mercoledì 13 maggio 2015

Niola, Marino, Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari

Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 146, euro 13, ISBN 978-88-152-5413-9

Recensione di Gianmaria Merenda - 28/03/2015

Niola ci avverte fin dall’inizio del testo che l’intenzione antropologica è quella di indagare sul “tribalismo alimentare contemporaneo” (p. 9). Ciò accade, ed è certamente sotto gli occhi di tutti, perché il cibo è diventato l’ossessione del quotidiano per sempre più persone, grazie anche al notevole impegno dei media, nonostante in occidente il cibo sia fonte di malnutrizione, malattie cardio-circolatorie, obesità, diabete e altre malattie dovute ad un suo utilizzo eccessivo. Il proliferare di diete, passioni alimentari, costrizioni,


intolleranze più o meno giustificate a livello medico, digiuni, diventano il “succedaneo consolatorio del controllo di una realtà che ci sfugge da ogni parte” (p. 11).
Il tono del testo è mantenuto ironicamente in equilibrio tra il serio (le citazioni di studi sistematici) e il libello di accusa civile (non mancano le iperboli derisorie, nei titoli come nel testo dei paragrafi: “Come la filiforme Gwyneth Paltrow, che decanta sui media di tutto il mondo i benefici della sua dieta da 300 calorie al giorno. Che fa vivere da malati per vivere sani”, p. 16).  Questa mania per il cibo nascerebbe per Niola dall’intersezione di due correnti sociali, le tecnologie del Sé di Foucault da un lato e le spinte biopolitiche delle organizzazioni internazionali come Oms, Fao e Omc (p. 18). Privato e pubblico si troverebbero nella condizione di convergere nell’intento di colmare una lacuna dell’odierna società secolarizzata, ovvero la mancanza di un trascendente che si è visto sostituire da un immanente io che si manifesta con un corpo da mantenere in efficiente aspetto estetico. Non sembra infatti che il problema sia una salubrità fisica e mentale, al di là delle vere patologie alimentari, quanto una rincorsa verso un ideale corporeo che dall’antica virtù di poter far accedere più leggeri al mondo ultraterreno vira verso una odierna avversione verso il grasso, l’opulenza, la parvenza del troppo.
Come Niola ricorda, siamo a dieta da sempre. Dall’antichità Ippocrate ci avverte che la medicina migliore è il cibo che mangiamo, che ogni malattia ha la sua dieta adeguata. È la medicina a far parte della dietetica e non il contrario (p. 30). Da quel lontano incitamento all’attenzione e alla parsimonia si arriva alla nuova malattia, chiamata ortoressia, che spinge l’ammalato a mangiare solo alimenti che non fanno male (almeno nel suo idealissimo equilibrio dietetico). Dalla giusta via di mezzo ippocratica al maniacale digiuno religioso il passo è breve. Considerato il corpo come veicolo pesante, corruttibile, a volte debordante, la quasi totalità delle religioni impone ai fedeli digiuni spinti verso una totale assenza di alimentazione, solo il minimo necessario per sopravvivere. Se il corpo è considerato zavorra, niente di meglio che un digiuno estremo per far lentamente sparire il peso che non permette al santo, se non al normalissimo fedele, di accedere al mondo ultraterreno solo con un lieve alito di vento. Niola ci porta così dalla dietetica greca, passando per i santi, i visionari, gli stiliti, verso il corpo docile foucaultiano (p. 62) e l’Imc (indice di massa corporea), diventato il nuovo riferimento del mondo secolarizzato. Ovvio che se il corpo rappresenta un limite da superare per raggiungere la purezza assoluta, le stesse abitudini alimentari possono essere veicolo di quel razzismo che oggi si afferma anche sulla tavola imbandita. Nel sesto capitolo, “Guerre di civiltà alimentari”, Niola sbeffeggia quei politici che con pretese di purezza culturale male si destreggiano tra Big Mac e kebab: politici che probabilmente fanno finta di non sapere quanto la cucina italiana (se mai esiste una cucina italiana e non un insieme di splendide cucine locali) sia il risultato di ibridazioni millenarie tra le cucine di tutto il mondo antico.
“Entro il 2030 il 60 % della popolazione mondiale, vale a dire 3 miliardi e mezzo di persone, sarà oversize” (p. 75). Questo è l’aspetto paradossale del tribalismo alimentare odierno: tanta dieta per nulla. Massima cura nel costruire la dieta perfetta, dieta che sarà soppiantata velocemente da un’altra ancor più raffinata nel giro di pochi mesi; massimo dispendio di energie nel sacrificio quotidiano del vivere come malati per morire infelici e leggeri, per arrivare al punto che due terzi della popolazione mondiale sarà sovrappeso e l’altro terzo non avrà di che nutrirsi.


Indice

Introduzione
La dieta come religione globale

I. Siamo quello che non mangiamo
Cibomania. - Antichi e nuovi tabù. - Mode alimentari. - Cibi globish.

II. « Il cibo sia la tua medicina e la tua medicina il cibo»
Tra vita e giovata. - La dieta nel vero senso della parola. - Vivere da malati per morire sani. - Purificazione e drenaggio. - Dagli stiliti agli stilisti.

III. Mangiare come Dio comanda
Esorcismi alimentari. - Il corpo è mio e lo punisco io. - Diventeremo tutti vegetariani? - La virilità ha sempre voglia di carne.

IV. Umiliati e obesi
L’apocalisse lipidica. - Dal salutismo al razzismo il passo è breve. - Se il peso conta più del curriculum.

V. Integralismi
Credenti o creduloni? - La dieta dei gruppi sanguigni. - Paleodiete. - Crudismi. - Vegan. - Ortoressie. - La polpetta di Frankenstein e la fine del cibo.

VI. Guerre di civiltà alimentari
Totem e tabù. - Kebab o Big Mac? - Il cibo è meticcio. - The Mediterranean Way.

VII. L’abbondanza frugale
Più sobri, più sani. - Più semplici, più conviviali. - Più parchi, più solidali.

Bibliografia essenziale

Indice dei nomi

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