Il Prato, Saonara (PD), 2014, pp. 125, euro 15, ISBN 978-88-6336-215-2.
“Solo il dopodomani mi appartiene. C’è chi nasce postumo”. Con queste parole si esprimeva Nietzsche nella Premessa dell’Anticristo (1895), con l’intenzione di annunciare la sua ultima opera profetica, destinata “a pochissime persone”, di cui “forse nessuna di esse esiste ancora”. Che il pensiero filosofico di Nietzsche sia stato profetico in numerose sue componenti, rivolto al futuro, inadatto – avrebbe detto lui stesso – per la comprensibilità della gran parte dei suoi lettori contemporanei, è cosa di cui il filosofo tedesco era perfettamente consapevole,
è cosa nota a chiunque si sia cimentato con le profondità del suo pensiero. Egli quindi ha anticipato molti temi di cui la filosofia, la psicologia, la morale si sarebbero occupate solo dopo la sua morte; ma, oltreché in ambito filosofico, Nietzsche fu profetico anche nella visione scientifica del mondo? O meglio, e prima ancora: Nietzsche ebbe una visione scientifica del mondo? Quali rapporti sviluppò con la scienza del suo tempo? Se ne occupò? E se sì, con quale approccio? Trattasi di domande le cui risposte non sono affatto scontate, nella misura in cui riguardano una delle parti forse meno note del pensiero di Nietzsche e forse uno dei temi, quello della scienza, meno indagati dallo stesso filosofo tedesco. Rosanna Oliveri ha cercato proprio di fare questo: ha indagato il pensiero scientifico di Nietzsche, ha messo in luce le direttrici fondamentali dell’epistemologia nietzscheana, per quanto apparentemente secondaria rispetto all’impianto principale della sua opera, mostrando che non solo Nietzsche si occupò di scienza, che ebbe una visione scientifica del mondo, ma – addirittura – che anche in questo ambito seppe essere profetico, controcorrente, demolitore, dissacratore, anticipando temi – per dirla con le parole dell’Anticristo – postumi al pensiero scientifico dell’epoca.
Sosio Giametta, nella Prefazione al testo della Oliveri, ammette che “varie tesi di Nietzsche sia affermative che negative, anche se formulate dal punto di vista filosofico, che è il solo che gli compete e gli interessa, coincidono con le tesi della scienza, della fisica in particolare, non solo dei suoi tempi, ma, alcune, anche dei nostri” (p. 5). È a tutti nota la dirompente affermazione di Nietzsche secondo la quale non esistono fatti, ma solo interpretazioni di fatti; ebbene, bastano alcuni risultati della moderna scienza quantistica, come – mi vien da dire – il principio di indeterminazione di Heisenberg, “per assodare che sotto quello che chiamiamo un fatto, ci sono movimenti e leggi talmente complessi e sconosciuti, che fanno sì che il fatto sia solo una configurazione antropomorfica dell’accadimento” (p. 7).
La grande visione scientifica con la quale Nietzsche si scontrò fu quella meccanicistica che raggiunse il suo apogeo con la fisica di Newton. Si dava per scontato in quegli anni – ma è questo un pregiudizio ancora fortemente radicato nel senso comune contemporaneo – che esista “una regolarità dei fenomeni tale da potersi riassumere comodamente in una legge generale” (p. 14). Tale visione, con la quale “cerchiamo disperatamente di comprendere il mondo per poterlo dominare” (ivi), nasconde per Nietzsche una sorta di “teologia mascherata” (p. 15). Ricorda Nietzsche, in un frammento postumo del periodo 1887-1888, che “Dal fatto che qualcosa segua regolarmente e in maniera calcolabile, non risulta che esso segua necessariamente” (p. 14); ed ancora, ne La Gaia scienza, ciò sia detto “per gli orecchi e per la coscienza dei signori meccanicisti che oggi si intrufolano volentieri tra i filosofi […]. Un mondo essenzialmente meccanico sarebbe un mondo essenzialmente privo di senso” (p. 21). La fisica quantistica, come dicevamo sopra, darà perfettamente ragione a Nietzsche. Rosanna Oliveri mostra, attraverso l’analisi di alcuni importanti passi delle opere di Nietzsche, come il filosofo tedesco pervenga filosoficamente a questa conclusione, secondo la quale “Credere che l’Essere sia catalogabile attraverso delle categorie è l’espressione della volontà di potenza che vuole appunto dominare l’Essere e cerca di incamerarlo nei propri schemi. Il pregiudizio vero è credere che un mondo ordinato sia più vero e credibile di uno in cui regna il caos” (p. 30). La Oliveri ricorda anche che sarà Hans Kleinpeter, uno dei principali divulgatori del pensiero di Ernst Mach, a mostrare “una certa affinità tra le teorie scientifiche del fisico austriaco e le tesi filosofiche nietzscheane” (p. 35), sempre in chiave antimeccanicistica.
Rispetto al darwinismo, Nietzsche assunse un atteggiamento favorevole, ma nello stesso tempo critico, tutt’altro che banale: se da un lato la Oliveri ricorda il “pezzo dello Zarathustra in cui il profeta protagonista spiega che l’uomo è per l’oltreuomo ciò che la scimmia è per l’uomo, e così come la scimmia è stata superata dall’uomo, anche quest’ultimo deve essere superato” (p. 39), dall’altro l’Autrice non manca di sottolineare la critica che Nietzsche rivolge a Darwin in base alla quale il naturalista britannico avrebbe “sopravvalutato l’istinto di sopravvivenza, come fosse l’unico che ci guida, quando in realtà esso è solo un aspetto della volontà di potenza che assume anche altri aspetti, come la volontà di dominio, che in alcuni casi prende il sopravvento anche sulla volontà di conservare la vita” (p. 46). La biologia fu proprio uno dei campi principali in cui Nietzsche trovò riscontro scientifico ad alcune delle sue teorie filosofiche; ad esempio, i temi della dissoluzione del soggetto e del concetto di coscienza, tanto cari al filosofo tedesco, trovarono aperto sostegno nella nuova teoria molecolare dello scienziato Rudolf Virchow, secondo il quale “il concetto di coscienza, la credenza che esista un’unità a cui fare riferimento per indicare un soggetto, altro non è che una mera illusione” (p. 50). Virchow giunse a questa conclusione a seguito di approfonditi studi sulla natura delle cellule e delle molecole, studi che, in un certo senso, contribuirono a demolire alcune credenze filosofiche consolidate, come appunto l’idea dell’unità dell’io e della coscienza. Non sarà difficile a questo punto, per Nietzsche (anche se il filosofo vi era già giunto per altra via), sostenere che le “forme della conoscenza non sono affatto trascendentali, ma pienamente organiche e corporee” (p. 59), oppure irridere Kant affermando che “la cosa in sé è degna di un’omerica risata” (p. 62).
Sappiamo quanto Nietzsche sia stato influenzato dal pensiero di Eraclito nell’elaborare una visione dell’universo caratterizzata dall’eterno divenire e dall’assenza di finalità, cioè dal caos; ebbene questa visione trovò per il filosofo tedesco un saldo sostegno nell’opera dello scienziato polacco R. G. Boscovich il quale, nella sua Philosophia naturalis, descrisse “il mondo come un complesso di forze in continua iterazione tra loro, in un divenire insistente; non ci sono atomi, ma centri di forza, intesi come energia, un’interazione di forze che agiscono l’una sull’altra variando la propria intensità in base alla distanza che le separa” (p. 70). L’idea boscovichiana di forza e dell’interazione afinalistica tra forze, rappresenta certamente una sorta di conferma del divenire nietzcheano, il quale così si esprime nell’aforisma 109 de La gaia scienza: “Il carattere complessivo del mondo è invece caos per tutta l’eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane” (p. 77).
Per chiudere, la Oliveri sottolinea che “se Nietzsche avesse avuto modo di confrontarsi con la [teoria fisica] quantistica, ne avrebbe apprezzato il valore” (p. 95); sarà proprio la fisica dei nostri giorni a dare ragione al filosofo tedesco riguardo alla sua visione filosofica di un universo caotico, in continuo divenire, indeterminabile per definizione. La teoria dei quanti ci ha mostrato che possiamo attingere solo a “interpretazioni della natura”, non a “descrizioni fedeli. Le pretese assolutistiche della fisica classica non ci sono più” (p. 100). Lo scienziato E. SchrÖdinger, premio Nobel per la fisica nel 1933, in una conferenza del 1952, dirà: “Abbiamo detto che un corpuscolo non ha individualità. In realtà non si osserva mai la stessa particella una seconda volta, proprio come Eraclito diceva del fiume” (p. 101). Insomma, sembra proprio confermata la tesi della Oliveri secondo la quale “Nietzsche, grazie al suo amore per la conoscenza e alla sua intelligenza, ha saputo leggere tra le righe ciò che stava avvenendo nella scienza, anticipando di molto il paradigma della scienza contemporanea stessa” (p. 121).
Indice
Prefazione di Sossio Giametta
Una visione anti-meccanicistica
Nietzsche e Mach
A favore di Darwin / contro Darwin
Biologia e volontà di potenza
Auto-regolazione e auto-organizzazione in Nietzsche
Eliminazione dello spirito di gravità: la relatività
La rivoluzione della fisica quantistica
Caos e auto-organizzazione in natura
Conclusione
Biografia
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