sostenuto – per esempio – da Peter Kivy, per cui la musica è esclusivamente
arte decorativa, imponendo «la chiusura autoreferenziale della musica
strumentale, priva di riferimenti al mondo e al soggetto, come realizzazione
dell’autentico ideale estetico» (p. 11). In altre parole, i formalisti
ritengono che la musica non abbia a che fare con la narrazione, la descrizione
e la raffigurazione, ma vada considerata come un’arte priva di contenuto o di
significato (p. 49). Ora, nel corso del Novecento, tali posizioni contrapposte
si ritrovano ad affrontare problemi inediti. Come già sottolineato
inizialmente, la contemporaneità è testimone dell’ingresso prepotente del
rumore, nonché di qualsiasi altro suono di origine non intenzionale,
all’interno della musica, mettendo in crisi il cristallino principio di
distinzione tra la musica e gli altri tipi di suono ambientali o i rumori.
Bertinetto, pertanto, alla luce di tali cambiamenti, cerca di fissare la
definizione e il carattere significante della musica, muovendosi con prudenza
tra l’idea di non assumere un atteggiamento eccessivamente conservatore, tale
da escludere radicalmente dall’alveo musicale il rumore e i suoni ambientali, e
l’idea che si debba comunque trovare un discrimine in base al quale sia
possibile considerare un determinato suono come musicale. Si tratta, cioè, di
trovare un parametro secondo cui si possa distinguere ciò che è musica da ciò
che non lo è: tale parametro è dato dalla presenza o dall’assenza
dell’intenzionalità volta a realizzare un’esperienza artistica ed estetica.
Dalla consapevolezza di tale intenzionalità risulta chiaro che la musica non è
l’unica arte dei suoni. Esemplificativo, a riguardo, è il caso dei “4'33"” di John Cage,
una composizione del 1952 in tre movimenti, il cui inizio e la cui fine sono
indicati dal pianista alzando e abbassando il coperchio del pianoforte. Un
cronometro segna la durata di ogni movimento, durante cui l’esecutore non deve
suonare alcuna nota, raggiungendo complessivamente i quattro minuti e trentatré
secondi menzionati nel titolo della performance. In questo lasso temporale il
pubblico ascolta rumori e suoni ambientali non intenzionali, come un colpo di
tosse, clacson, ronzii svariati, ecc. (pp. 37 ss). Bertinetto interpreta
l’esperimento di Cage come art
performance e non come musica. Il performer,
infatti, non ha alcuna connessione causale con i suoni ambientali fruiti dagli
spettatori.
«Organizzazione temporale di suoni […]
che ha il proposito di arricchire o intensificare l’esperienza impegnandoci in
un’attività (l’ascolto, la danza o l’esecuzione di un’azione) e in cui i suoni
sono considerati primariamente, o in misura rilevante, come suoni» (J.
Levinson, Music, Art and Metaphysics,
Cornell University Press, Ithaca and London 1990, p. 272; cit. da A.
Bertinetto, p. 31). La definizione data alla musica da Levinson permette,
accanto alla problematica relativa alla distinzione tra un’arte dei suoni
musicale e una non musicale, lo svolgimento di un altro tema cruciale della
presente monografia: la questione del ruolo delle emozioni e dei sentimenti
nell’esperienza acustica e la riflessione sui meccanismi mentali che
caratterizzano la fruizione della musica da parte dell’ascoltatore. Ponendosi
sul sentiero speculativo di Levinson e attraverso l’analisi di molteplici
posizioni teoriche, sia interne al dibattito estetologico angloamericano, sia
proprie della cultura continentale (dal modello percettivo-cognitivista a
quello dell’espressivismo, passando attraverso l’ermeneutica estetica di
matrice pareysoniana), Bertinetto stabilisce una relazione tra le emozioni
ordinarie e quelle musicali, attraverso il rimando all’immaginazione,
fortemente protagonista nella fruizione delle composizioni sonore o delle
canzoni, la cui attività è costantemente sottoposta alle varianti che
l’improvvisazione e le nuove forme di popular
music offrono all’universo musicale.
Senza dar vita a una meticolosa analisi
di ogni passaggio argomentativo del testo, analisi che di fatto risulta fuori
luogo per la mole di teorie confrontate e di problematizzazioni teoretiche
incluse in questo libro, possiamo evidenziare come Il pensiero dei suoni sia un lavoro particolarmente prezioso per
introdursi nelle questioni che attualmente contraddistinguono lo studio
filosofico della musica. L’agilità con cui Bertinetto si muove tra un tema e
l’altro, favorita da una forma linguistica chiara e accessibile anche ai non
specialisti, permette la ricostruzione di un quadro teorico cristallino, che
può rappresentare un importante punto di partenza per altri studi similari nel
settore. Con buona pace dello scetticismo di Frank Zappa.
Indice
Preludio
Che cos’è la musica?
Forma insignificante? Il problema del
riferimento e del contenuto musicale
Una scienza emozionale?
Coda
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