Roma, Carocci, 2014, pp. 368, euro 24, ISBN 978-8843072873
L'introduzione generale al pensiero Aristotelico è ormai divenuta un genere letterario, data l'abbondanza di volumi disponibili e l'autorevolezza degli studiosi che si cimentano in tale impresa. E di impresa si può giustamente parlare se si tiene presente la portata dell'autore in questione e la necessità, qualora si tenti di restituire l'intera produzione di Aristotele, di tenere presente le acquisizioni di una letteratura secondaria in perenne crescita e ingovernabile. Il prototipo di questa letteratura introduttiva su Aristotele nasce con il Ross del lontano
1923, volume fortunatissimo che gode di ristampe ancora oggi e che in certo senso rappresenta il modello del presente volume di Carlo Natali, proposto da Carocci.
1923, volume fortunatissimo che gode di ristampe ancora oggi e che in certo senso rappresenta il modello del presente volume di Carlo Natali, proposto da Carocci.
Per rispettare gli stilemi di tale genere si è soliti aprire il volume con una perorazione della sua causa, innanzitutto riguardo al “bisogno” di nutrire ancor di più il succitato genere: perché si scrive un'introduzione – l'ennesima – al pensiero aristotelico? Il motivo è presto detto: benché si tratti forse dell'autore di più ampia diffusione dell'intera storia della filosofia, il più recepito, il più commentato, proprio per questo occorre divulgare alcune acquisizioni che certa storiografia ci ha assicurato. Non sarebbe esagerato affermare che il primo compito dell'interprete di Aristotele è di distinguere tra ciò che può essere ragionevolmente pensato come proprio di Aristotele e ciò che va pensato come aristotelismo o meglio come aristotelismi, quindi tra ciò che possiamo ascrivere ad Aristotele stesso e ciò che possiamo pensare come derivante o dalla tradizione aristotelica oppure da concetti di ispirazione aristotelica. E questo ancor di più perché parlare di Aristotelismo/i è quasi parlare di filosofia tout court se consideriamo a quante diverse esperienze filosofiche possiamo applicare questo termine: è aristotelico Martin Heidegger, la filosofia cristiana di un Tommaso D'Aquino, Hegel, John McDowell, come la filosofia del linguaggio ordinario del dopoguerra, l'etica della virtù contemporanea, la razionalità non scientifica à la Gadamer e la Rehabilitierung tedesca degli anni '80. Una tale proliferazione incontrollata si può vedere anche in altre esperienze filosofiche (Platonismo, Marxismo, Tomismo) ma è probabile che il primato anche in questo caso spetti ad Aristotele.
Cerchiamo di dare un'idea di ciò che si troverà davanti il potenziale lettore del volume. Si tratta innanzitutto di un'utile introduzione ai principali momenti del pensiero Aristotelico che tuttavia non tenta di ridursi a un numero eccessivamente esiguo di pagine. Per uniformità di collana troviamo macrodivisioni in biografia e opere dell'autore, seguite da una discussione che segue la tradizionale divisione del corpus di Andronico di Rodi, quindi logica, filosofia della natura, filosofia prima o metafisica, filosofia pratica, arte della parola, il tutto seguito da conclusioni e indici. Ci preme menzionare innanzitutto l'indicazione perspicua delle edizioni critiche di riferimento per i principali scritti Aristotelici che Natali inserisce nei repertori bibliografici al termine del volume: si tenga presente che in alcuni casi non è scontata l'edizione cui uno studioso fa riferimento e conoscere quelle disponibili può evitare fraintendimenti. Per fare un esempio nell'edizione laterziana dell'Etica Nicomachea, a cura dello stesso Natali, si fa presente come ci siano due edizioni critiche dell'etica, pressoché equamente diffuse, che presentano tuttavia diverse suddivisioni in paragrafi: qualora lo studioso non sia esplicito su quale edizione utilizzi si possono presentare situazioni “con effetti a volte comici”, osserva Natali.
Ci piace pensare al volume di Natali come un testo che vuole “sfatare miti” (in questo seguendo “Aristotle: A Very Short Introduction” di Jonathan Barnes). Questo già emerge dalla prima parte dedicata alla biografia Aristotelica – cui peraltro Natali ha dedicato un volume in lingua inglese – che sappiamo non mancare di episodi fantasiosi e vere e proprie dicerie: ebbene queste ultime se messe alla prova storico-filologica raramente possono rivelarsi attendibili almeno per come sono state tramandate. È apprezzabile come Natali non lesini in note e riferimenti, discutendo attentamente le fonti e cercando di non dare per scontati resoconti immaginosi e fiabeschi che pure sono entrati ormai in un certo immaginario legato ad Aristotele. Non è scontata una simile cura già nella parte biografica introduttiva che a volte può sembrare ricavata da altre presentazioni piuttosto che direttamente dalle fonti.
Un altro mito che si vuole sfatare è quello dell'organizzazione del cosiddetto organon Aristotelico, ovverosia gli scritti dedicati alla logica. È se non altro discutibile presentare i primi tre trattati del corpus come dedicati rispettivamente allo studio dei termini (Categorie), a quello dei giudizi (De Interpretatione) e a quello dell'inferenza (Analitici Primi) in una sorta di climax di sempre maggiore complessità, come spesso si incontra non solo in presentazioni manualistiche – va detto, magari a fini esclusivamente didattici. Autorevoli contributi di letteratura secondaria hanno mostrato persuasivamente come, solo per fare un esempio, il secondo trattato del presunto trittico vada letto in tandem con Topici e Confutazioni Sofistiche, piuttosto che come vorrebbe la vulgata precedentemente menzionata (che giunge ai portroyalisti e da questi fino a Kant almeno). È con modalità di questo genere che il volume di Natali fa costantemente il punto con lo status quaestionis della letteratura secondaria.
Un altro paio di considerazioni generali riguardo ai miti sfatati prima di passare ad alcune considerazioni di maggior dettaglio. È proprio vero che la fisica Aristotelica non fa considerazioni matematiche? A ben vedere bisogna rispondere negativamente, se pensiamo alla trattazione del continuo che di strumenti matematici (ovviamente della matematica coeva ad Aristotele) fa un uso assolutamente non trascurabile (p. 106): del resto la trattazione del continuo di Aristotele è stata definita da Wolfgang Wieland come la parte meno invecchiata della sua filosofia della natura. Incidentalmente ci sia permesso soffermarci brevemente sullo studioso tedesco della fisica per osservare come salti agli occhi la sonora stroncatura che Natali gli assegna: la critica della finalità nell'interpretazione di Wieland, che pensa le cause aristoteliche kantianamente come concetti di riflessione (p. 97), appare quanto mai condivisibile e risolutiva. A chi scrive, sia detto per inciso, sembra decisamente infelice l'accostamento kantiano in materia di cause Aristoteliche. Per converso si potrebbe perlomeno discutere che il volume dello studioso tedesco sia “piuttosto invecchiato” (p. 349) come Natali afferma, ma del resto questo parere verrebbe condiviso da tanti studiosi contemporanei.
Altri miti da sfatare: davvero la sillogistica Aristotelica è lontana dalla pratica in voga nei dibattiti filosofici dell'Atene classica? A ben vedere no. Ma soprattutto: è proprio vero che la logica sillogistica di Aristotele è una logica ontologica, lontana dalle pratiche argomentative invalse ad Atene proprio perché asservita a una forte teoria metafisica della realtà (p. 64)? Anche in questo caso la risposta sembrerebbe negativa, benché la considerazione opposta sia molto diffusa. La sillogistica Aristotelica parte dalla relazione soggetto predicato e cerca d'individuare la forma dell'inferenza corretta proprio in vista delle dispute pubbliche correnti nell'Atene classica di filosofi, retori, sofisti e politici. Anche alcune ricerche presenti nel secondo libro degli Analitici primi non lasciano dubbio a tale riguardo: l'indagine sulla forma corretta di inferenza è condotta con occhio costantemente rivolto ai dibattiti ateniesi e in particolare a quelli che si svolgevano regolarmente nell'accademia platonica (p. 69) dove Aristotele, come si sa, rimase per vent'anni.
Sarebbero tanti i punti nevralgici del volume di Natali che il recensore potrebbe prendere in considerazione al fine di fornire un'idea del volume in oggetto e abbozzare una discussione dei problemi ivi contenuti. Nel prosieguo intendo dedicarmi brevemente a una delle questioni affrontate nel volume: l'enfasi posta da Natali sul metodo degli Analitici secondi.
Si tratta in primo luogo della questione del metodo. Tale tema è stato molto presente nella letteratura Aristotelica del secondo dopoguerra. La necessità d'indagare il metodo di Aristotele è sorta in seguito alla scoperta di come la sua logica sillogistica e le regole codificate negli Analitici primi non sembrino rappresentare il modus operandi dello Stagirita, almeno per quanto concerne i trattati che riguardano la ricerca dei principi. L'accusa alla sillogistica Aristotelica di non rappresentare concretamente il ragionamento umano, accusa cara alla filosofia moderna di matrice anti-aristotelica, da Francis Bacon a John Stuart Mill, si è rivelata infondata: in fondo l'andamento argomentativo delle opere di Aristotele non sembra procedere per nulla per tediosi sillogismi, perciò è difficile accusare Aristotele di “costringere” la filosofia e con essa il ragionamento umano in forma sillogistica. Ma se Aristotele non è un sillogizzatore (e lasciando da parte per il momento la questione del ruolo della sillogistica nella filosofia Aristotelica), allora come dobbiamo pensare il metodo del suo filosofare? Diverse sono state le soluzioni prospettate, che variano a seconda dei luoghi testuali che si intende enfatizzare. Si pensi soltanto al travagliatissimo EN 1145b2-7, all'interpretazione proposta da Owen di tale passo e ai successivi rimaneggiamenti apportati a tale interpretazione. In generale la scoperta della “località” della sillogistica di Aristotele, il ridimensionamento del suo peso all'interno della sua filosofia, e la pressoché contemporanea riscoperta del ruolo svolto dalla dialettica e dei trattati a essa dedicati hanno fatto pensare che il metodo di Aristotele andasse concepito come un metodo eminentemente dialettico, un metodo ovverosia che si basa almeno in prima istanza sul tentativo di valutare una tesi in funzione del suo comportamento rispetto alla contraddizione: scartare ovverosia la tesi che implica o conduce a contraddizione e accettare la tesi opposta e viceversa, valutando attraverso questa procedura ogni premessa che si presenti durante la ricerca filosofica.
Natali vuole collocarsi, almeno in parte, in un altro filone interpretativo del testo Aristotelico. Infatti si tratta secondo Natali di considerare adeguatamente il metodo tracciato dagli Analitici secondi e constatare come esso sia onnipresente nel corpus Aristotelico. In particolare si sottolinea l'importanza del metodo a tre tappe che Aristotele presenta all'inizio del secondo libro degli Analitici secondi (An. sec. II 2), secondo il quale “per prima cosa si deve stabilire se l'oggetto cercato esiste, in secondo luogo si devono cogliere alcune caratteristiche tipiche di esso e in terzo luogo, a partire da queste, si giunge a cogliere la natura e l'essenza della cosa” (p. 73) che sarà, come si sa, espressa dalla definizione (come “animale razionale” per l'uomo). Aristotele lascia spazio alla possibilità che alcune di queste tre tappe possano essere contemporanee o coincidere. È vero che per Natali il metodo dialettico non deve essere pensato in antitesi al metodo degli Analitici (cfr. anche p. 290): se per esempio le indagini della fisica aristotelica sembrano dare notevole peso alla discussione dialettica dei principi a partire da premesse endossali ciò accade semplicemente perché “l'indagine della Phys. si situa a un livello troppo generale per potersi fondare in modo prevalente sui dati della percezione, come faranno invece altre opere aristoteliche” (p. 89). Natali si perita, come dicevamo, di far notare come il metodo degli Analitici sia onnipresente nel corpus aristotelico: nel De Coelo – per quanto è possibile data la natura elusiva degli astri – (p. 121), nei Meterologica (p. 135), nella psicologia del De Anima (p. 168), nella Metaphysica, in particolare nei libri sulla sostanza (p. 223), “perfino” nella filosofia pratica (di nuovo p. 290) e nell'esame delle passioni nella Retorica (p. 319). Fa (parzialmente) eccezione il De partibus animalium (p. 154), pur rispettando svariati principi degli Analitici secondi. Appare evidente perciò come tale interpretazione assegni particolare importanza al summenzionato metodo tripartito di An. sec. II 2, ben oltre quanto siamo abituati a leggere in presentazioni monografiche su Aristotele. Tale interpretazione accentua, come ricorda l'A., il distanziamento consapevole che Aristotele mette in atto nei confronti di Platone distinguendo la dialettica dal sapere scientifico: benché Aristotele riconosca alla prima una importantissima funzione ausiliaria nei confronti del secondo, i due non possono coincidere, non solo perché non esiste una scienza onnicomprensiva di tutto il reale (che Platone riconosceva nella dialettica) ma anche perché, secondo Aristotele, il possesso di un sapere scientifico non dipende soltanto dal metodo seguito ma anche dalla qualità delle premesse coinvolte (pp. 70-1).
E sempre in materia di metodo è interessante come Natali interpreti la stessa idea Aristotelica secondo la quale tutto il sapere sarebbe riducibile a sillogismo e, in ultima istanza, a sillogismi in prima figura: tale idea non va abbandonata, come pure sovente è stato scritto. Il punto è, secondo l'autore, di pensare questo esemplarismo fornitoci dalla sillogistica “in senso Aristotelico” (p. 79), come modello non separato dalle scienze storicamente determinate bensì presente in esse come identità profonda. Natali fa tutto questo con alcuni caveat: innanzitutto ribadendo l'ottimismo epistemologico Aristotelico, quindi tenendo ben presente come non ci si trovi mai di fronte né a un dibattito sul criterio di conoscenza d'epoca ellenistica, né tantomeno a un'esigenza cartesiana d'un fondamento indisponibile al dubbio. Un altro caveat da tener presente se vogliamo avere a che fare con la questione del metodo Aristotelico è quello della distinzione tra momento per così dire zetetico della filosofia (quello che troviamo per esempio in trattati come la Metaphysica o nella Physica) e momento successivo, in cui siamo già in possesso di una definizione corrispondente al genere di studio e si vuole procedere a dedurne sillogisticamente le caratteristiche tipiche.
La prospettiva dell'autore sul tema del metodo Aristotelico si rivela accattivante e completa ma non si può tacere un ridimensionamento del peso complessivo della dialettica, che non sfugge al lettore a conoscenza di tale dibattito. Forse è l'A. stesso a non volersi esporre eccessivamente, almeno in sede introduttiva. Insomma non bisogna secondo Natali sovrainterpretare slogan aristotelici sul valore della dialettica e fare di Aristotele, come pure si è vaneggiato nel '900, un Putnam ante litteram: l'ispezione dialettica di premesse autorevoli ha un ruolo fondamentale nell'indicare la strada verso i principi, ma questi ultimi pertengono al nous. Di come si giunge a tale possesso troviamo trattazione metodologica negli Analitici secondi, come tradizione vuole.
Per concludere possiamo ribadire l'estrema utilità di questa aggiornatissima introduzione al pensiero Aristotelico, che affronta i luoghi nevralgici del dantesco “maestro di color che sanno”. In tutto ciò il testo può talvolta sembrare “elencativo”, ma è inevitabile data la mole di dottrine che tenta di restituire.
Indice
Abbreviazioni delle opere di Aristotele
Introduzione
Vita e opere di Aristotele
Logica e metodo
Lo studio del mondo fisico
La filosofia prima
La filosofia pratica
L'arte della parola
Conclusione. Una serie di alterne vicende
Cronologia della vita
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice dei concetti
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