Milano-Udine, Mimesis, 2014, pp. 94, euro 9, ISBN 978-88-5752-608-9.
Il volume qui in esame presenta una breve ricognizione, suddivisa in tre momenti ben definiti, del possibile rapporto tra la riflessione filosofica e l’ebbrezza. Se la complicità teorica tra letteratura ed ebbrezza, a partire soprattutto dalla seconda metà dell’Ottocento, è diventata sostanzialmente un topos ermeneutico consolidato (basti pensare a Baudelaire, Rimbaud, Hemingway e Fitzgerald, solo per citarne alcuni), nel testo in questione gli autori propongono un’indagine volta a individuare le possibili connessioni tra il pensiero filosofico
nella sua interezza (viene preso in considerazione l’arco temporale compreso tra Socrate e Heidegger) e le mutazioni psicofisiche determinate tanto dall’assunzione di sostanze estranee all’organismo umano (alcool e droghe) quanto dalle reazioni del pensiero di fronte all’abisso del proprio dispiegarsi, «un’ebbrezza che salta fuori dalle parole come un jack-in-the-box e che sembra l’unica a dover interessare veramente il filosofo» (p. 8).
L’indagine della questione dell’ebbrezza proposta dai due autori si presenta, invero, in maniera poco sistematica e, per alcuni versi, ‘inafferrabile’ (dunque, difficilmente concettualizzabile – in tedesco le parole ‘concetto’ [Begriff] e ‘presa’ [Griff] appartengono alla semantica del greifen, dell’afferrare); sembra quasi che Nancy e Tuppini, in maniera più o meno consapevole, servendosi di una tecnica metadiscorsiva si facciano espressione vivente del contenuto delle loro riflessioni circa la natura ‘estatica’ ed ‘eterea’ della filosofia.
La prima parte del volume, pensata probabilmente per ultima, presenta un dialogo tra i due autori; il concetto fondamentale attorno a cui si snoda la discussione è quello di ‘rilevamento’ (relève); esso è il nome attraverso cui viene indicata la ‘sublimazione’ dialettica dell’ebbrezza nel pensiero filosofico razionale. Si tratta, in altre parole, di una Aufhebung, un superamento che, conservando il carattere estatico-sensoriale dell’ebbrezza violenta e creativa determinata dall’assunzione di sostanze estranee all’organismo umano, propone un livello ulteriore di ‘ebbrezza’, un movimento dialettico che «passa attraverso un’esperienza di trance, ma la converte in chiarezza della coscienza» (p. 10). L’esempio privilegiato attraverso cui viene esemplificata questa dynamis ontologica è Socrate: l’unico che, come è possibile leggere ad esempio nel Simposio, è capace di reggere l’urto dell’alcol e, piuttosto che abbrutirsi, trarne l’opportunità per una ‘lucida’ riflessione.
Un altro aspetto interessante che emerge dal dialogo è l’idea proposta da Tuppini di considerare la cosa-merce come espressione privilegiata – e per alcuni versi perversa – del ‘rilevamento’ a cui facevamo riferimento in precedenza; essa rappresenta, infatti, l’ipostatizzazione immediata di ciò a cui rimanda l’ebbrezza: «garantirmi l’accesso a un mondo nuovo» (p. 20), il reiterarsi del desiderio che, privo di oggetto specifico, non vuole altro che se stesso all’infinito. Ma come avviene in ogni ebbrezza, evidenzia Nancy, l’Eden promesso è illusorio, vuoto, impossibile (ogni paradiso, per riprendere l’espressione di Baudelaire, è sempre e solo ‘artificiale’); esso è la volontà di concludere, di giungere al fine e alla fine, dunque intrinsecamente desiderio di distruzione e di morte. In altre parole, si tratta dell’inestricabile nesso tra la pulsione di vita e la pulsione di morte (la vita la morte, secondo la significativa espressione di Derrida) che caratterizza il vivente in maniera non meramente biologica, bensì anche e soprattutto ontologica.
Nel secondo intervento, quello che dà il titolo all’intero volume, Ebbrezza, Nancy propone un accostamento tra lo spirito alcolico dell’ebbrezza e l’idea di spirito, decisiva per l’intera storia della filosofia (basti ricordare il titolo del capolavoro di Hegel La fenomenologia dello spirito). Il bere e il filosofare condividerebbero, dunque, la passione per l’essenza: si tratta di immergersi nell’abisso dello spirito e lasciarsi ‘toccare’ e penetrare da esso, «bere vuol dire assorbire […] quel che accade è un impregnarsi, un’irrigazione, un diffondersi e un infondersi» (p. 31).
Chi filosofa, così come chi beve, è ebbro dell’essenza dello spirito in cui è totalmente immerso e dal quale viene pervaso totalmente, si trova cioè in uno stato di trance che rimanda a quell’ardore divino di cui parlava già Platone nei suoi dialoghi. Proprio in virtù dell’originario carattere mistico del filosofare – il logos, per usare una categoria propria di questo volume, non sarebbe altro che il ‘rilevamento’ razionale del mythos –, Nancy accosta l’ebbrezza (filosofica) al sacrificio religioso: «La comunicazione – attraverso il liquido e il suo versamento – con il sacrum, l’eccezione, l’eccesso, il fuori, l’interdetto, il divino. L’ebbrezza diventa insomma qualcosa come un sacrificio riuscito, nel quale la vittima è il sacrificatore stesso» (p. 34).
Il termine di origine greca ‘entusiasmo’, la cui sensazione è spesso accostata all’ebbrezza, indica in maniera icastica la natura ‘sacra’ di ogni eccesso; nell’ebbrezza si manifesta il sacro furore divino, il sentirsi tutt’uno con il dio, sì da sciogliere ogni legame con il principium individuationis che lega ogni rappresentazione al mondo: l’assolutizzazione di ogni ebbrezza è cioè lo scioglimento, il rimescolamento di ogni presenza nell’assenza; si tratta, in altre parole, della natura spettrale delle immagini che caratterizzano la vista (offuscata) dell’ebbro.
Nell’eccesso dell’ebbrezza, che, in quanto tale, è un accesso all’inaccessibile, avviene il contatto con l’assoluto; un’apertura evenemenziale a una pienezza dello spirito che nomina al contempo un impossibile, in quanto possibilità sempre atopica e instabile: «Il godimento accade in questo altrove dell’assoluto, in questo scansare ogni cosa il quale non abita nessun luogo» (p. 38).
L’intervento di Tuppini, dal titolo Sonno bianco, propone un discorso sulla caduta determinata dall’ebbrezza a partire dalla contrapposizione, che, invero, è una coappartenenza, in quanto dialetticamente irrisolvibile, tra la ‘razza stellare’ e i ‘guardiani’. Razza stellare è il nome di coloro che «decidono di vivere il declino, vivere la morte, contro quelli che muoiono la vita perché l’hanno chiusa dentro forme di terra e bronzo, hanno eretto troppo presto un monumento a se stessi, hanno fatto della propria esistenza una dottrina» (p. 67); in queste parole, così come nel prosieguo del discorso intorno alla razza stellare, sembra di sentire l’eco dell’incipit del romanzo Trainspotting, e del relativo film, dello scrittore scozzese Irvine Welsh.
I guardiani rappresentano, invece, lo spazio di sorveglianza e controllo in cui insediare l’ordine di significatività del mondo; essi, come avveniva già a partire dall’origine della filosofia nella Politéia platonica, sono coloro che «avanzano e si voltano indietro, verso di noi, per indicare la strada» (p. 71) – e anche qui, a mio avviso, sarebbe da riproporre in maniera decisa l’irrisolto quesito sul controllo da riservare a chi è destinato a controllare e dare significatività al mondo.
Attraverso la descrizione delle varie fasi dell’ebbrezza, la quale, raggiunto il suo picco massimo (high) nella trasparenza assoluta, conduce attraverso una fase intermedia di torpore e stanchezza (sonno) a uno stadio psicofisico di abbattimento e depressione totale (down), Tuppini presenta la dynamis propria di ogni estasi, il movimento de-cadente dell’ebbrezza in cui la «la razza stellare deve restituire ciò che ha ricevuto» (p. 89); deve cioè pagare il prezzo del biglietto per aver fatto un giro sulle montagne russe dell’entusiasmo ebbro.
Chi si aspettasse di trovare nel volume qui presentato uno studio organico della questione dell’ebbrezza rimarrebbe senza dubbio deluso; i due autori, lungi dal proporre un’indagine storica e sistematicamente impostata di tale tematica, forniscono al lettore alcuni spunti, delle impressioni ‘istantanee’ sull’ebbrezza e sui possibili rapporti che essa può avere con la riflessione filosofica.
Il limite e al contempo il pregio di questo testo, che si fa espressione del contenuto attraverso la forma, è il carattere aperto, asistematico, aporetico, che lascia spazio a molteplici interpretazioni e fornisce dei suggerimenti interessanti per continuare le ricerche su queste tematiche.
Indice
Una conversazione sull’ebbrezza
Ebbrezza
di Jean-Luc Nancy
Sonno bianco
di Tommaso Tuppini
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